Non è elusiva la riorganizzazione aziendale che ha come conseguenza un carico fiscale inferiore

03 Maggio 2019

Spetta sempre al Fisco dimostrare che il risparmio d'imposta coincide con l'unico scopo dell'operazione e che sussiste un intento fraudolento.
Massima

Il divieto di comportamenti abusivi, fondati sull'assenza di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, con riferimento ai processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, effettuati nell'ambito di grandi gruppi di imprese, non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d'imposta, poiché va sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale.

In applicazione dell'anzidetto principio va, nella specie, esclusa la natura elusiva dell'operazione di “Leveraged buy out” (di seguito LBO), posta in essere per favorire l'uscita di alcuni titolari dalla compagine societaria e per favorire l'entrata di altri soggetti, avendo l'appellante dimostrato che le risorse finanziarie utilizzate sono state reperite con finanziamento bancario e non mediante finanziamento diretto concesso dalla società “obiettivo” e che non è stato compromesso l'equilibrio economico e finanziario con la fusione della società “obiettivo” nella nuova società.

Il caso

Con avviso di accertamento ritualmente notificato, l'Ufficio delle Entrate contestava ad una società di capitali la natura elusiva dell'operazione di riorganizzazione aziendale, posta in essere nel 2003.

Tale operazione era stata articolata secondo lo schema del Leveraged buy out (o LBO), mediante la costituzione di una nuova società (Newco) che, per ragioni di semplicità, chiameremo Gamma, la quale aveva acquistato sia la società Alfa previo indebitamento bancario - controllata al 100% dalla società lussemburghese Omega, titolare del 50% della società Beta - sia il restante 50% della Beta, che lo deteneva.

Per effetto di tale operazione, la società Alfa aveva acquisito il controllo del 100% della Beta, che era stata incorporata nella Alfa, la quale, a sua volta, era stata incorporata nella Gamma, che aveva poi assunto la nuova denominazione di Delta.

Poiché il debito verso l'istituto di credito, per il rimborso del finanziamento e degli interessi generati dall'operazione di Leveraged buy out costituiva componente negativa di reddito della Alfa e, per successione, della nuova Delta che l'aveva incorporata, con avviso di accertamento l'Ufficio delle entrate aveva rettificato la dichiarazione dei redditi presentata dalla Delta per l'anno 2003 ai fini IRES e IRAP, ritenendo indeducibili la posta contabile afferente gli interessi passivi e la quota di ammortamento degli oneri connessi al predetto finanziamento.

Secondo l'Ufficio, invero, si era al cospetto di una società florida e in grado di autofinanziarsi che aveva scelto di operare una riorganizzazione mediante un ingente prestito bancario, secondo lo schema del “Leveraged buy out”, senza che sussistessero valide ragioni economiche, se non la volontà di porre in essere un'operazione fiscalmente più conveniente.

Difatti, a detta dell'Amministrazione l'intera operazione di riassetto societario integrava un'operazione elusiva ai sensi del d.P.R. n. 600/1973, art. 37-bis, non sussistendo valide ragioni economiche che potessero giustificare l'oneroso finanziamento sostenuto.

Per l'Ente Impositore, invero, una società finanziariamente in salute non sarebbe dovuta ricorrere ad un finanziamento, i cui interessi deducibili, avrebbero reso l'operazione ancor più fiscalmente conveniente.

Tale tesi era trasfusa nell'anzidetto atto impositivo, tempestivamente impugnato presso la competente Commissione Tributaria Provinciale.

Il Giudice di primo grado dava conferma del citato atto impositivo.

Talché al contribuente non rimaneva altra strada, che proporre atto di appello principale, poi accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Invero, il secondo Giudice, non ravvisando scopi elusivi nell'operazione, annullava anche la pretesa esattoriale, sottolineando che il d.P.R. n. 600/1973, art. 37-bis, si limitava a disporre l'inopponibilità all'Amministrazione di atti e negozi giuridici posti in essere ed il disconoscimento dei vantaggi economici conseguiti.

Nello specifico la Commissione Regionale affermava che, l'operazione di Leveraged buy out, posta in essere per favorire l'uscita di alcuni titolari dalla compagine societaria e per favorire l'entrata di altri soggetti, era del tutto legittima, avendo l'appellante dimostrato che le risorse finanziarie utilizzate erano state reperite con finanziamento bancario e non mediante finanziamento diretto concesso dalla società obiettivo e che non era stato compromesso l'equilibrio economico e finanziario con la fusione della società obiettivo nella Newco.

Il Giudice di secondo grado aggiungeva che la legittimità dell'operazione si evinceva anche dalle valide ragioni economiche dimostrate dalla contribuente, ossia quella di agevolare l'uscita del socio Alfa, a cui era riconducibile la quota di partecipazione del 50% detenuta dalla società Beta e l'ingresso di due nuovi soci con adeguate risorse finanziarie.

L'adita CTR sottolineava, pure, che successivamente all'operazione LBO erano stati conseguiti ricavi molto elevati e, quindi, redditi imponibili dichiarati dai quali si evinceva che la strategia perseguita non era stata quella di aggirare l'ordinamento tributario.

Avverso tale decisione l'Ente Impositore proponeva Ricorso per Cassazione, affidandolo a tre motivi.

In particolare, la ricorrente Agenzia con il primo motivo lamentava che la contribuente aveva posto in essere una operazione che aveva come unico scopo quello di danneggiare il fisco, ossia di far “...emergere per cinque anni nel conto economico della nuova Delta, la posta deducibile di Euro 660.000,00 annui di interessi passivi e di oltre Euro 150.000,00 di ammortamento di oneri finanziari capitalizzati, del pari deducibili..”.

Tale motivo non era condiviso dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale respingeva il ricorso e disponeva la conferma della sentenza impugnata, con condanna dell'Ufficio ricorrente alle spese del giudizio.

Ad avviso dei Giudici Supremi, l'operazione complessivamente esaminata, anche se contrassegnata da due fusioni, non era finalizzata ad ottenere una riduzione d'imposta o rimborsi indebiti ed era connotata da numerose circostanze che escludevano l'intento elusivo.

La questione

La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se in presenza di una riorganizzazione aziendale che abbia come conseguenza un carico fiscale inferiore, l'operazione posta in essere sia o meno, sempre elusiva.

Nel caso che ci occupa, invero, l'operazione di riorganizzazione societaria aveva fatto emergere dei leciti risparmi fiscali (quali interessi passivi e quote di ammortamento), a fronte dell'esistenza di valide e conclamate ragioni economiche (uscita di un socio e ingresso di due nuovi soci).

La bontà dell'operazione era condivisa dal Giudice di seconde cure e trovava conferma presso il Giudice di Legittimità, il quale riteneva regolare l'operato del contribuente.

La soluzione giuridica

Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituti coinvolti.

L'art 2501-bis codice civile (aggiunto, a decorrere dal 1° gennaio 2004, dall'art. 6, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), disciplina le cosiddette operazioni di leveraged buy out o LBO.

L'operazione, nella sua forma più elementare, si articola in due fasi.

Nella prima, la società C che intende acquistare il controllo della società B, non avendo sufficienti disponibilità finanziarie ricorre al prestito da parte della società A, alla quale promette in garanzia, in seguito all'acquisto del controllo, le azioni o le quote del patrimonio della società B.

Nella seconda fase, la società A delibererà la fusione con la società B.

A seguito della operazione di leveraged buy out, la società acquisita avrà un indebitamento superiore a quello che aveva prima dell'operazione (v. Trib. Milano n. 9440/2015).

La società acquirente potrebbe essere anche una sorta di “contenitore vuoto”, ovvero una società già operativa e l'acquisto potrebbe essere consensuale, attraverso la cessione del pacchetto di controllo, oppure ostile, attraverso un'Opa.

La particolarità dell'operazione di leveraged buy out è che il debito contratto per l'acquisto della società target o dei suoi beni viene assunto non dall'acquirente, bensì dal soggetto che viene acquisito.

Il LBO, pertanto, consente l'acquisto del controllo di una società attraverso l'utilizzo di un'ingente quota di capitali che è fornita da un terzo.

Il capitale sarà rimborsato, oltre che attraverso la cessione dei beni aziendali, anche attraverso gli utili che sono prodotti dalla società.

La società della quale è acquistato il controllo si definisce merger e l'operazione di acquisto delle partecipazioni si definisce stock adquisition. Nel caso in cui il LBO si compia attraverso l'acquisto di beni aziendali, l'operazione si definisce asset sale transactions o assets acquisition.

Con l'operazione di stock adquisition si costituisce una holding (che assume la denominazione di newco), la quale è destinata a rendersi acquirente in parte o totalmente del capitale di una società operativa (che assume la denominazione di target).

La società target sarà acquistata o mediante mezzi propri, o mediante l'indebitamento presso terzi.

Successivamente all'acquisto del controllo sarà deliberata la fusione per incorporazione di target in newco.

In seguito alla fusione ai finanziatori saranno concesse delle garanzie reali sui beni del nuovo soggetto societario ed il debito contratto da newco per l'acquisto della società target sarà rilevato da quest'ultima entrando a far parte del patrimonio appartenete al gruppo societario.

Con l'operazione di assets sale transations o assets acquisition si costituisce una holding che procede all'acquisto del beni aziendali di altro complesso aziendale (target) ed al momento stesso dell'acquisto dei beni viene costituita anche la garanzia a favore dei terzi che hanno partecipato all'operazione.

Il presupposto per l'applicazione dell'art. 2501-bis c.c. nella sua sequenza procedimentale è l'indebitamento, nel quale è incorsa una società per acquisire la partecipazione di controllo nell'altra.

Dal LBO interno è possibile distinguere il leveraged buy out transfrontaliero, ossia un'operazione di fusione tra società di capitali italiane e di altro Stato membro dell'Unione Europea, con la quale una società preesistente o di nuova costituzione chiamata “new company”, costituita in conformità alla legge di uno Stato dell'U.E. e con sede sociale, amministrazione centrale o centro di attività principale nella U.E., stipula contratti di finanziamento, senza clausole di scopo, generalmente con banche o società finanziarie, per acquisire la disponibilità economica per l'acquisto di partecipazioni di controllo o totalitarie in una società bersaglio, detta anche “target”, al fine di fondersi per incorporazione diretta (merger lbo) o inversa (reverse lbo).

Ulteriore istituto coinvolto nel caso in esame coincide con l'elusione fiscale.

Con l'emanazione del D.Lgs. n. 128/2015, attuativo della delega a delega fiscale (L. n. 23/2014), in vigore dal 2 settembre 2015, il Legislatore ha finalmente regolamentato l'abuso e l'elusione fiscale, introducendo il nuovo art. 10-bis, co. 1-4, alla L. n. 212/2000, il quale haabrogato (v. art. 1 comma 2 D.Lgs. n. 128/2015) l'art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973, unificando i concetti di elusione fiscale e abuso del diritto

Ne consegue, in linea di massima, che le pregresse “violazioni” contenute nel citato art. 37-bis, sono ora incluse nella nuova previsione.

In base alle nuove disposizioni, si è in presenza dell'abuso del diritto quando una o più operazioni, prive di sostanza economica, pur se adottate nel rispetto delle norme tributarie, consentono di realizzare vantaggi fiscali indebiti.

Alla lett. a) del comma 2 della citata norma si definiscono le “operazioni prive di sostanza economica” (v., anche, Ris. 2 ottobre 2009, n. 256/E, Ris. 7 aprile 2009, n. 97/E e Ris. 6 luglio 2001, n. 114/E), come “i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”(v. Cass. Civ. n. 27550/2018 e Cass. Civ., n. 18632/2018), precisando, a titolo esemplificativo, che la mancanza di sostanza economica (ossia di convenienza reale e sostanziale) può essere desunta dalla non coerenza delle singole operazioni (v. Cass. 492727/2915) con il fondamento giuridico del loro insieme e dalla non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici alle normali logiche di mercato.

I vantaggi fiscali indebiti sono definiti dalla lett. b) come “i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario” (v. Cass. Civ., n. 9378/2017 e Cass. Civ., n. 48293/2016).

La definizione è in linea, sia con quella contenuta nella Raccomandazione UE sulla pianificazione fiscale aggressiva del 6 dicembre 2012, che al par. 4.5 indica la necessità che il risultato abusivo “contrasti con l'obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili”, confermato dalla più recente Direttiva 2016/1164 del 12 luglio 2016, che parla di “costruzioni che non sono genuine”, sia con quanto affermato dalla sentenza Halifax (ECJ C-255/02 del 21 febbraio 2006, vero e proprio leading case in materia di abuso), che al par. 74 afferma che “perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta Direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni”.

Il presupposto può dirsi quindi sussistente, laddove venga violata la ratio delle norme o dei principi generali dell'ordinamento.

A tal proposito, si considerano indebitamente conseguiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.

Il terzo elemento costitutivo dell'elusione/abuso, consiste nel fatto che il vantaggio fiscale indebito ha rappresentato la principale ragione (v. Cass. 38016/2017) che ha determinato il contribuente a porre in essere l'operazione, priva di sostanza economica (v. CTP, Bergamo, sez. III, 2 gennaio 2017, n. 25).

Il concetto dell'essenzialità (v. Cass. Civ., n. 26060/2015) del vantaggio fiscale indebito è talmente rilevante nell'attuazione della norma, che è ripreso in 3 punti della disposizione: a) il comma 1 si riferisce a operazioni che realizzano “essenzialmente” un vantaggio fiscale indebito; b) nel comma 2 si richiama la necessità che i fatti, atti e contratti, anche collegati, siano inidonei a produrre “effetti significativi” diversi dai vantaggi fiscali (indebiti); c) nel comma 3 si specifica ulteriormente che “non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali (v. Ris. 40/E/2018) non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente”.

Per espressa previsione normativa, poi, non sono abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente.

L'abuso del diritto si potrà così individuare, pertanto, solamente per esclusione, quando cioè il contribuente consegua un vantaggio fiscale illegittimo che non sia ascrivibile all'evasione.

È, infine, precisato che resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.

Sul punto, peraltro già la Corte di Giustizia UE (Sent. Halifax) aveva affermato che il soggetto passivo ha diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale.

Tale principio è stato richiamato anche dalla Cassazione (v. Cass. Civ., n. 18632/2018 e Cass. Civ., n. 17175/2015), secondo cui il contribuente può scegliere l'operazione fiscalmente meno gravosa, laddove è lo stesso ordinamento tributario a prevedere la facoltà di scelta.

In sostanza, il comma 4 del vitato art. 10 bis ammette il c.d. “lecito risparmio tributario” ed esclude, dunque, in tali ipotesi, la configurabilità stessa di un abuso.

Al comma 12, invece, si pone la distinzione con l'evasione, atteso che non configura un abuso, la violazione di specifiche disposizioni tributarie (v. art. 10-bis, co. 12).

Come noto, tradizionalmente, l'elusione è definita in contrapposizione all'evasione proprio perché, laddove la prima si sostanzia nell'aggiramento di norme attuato attraverso comportamenti ed atti palesi, la seconda coglie la violazione di precetti normativi, perpetrata soprattutto attraverso atti e comportamenti volti a dissimulare l'effettiva ricchezza prodotta.

L'evasione è insomma la violazione, l'illecito, realizzato mediante la creazione di una realtà in apparenza divergente da quella effettiva. In questi casi, non si può parlare di abuso, perché, appunto, non si tratta di aggiramento bensì di violazione: la norma non è elusa, ma violata.

Nel vigore del nuovo art. 10-bis, il divieto di abuso del diritto comporta, per l'Amministrazione finanziaria, l'onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese dal contribuente, al quale, di contro, spetta dimostrare le finalità perseguite, diverse dal mero vantaggio consistente nella diminuzione del carico fiscale (v. Cass. Civ., n. 32411/2018).

Tornando al caso in premessa, atteso che l'operazione di Leveraged buy out, era stata posta in essere per favorire l'uscita di alcuni titolari dalla compagine societaria e per favorire l'entrata di altri soggetti – in breve una vera e propria riorganizzazione societaria - era del tutto legittima.

La Commissione regionale, pertanto, non ravvisando scopi elusivi nell'operazione, annullava anche le sanzioni irrogate, sottolineando che il d.P.R. n. 600/1973, art. 37-bis, si limitava a disporre l'inopponibilità all'Amministrazione di atti e negozi giuridici posti in essere ed il disconoscimento dei vantaggi economici conseguiti, ma non ad irrogare sanzioni.

Per l'effetto il secondo giudice dichiarava l'illegittimità dell'atto impositivo, dichiarato nullo.

Avverso tale decisone frapponeva ricorso l'Ente Impositore il quale evidenzia che, l'unico fine dell'intera e complessa operazione di LBO, era quella di far emergere un indebito risparmi d'imposta.

Le conclusioni della Suprema Corte di Cassazione

Tale tesi, era condivisa dalla Suprema Corte.

A detta del Giudice di Legittimità, l'operazione di LBO effettuata al fine di agevolare l'uscita di un socio e l'ingresso di nuovi soci con adeguate risorse finanziarie, è sorretta da valide ragioni economiche e non è abusiva (v. Cass. Civ., n. 868/2019).

Osservazioni

Con la sentenza in commento, i Giudici della Sezione Tributaria prendono posizione sulla natura non elusiva dell'operazione di riorganizzazione aziendale, effettuata tramite il LBO.

In linea di massima, sulla natura non elusiva della predetta operazione si era già espresso il Giudice di merito tributario (v. CTP Lombardia, Milano, sez. XXXV, 18 gennaio 2017, n. 452).

Qualche dubbio residuava sulla compatibilità dell'operazione di LBO con il divieto di acquisto di quote o di azioni proprie sancito dall'art. 2358 c.c. e con il più generale divieto di “assistenza finanziaria”.

La norma violata con l'operazione di leveraged buy out è sempre stata considerata l'art. 2358 c.c. che vieta alla società di accordare prestiti o di fornire garanzie per l'acquisto di azioni proprie. Di conseguenza, l'applicazione di siffatta norma comporterebbe anche il divieto di adoperare la c.d. leva finanziaria per acquisire la società target.

Alla luce di siffatte considerazioni, si era ritenuto che la fusione operata attraverso l'indebitamento ricalcasse anche la fattispecie del negozio in frode alla legge previsto dall'art. 1344 c.c..

Orbene, la novella (D.Lgs. n. 6/2003) disciplinando espressamente la fattispecie della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, consente di affermare l'assoluta compatibilità della fattispecie del LBO con il disposto dell'art. 2358 c.c. (v., anche, Cass. 23730/2006), considerato che, nulla vieta alla società newco di accedere a dei finanziamenti per l'acquisto delle azioni di altra società (v. Tribunale Milano, sez. 8, 27/11/2008, n. 14099).

Ad ogni modo, la centralità della sentenza in commento risiede nel non considerare elusiva la riorganizzazione aziendale che ha come conseguenza un carico fiscale inferiore, salvo che il fisco dimostri che si tratta dell'unico scopo dell'operazione e che sussiste un intento fraudolento.

Già in passato, in tema di riorganizzazione aziendale effettuata tramite un'operazione di scissione (proporzionale) orientata alla segregazione nella beneficiaria (di nuova costituzione) del compendio immobiliare in cui era svolta l'attività d'impresa (laboratorio di analisi) ed alla successiva cessione della scissa, l'Agenzia delle Entrate ha ritenuto non elusiva tale operazione, laddove la scissione era posta come un'operazione di riorganizzazione aziendale, finalizzata all'effettiva continuazione dell'attività imprenditoriale da parte di ciascuna società partecipante (v. Ris. 25 luglio 2017, n. 97/E).

Difatti, nei processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, nell'ambito di grandi gruppi d'imprese, ferma restando la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale, il carattere elusivo di una determinata operazione, si fonda normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (v. Cass. Civ., n. 439/2015): sicché il divieto di comportamenti abusivi, non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta (v. Cass. Civ., n. 4604/2014 e Cass. Civ., n. 1372/2011).

Nel caso che ci occupa, invero, a detta della Suprema Corte, l'operazione complessivamente esaminata, non era finalizzata a ottenere una riduzione d'imposta, né rimborsi indebiti, semmai erano evidenti le valide ragioni economiche, ossia favorire l'uscita di un socio e l'ingresso di altri soci dalla società di nuova costituzione (v. CTP Vicenza, sez. IV, del 21 settembre 2015, n. 792).

In ipotesi del genere, quindi, emergendo le valide ragioni economiche che rendono legittimo il risparmio d'imposta, è escluso sia l'abuso del diritto, sia l'elusione (v., anche, CTP Lombardia, Milano, sez. XXI, 19 novembre 2010, n. 388).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.