Niente “pace fiscale” se l'atto impugnato (per vizi propri) non ha natura impositiva

09 Maggio 2019

In tema di c.d. pace fiscale, non rientra tra quelle passibili di definizione agevolata ex D.L. n. 119/2018, conv. in Legge n. 136/2018 la controversia tributaria avente ad oggetto l'impugnazione di una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 ed impugnata solo per vizi propri, poiché essa non ha natura di “atto impositivo”, derivando, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro puramente formale dell'omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell'Amministrazione.
Massima

In tema di c.d. pace fiscale, non rientra tra quelle passibili di definizione agevolata ex D.L. n. 119/2018, conv. in Legge n. 136/2018 la controversia tributaria avente ad oggetto l'impugnazione di una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 ed impugnata solo per vizi propri, poiché essa non ha natura di “atto impositivo”, derivando, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro puramente formale dell'omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell'Amministrazione.

Il caso

Un contribuente ha impugnato - solo per vizi propri - una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato (art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973), a seguito di omesso (o carente) versamento di IRPEF, addizionali, interessi e sanzioni dell'anno d'imposta 2000.

A seguito della sentenza sfavorevole della CTP e della declaratoria di inammissibilità dell'appello, proponeva infine ricorso per cassazione. Nell'imminenza della data fissata per la trattazione del ricorso in pubblica udienza, depositava istanza di sospensione del processo, ai sensi dell'art. 6, comma 10, del D.L. n. 119/2018, secondo cui “Le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo. In tal caso il processo è sospeso fino al 10 giugno 2019. Se entro tale data il contribuente deposita presso l'organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020”.

La sezione Tributaria della Suprema Corte rigettato l'istanza di sospensione, rilevando che la controversia non rientrasse tra quelle oggetto di possibile definizione ai sensi dell'art. 6 D.L. n. 119/2018. Procedendo, poi, all'esame del ricorso - i cui motivi qui non rilevano - lo ha dichiarato inammissibile.

La questione

Affrontando in via preliminare la questione della (richiesta) sospensione del processo, la Sezione tributaria della Suprema Corte ha dato applicazione per la prima volta - sia pure escludendola - alla disciplina sulla c.d. pace fiscale del 2018 (su cui v. M. Ligrani, La definizione delle liti pendenti nella “pace fiscale”, Il Tributario, 30 gennaio 2019 e V. Pisani, La definizione agevolata delle controversie tributarie: primi profili applicativi e criticità, Il Tributario, 20 febbraio 2019).

La decisione odierna si radica sulla lettera dell'art. 6 del D.L. n. 119/2018, secondo cui possono essere definite le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, “aventi ad oggetto atti impositivi […], a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia”.

In evidenza:

Schematizzando dal punto di vista oggettivo rientrano nella sanatoria tutte quelle controversie di natura tributaria:

1) che hanno oggetto “atti impositivi” emessi dall'Agenzia delle Entrate;

2) il cui ricorso introduttivo è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore del decreto (24 ottobre 2018) così come chiarito nelle ultime risposte dell'Agenzia delle Entrate;

3) per le quali al momento della presentazione della domanda il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva.

Le soluzioni giuridiche

Il primo requisito individua il presupposto oggettivo per accedere alla definizione automatica della controversia.

A questo proposito, in queste pagine (V. Pisani, La definizione agevolata delle controversie tributarie: primi profili applicativi e criticità, cit.) si è sottolineata la vaghezza della norma che, “data l'assenza di una precipua definizione di atto impositivo rinvenibile nell'ordinamento, sembrerebbe voler includere nel campo applicativo dell'istituto tutte quelle controversie che, a prescindere dalla denominazione dell'atto, sono riferite ad atti che presuppongano il versamento di un importo di natura fiscale da parte del contribuente. A titolo esemplificativo, vanno annoverati gli avvisi di accertamento, gli avvisi di liquidazione, gli atti di recupero del credito d'imposta per ricerca e sviluppo, gli atti di irrogazione sanzioni, i ricorsi contro ruoli qualora portino per la prima volta il contribuente a conoscenza della pretesa tributaria”. E si era escluso dalla definizione agevolata “tutti i giudizi riguardanti gli atti non impositivi, ossia quelli che non hanno ad oggetto una pretesa tributaria nei confronti del contribuente, come ad esempio i provvedimenti riguardanti il silenzio-rifiuto, il diniego di rimborsi, quelli relativi alla procedura di riscossione coattiva dei tributi, nonché atti di natura meramente liquidatoria”.

A dette esclusioni vanno aggiunte anche altre: le controversie aventi natura cautelare e quelle relative alle risorse proprie dell'Unione europea, l'IVA riscossa all'importazione e gli aiuti di Stato.

La sentenza in commento, nell'escludere natura di atto impositivo di una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato (art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973 e art. 54-bis d.P.R. n. 633/1972) ed impugnata solo per vizi propri - e, quindi, non contestata nel merito della pretesa erariale - ha ribadito l'orientamento di legittimità in materia facente leva sulla natura meramente liquidatoria dei tributi già esposti in dichiarazione dal contribuente e, quanto alle sanzioni, sull'assenza di discrezionalità da parte dell'Amministrazione finanziaria (v. Cass. civ., sez. trib., n. 28064/2018 - espressamente citata in parte motiva - nonché, ex plurimis: Id., n. 14333/2018; Id., ord. n. 14344/2017; Id., ord. n. 1410/2017; Id., n. 7536/2016; Id., n. 1571/2015).

Si tratta di un indirizzo che affonda le radici su un risalente intervento della Cassazione sulla chiusura delle liti fiscali pendenti disciplinata, allora, dall'art. 2-quinquies D.L. n. 564/1994, conv. in L. n. 646/1994, allorché venne circoscritta alle “pretese creditorie dell'Amministrazione, ulteriori rispetto a quelle discendenti dagli elementi indicati o richiamati dallo stesso contribuente per la determinazione dell'imposta”, ed esclusa “per le contese che investano atti liquidatori e si esauriscano in un controllo sui criteri di quantificazione della pretesa tributaria, così come nel caso dell'impugnazione della liquidazione dell'imposta di registro e dell'INVIM effettuata in conformità della scelta del contribuente di ancorare l'imponibile al valore risultante dalla rendita attribuita all'immobile in sede d'accatastamento (Cass. civ., sez. trib., 19 dicembre 2000, n. 15933).

Proprio valorizzando a tale arresto giurisprudenziale, a sua volta l'Agenzia delle Entrate, a chiarimento della disciplina sulla definizione agevolata introdotta con Legge n. 289/2002 (Finanziaria 2003), con circolare n. 12/2003, al paragrafo 11.3.3 chiarì che: “Non sono definibili l'avviso di liquidazione, l'ingiunzione e il ruolo, in considerazione della natura di tali atti, non riconducibili nella categoria degli “atti impositivi”, in quanto finalizzati alla mera liquidazione e riscossione del tributo e degli accessori. Gli avvisi di liquidazione, in particolare, attengono a procedimenti che non prevedono l'autoliquidazione dei tributi. Essi non presuppongono, di norma, operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti, ma si limitano a trarre le necessarie conseguenze dai dati in esse dichiarati. Si deroga a tale principio qualora uno dei predetti atti assolva anche funzione ‘impositiva', oltre che di liquidazione e riscossione”.

Analogo indirizzo, in via di prassi, fu confermato dall'Agenzia con la Circolare n. 48/2011, al paragrafo 4.2, ove ribadì che non sono definibili l'avviso di liquidazione ed il ruolo in considerazione della loro non riconducibilità nella categoria degli atti impositivi, in quanto finalizzati alla riscossione dei tributi e accessori. In sostanza, per l'Agenzia delle Entrate rientrano nella categoria degli atti definibili quelli che assolvono anche alla funzione di atto di accertamento, oltre che di riscossione.

Osservazioni

Sulla odierna decisione sembra aver inciso in modo determinante la circostanza che la cartella in questione fu impugnata solo per vizi propri e non per motivi attinenti al merito della pretesa erariale.

A quest'ultimo riguardo, si registra per il vero un difforme indirizzo di legittimità che, sempre in tema di condono fiscale, fa invece rientrare nel concetto di lite pendente, con possibilità di definizione agevolata ai sensi dell'art. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011, conv. in Legge n. 111/2011, anche la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della cartelle emessa in sede di controllo cartolare ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973, ove (come di regola) non preceduta da un atto di accertamento, e, come tale, impugnabile non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, trattandosi del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente in difetto di previo avviso di accertamento (Cass. civ., sez. trib., 12 dicembre 2018, n. 32132; Id., 27 settembre 2018, n. 23269; v. altresì ex plurimis: Id., n. 31055/2017; Id,. n. 28611/2017; Id. n. 1295/2016; Id., 5947/2015, Id., n. 1263/2014).

In quest'abbrivio per riconoscere, od escludere, la natura impositiva di una cartella emessa all'esito di controllo automatizzato - e, quindi, per dare ingresso, o meno, alla sua sanabilità fiscale - occorre verificare, in concreto, se essa costituisce il primo ed unico atto portato a conoscenza del dichiarante: ipotesi che determina la sua impugnabilità, ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, non solo per vizi propri ma anche per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa erariale.

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