Graffette migrate nell’addome del paziente e risarcimento del danno non patrimoniale
20 Maggio 2019
Massima
I dolori sofferti dal paziente per la durata di otto anni, in seguito alla migrazione nel corpo di graffette inserite con intervento chirurgico, sono fonte di un danno biologico temporaneo, da liquidarsi in rapporto all'intero periodo di permanenza nell'addome delle clips metalliche. Il caso
Nel 1998 un uomo si sottopone a un intervento chirurgico di ernia iatale, successivamente al quale comincia a lamentare dolori in zona lombo-sacrale. A partire da quel momento, al fine di stabilire l'origine di tali dolori, si sottoporrà a una lunga serie di esami che solo tre anni dopo verranno a evidenziare la presenza nell'addome di corpi metallici. Nel corso di due successivi interventi di rimozione di tali corpi estranei - l'ultimo dei quali avvenuto nel 2006 – si scoprirà trattarsi di graffette in titanio, utilizzate all'atto dell'operazione di ernioplastica, migrate in posizione diversa da quella in cui erano state originariamente fissate. Dopo un periodo relativamente lungo di benessere, seguito all'eliminazione delle clips, l'uomo ricomincerà a soffrire di dolori nella zona lombare, a causa dei quali sarà costretto ad abbandonare la propria attività lavorativa. Il tribunale di Monza, chiamato a pronunciarsi sul risarcimento dei danni patiti dal paziente, rileva la sussistenza del nesso di causa tra la presenza delle graffette in zona addominale e i dolori sofferti dall'uomo negli otto anni intercorsi fino alla loro definitiva asportazione, ravvisando la ricorrenza di un danno biologico di natura temporanea. Quanto al danno di carattere permanente, il giudice accerta la ricorrenza di una lieve menomazione di carattere anatomico, dipendente dai due interventi di rimozione delle clips, nonché una sindrome di natura psicogena, quale reazione al lungo calvario patito, per un pregiudizio complessivamente valutato nella misura del 5%. Viene, invece, esclusa la ricorrenza del nesso causale con riguardo ai dolori fisici sofferti in epoca successiva all'ultimo intervento, in quanto manifestatisi a lunga distanza dopo l'avvenuta asportazione delle graffette. Per quanto concerne la determinazione del quantum, il tribunale liquida il danno biologico permanente (rectius: danno non patrimoniale da lesione alla salute) attraverso l'applicazione della tabella di Milano, con il riconoscimento di una personalizzazione massima, nella misura del 50%, posta la peculiarità della vicenda, fonte di gravi preoccupazioni ed ansie in capo al paziente. Quanto alla liquidazione del danno biologico temporaneo, il giudice monzese prende le distanze dalle indicazioni del CTU, riconoscendo un danno da invalidità temporanea per tutto il periodo di permanenza delle clips nel corpo del paziente. L'invalidità temporanea parziale sarà quindi calcolata – prendendo a riferimento il valore base di 120 euro - in misura percentuale individuata (ad esclusione del periodo di sottoposizione agli interventi di rimozione e relativa convalescenza, in cui viene calcolata in valori variabili tra il 75% e il 25%) nella misura del 10%.
La questione
La questione peculiare affrontata dal tribunale di Monza riguarda l'abnorme durata dello stato di invalidità temporanea, protrattosi per ben otto anni, che determina una liquidazione del tutto inusuale del danno, il cui importo finisce per risultare più del triplo rispetto a quello liquidato a titolo di invalidità permanente. Le soluzioni giuridiche
Il giudice monzese si mostra consapevole della inusuale quantificazione del danno biologico temporaneo (che, in verità, riguarda il pregiudizio non patrimoniale complessivamente inteso, in quanto comprensivo dei profili di ordine morale). La soluzione imboccata viene ritenuta dal tribunale quale unica strada utile a consentire il risarcimento del danno concretamente sofferto dalla vittima, che ha patito dolori per tutti gli otto anni durante i quali corpi estranei appuntiti sono rimasti presenti nel suo addome. Secondo il giudice tale danno riveste necessariamente natura temporanea: per otto anni le condizioni del paziente non si sono stabilizzate né potevano stabilizzarsi, in quanto non dovute a una malattia, ma alla presenza delle graffette metalliche in migrazione in varie sedi di organi interni Il tribunale rileva che non sarebbe giustificato convertire una situazione per sua natura temporanea in una diversa situazione di danno psichico stabilizzato, in quanto le condizioni del paziente possono essere considerate stabilizzate solo all'esito della definitiva rimozione dell'ultima graffetta. In quel momento, a causa dell'abnorme durata della situazione di sofferenza fisica, residuerà in capo alla vittima un danno permanente di natura psichica. Il tribunale giustifica l'individuazione del valore di riferimento per il calcolo dell'invalidità temporanea nella misura di 120 euro, intermedia rispetto alla forbice indicata dall'osservatorio del Tribunale di Milano, in ragione del fatto che, pur essendosi verificati periodi di acuto disagio sul piano fisico, esteso anche alla sfera sessuale, si sono manifestati anche intervalli di sollievo, in ragione di talune delle cure consigliate, suscettibili di attenuare la sintomatologia dolorosa. Il giudice monzese ritiene, inoltre, necessario tener conto del disagio psicologico correlato allo stato di incertezza, considerata la mancanza di una diagnosi sicura e la variabilità di prospettive avanzate, tali da includere l'eventualità di una malattia oncologica..
Osservazioni
L'interessante pronuncia del tribunale di Monza sollecita varie osservazioni, la prima delle quali riguarda il profilo terminologico. Malgrado siano trascorsi più di dieci anni dalle sentenze di San Martino delle Sezioni Unite - miranti ad affermare una nozione unitaria di danno non patrimoniale - e dalla conseguente modifica delle Tabelle di Milano - volte a quantificare non più il solo danno biologico, bensì il danno non patrimoniale derivante dalla lesione alla salute complessivamente inteso – il giudice continua ad utilizzare l'etichetta di danno biologico. Al di là del termine impiegato, è tuttavia chiaro l'intento di procedere alla liquidazione del pregiudizio complessivamente sofferto dalla vittima, comprensivo dei profili di ordine morale. Sono, anzi, proprio i disagi e i patemi di carattere emotivo a giustificare il congruo aumento del valore monetario di riferimento per la quantificazione del danno derivante da invalidità temporanea. Quanto ai valori di riferimento, sono quelli previsti dalle Tabelle di Milano e non già quelli stabiliti dall'art. 7, comma 4, della l. n. 24/2017 (c.d. legge Gelli-Bianco), che – nel confermare quanto previsto dall'art. 3, comma 3, della legge Balduzzi - afferma che in materia di responsabilità sanitaria il danno è risarcito sulla base delle tabelle previste dagli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private. Il giudice monzese non si sofferma sul problema dell'eventuale applicabilità delle tabelle normative, affrontato invece da una sentenza di merito (Trib. Udine 2 novembre 2015, n. 1469. www.ilcaso.it) riguardante una fattispecie simile a quella qui esaminata: si trattava, infatti, dell'invalidità temporanea sofferta da un paziente per la presenza di una vite metallica, mal posizionata durante un intervento chirurgico, causa di una sintomatologia dolorosa durata fino al momento della rimozione. Il giudice udinese rileva, in particolare, che le conseguenze dannose del fatto generatore del diritto al risarcimento si sono prodotte prima dell'entrata in vigore della norma in questione: il che vale, tra l'altro, anche per la fattispecie in esame, essendo stato eseguito l'ultimo intervento di rimozione nel 2006. La questione peculiare intorno alla quale ruota la pronuncia monzese riguarda la qualificazione del pregiudizio patito dal paziente, in seguito alla presenza di graffette migranti all'interno della zona addominale. Il tribunale risulta orientato a parlare di invalidità temporanea, in ragione della mancata stabilizzazione della situazione del paziente fino al momento della rimozione delle graffette: conclusione, questa, sulla quale merita riflettere. Si tratta, in effetti, di interrogarsi sull'eventualità di inquadrare in maniera alternativa il pregiudizio, posto che la presenza di un corpo estraneo nell'addome può essere vista quale fonte di un'invalidità permanente, in corrispondenza alla menomazione che lo stato di dolore fisico determina in capo alla persona, destinato di per sé a perdurare fino all'eventuale rimozione. Una simile linea di lettura porterebbe, quindi, a individuare la ricorrenza di due distinti danni da invalidità permanente: (a) il primo, della durata di otto anni, correlato alla presenza di clips nell'addome; (b) il secondo, residuato dopo la rimozione delle graffette, destinato a perdurare per il resto della vita del paziente. |