Asd: gli importi fino a 200 mila euro si presumono corrisposti a titolo di spese di pubblicità

Francesco Brandi
02 Ottobre 2017

I corrispettivi in favore di associazioni sportive dilettantistiche, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore ad Euro 200.000, non possono considerarsi semplici erogazioni liberali, né essere recuperate a tassazione per mancanza di inerenza, essendovi al riguardo la presunzione assoluta in base alla quale vanno considerate spese di pubblicità ai sensi dell'art. 90, comma 8 della Legge n. 289/2002.
Massima

I corrispettivi in favore di associazioni sportive dilettantistiche, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore ad Euro 200.000, non possono considerarsi semplici erogazioni liberali, né essere recuperate a tassazione per mancanza di inerenza, essendovi al riguardo la presunzione assoluta in base alla quale vanno considerate spese di pubblicità ai sensi dell'art. 90, comma 8 della Legge n. 289/2002.

Il caso

Con una sentenza del 2015 la CTR Marche annullava un avviso di accertamento relativo al 2007 con cui era stata ripresa a tassazione una spesa di sponsorizzazione sostenuta dalla contribuente nei confronti di due associazioni sportive dilettantistiche per difetto di inerenza.

Col ricorso per Cassazione l'Agenzia delle entrate denunciava violazione e falsa applicazione, tra l'altro, del predetto art. 90 della Legge n. 289/2002, in quanto la CTR aveva concluso per l'inerenza del costo nonostante la scarsa rilevanza e conoscibilità delle associazioni sportive sponsorizzate, appartenenti allo stesso ambito territoriale dove la società contribuente aveva sede, tenendo conto che i costi dovevano essere strumentali alla promozione dell'immagine di un'impresa - avente ad oggetto l'attività di commercio di accessori e macchinari per calzature - con clientela quasi esclusivamente estera.

Il motivo di ricorso è stato giudicato infondato: in base al principio iura novit curia è stata ritenuta ammissibile la questione dell'applicabilità dell'art. 90 della Legge n. 289/2002, anche se proposta solo in appello, trattandosi di questione di mero diritto sulla base di presupposti di fatto (essere le società sponsorizzate associazioni sportive dilettantistiche e essere l'importo delle sponsorizzazioni non superiore a 200.000 euro) pacificamente acquisiti in atti. Nel merito, l'art. 90 comma 8 della Legge n. 289/2002 introduce una presunzione legale assoluta di qualificazione della spesa sostenuta, entro il limite di 200 mila euro, come spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine o dei prodotto dell'azienda sponsor: di conseguenza il costo è da ritenersi inerente e congruo all'esercizio dell'attività commerciale (cfr. Cass. civ., n. 7202/2017).

Le questioni

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda l'interpretazione dell'art. 90, comma 8 della Legge n. 289/2002 che, con una norma di favore per il mondo dell'associazionismo, avrebbe introdotto presunzione legale assoluta di qualificazione, come spese di pubblicità, degli importi fino a 200 mila euro corrisposti alle ASD.

Le soluzioni giuridiche

Spesso l'Agenzia delle Entrate contesta la deducibilità delle spese di sponsorizzazione sostenute nei confronti di soggetti che svolgono attività sportiva dilettantistica.

Al riguardo, l'art. 90 della Legge 22 dicembre 2002, n. 289 (rubricato “Disposizioni per l'attività sportiva dilettantistica”) introduce al comma 8, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione legale in forza della quale tali spese costituiscono, nel limite d'importo annuo complessivamente non superiore ai 200.000 euro, spese di pubblicità, volte alla «promozione dell'immagine o del prodotto del soggetto erogante» integralmente deducibili dal reddito d'impresa.

Con riferimento a tale disposizione, nella Circolare 22 aprile 2003 n. 21, al par. 8, (rubricato “Agevolazioni concernenti le spese di pubblicità - art. 90, comma 8”), dopo aver premesso che la stessa «introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate - nel limite del predetto importo - comunque di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante ai sensi dell'art. 74, comma 2, del TUIR nell'esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell'esercizio medesimo e nei quattro anni successivi» si è precisato che «la fruizione dell'agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni:

1) i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante;

2) deve essere riscontrata, a fronte dell'erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima”.

Ne consegue che, ai fini della deducibilità delle spese in parola è in ogni caso necessario riscontrare, in via preliminare, che le stesse siano provviste dei requisiti di effettività ed inerenza. Una volta riscontrati detti requisiti, la deducibilità quali spese di pubblicità è comunque ammessa, nel limite dei 200.000 euro, ovviamente nel presupposto che la sponsorizzazione sia in ogni caso finalizzata – come si sottolinea nella predetta circolare – alla promozione dell'immagine oppure dei prodotti del soggetto erogante. Ne deriverebbe probabilmente l'esclusione di qualsiasi giudizio di inerenza quantitativa, relativo alla congruità del costo sostenuto.

Sul contenuto della presunzione (ovvero se essa faccia riferimento alla natura della spesa, di pubblicità o rappresentanza, o ai requisiti di deducibilità del costo, soprattutto in termini di inerenza) si sono sviluppati accesi dibattiti giurisprudenziali.

L'inerenza in particolare deve essere configurata come correlazione fra onere sostenuto e attività produttiva di reddito imponibile, non essendo invece da ricondurre ai ricavi realizzati. Il costo deve essere riconducibile all'attività svolta, con la conseguenza che sono deducibili tutti i componenti negativi relativi all'attività medesima. In pratica, come sottolineato dal Comitato consultivo con il parere 19 febbraio 2001 n. 1, occorre valutare se tra spesa ed attività o beni da cui derivano ricavi sussiste una relazione immediata e diretta. Tale posizione peraltro è stata ribadita ripetutamente dalla Corte di Cassazione (tra le altre, sentenze n. 1465 e 3582 del 2009), che ha avuto modo di sottolineare come:

  • il concetto di inerenza deve essere interpretato in modo ampio, quale collegamento dei costi e degli oneri con l'attività dell'impresa e non con i ricavi;
  • un costo è ritenuto fiscalmente deducibile non necessariamente se è stato sostenuto per ottenere un ben preciso e determinato componente positivo, ma a condizione, sufficiente, che sia correlato in senso ampio all'impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere un'attività potenzialmente idonea a produrre utili.

In termini pratici, l'attività d'impresa non può essere ricollegata ad un'esigenza di immediata realizzazione di profitto, dovendosi valutare in maniera ampia le scelte strategiche, anche di gruppo e gli obiettivi di ampio respiro perseguiti.

Ad esempio, secondo la CTR Lazio (sentenza 3030/1/16) non è inerente in quanto antieconomica la spesa per sponsorizzazione effettuata nel settore del calcio a cinque di importo notevolmente superiore anche a quanto si spende per omologhe squadre di calcio a undici. Inoltre il ristretto ambito locale e lo scarso numero di spettatori raggiungibile dal messaggio pubblicitario non giustificano tali costi.

Richiamando tali principi, la CTR Lombardia, con la significativa pronuncia n. 3228/65/16 ha stabilito che “risulta sussistere altresì il requisito dell'inerenza della spesa pubblicitaria, riferita a una società sportiva ubicata in zona agricola ove sono ubicati gran parte dei clienti della società. Va anche evidenziato che la pubblicizzazione del marchio si traduce "innegabilmente in un potenziale vantaggio economico diretto per l'impresa sponsorizzante, potendone derivare, in conseguenza, un incremento della propria attività commerciale”.

Anche dal punto di vista dell'inerenza quantitativa i giudici sottolineano inoltre la congruità della spesa (20 mila euro annui), a fronte del volume d'affari dichiarato nel 2007, annualità oggetto di accertamento (pari ad oltre un milione di euro).

Di contrario avviso la CTR Marche (sentenza 329/2/16), che ha espresso una posizione analoga all'ordinanza in commento. Secondo i giudici marchigiani i corrispettivi in favore di associazioni sportive dilettantistiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni sportive, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore ad Euro 200.000, non possono considerarsi semplici erogazioni liberali, né essere recuperate a tassazione per mancanza di inerenza, essendovi al riguardo la presunzione assoluta in base alla quale vanno considerate spese di pubblicità ai sensi dell'art. 90, comma 8 della Legge 289/2002, che ne prevede la deducibilità integrale da parte del soggetto erogante, ai sensi dell'art. 108 del TUIR (nell'esercizio in cui sono state sostenute).

In altri termini i corrispettivi in favore di associazioni sportive dilettantistiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni sportive costituiscono sempre, per i soggetti eroganti, spese di pubblicità volte alla promozione dell'immagine o dei prodotti dello stesso mediante una specifica attività del beneficiario.

Nel caso di specie il costo aveva superato anche il vaglio di congruità, pur essendo questo un profilo di esclusiva pertinenza dell'imprenditore: viene infatti evidenziato che il fatturato della società sponsor si era incrementato nel tempo.

Osservazioni

Il contratto di sponsorizzazione è un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, la cui causa è rappresentata dall'utilizzazione a fini promozionali, dell'attività, del nome o di un prodotto marcato, dell'immagine, del soggetto sponsorizzato, a fronte di un corrispettivo di norma consistente in una somma di denaro.

L'art. 108, comma 2, del TUIR, nella sua formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2007, non forniva criteri utili a qualificare le spese di rappresentanza, limitandosi a prevedere un regime di parziale deducibilità delle stesse nella misura di un terzo del loro ammontare, peraltro deducibili in quote costanti nell'esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi.

In particolare, nella formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2007 il comma 2 dell'art. 108 si limitava a prevedere per le spese di rappresentanza un regime di parziale deducibilità (nella misura di un terzo del loro ammontare ed in quote costanti, nell'esercizio in cui le medesime sono state sostenute e nei quattro successivi), senza fornire una precisa nozione di spese di rappresentanza.

La materia è stata oggetto di una sostanziale revisione ad opera dell'art. 1, comma 33, lett. p), della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (entrato in vigore il 1° gennaio 2008), nonché del relativo decreto di attuazione (D.M. 19 novembre 2008).

Il novellato art. 108 del TUIR prevede ora che «Le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d'imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell'attività caratteristica dell'impresa e dell'attività internazionale dell'impresa. Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50».

Il D.M. 19 novembre 2008, dopo aver evidenziato il carattere gratuito delle spese “di rappresentanza”, ha richiamato il requisito dell'inerenza richiedendo che le spese in questione siano sostenute con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e che il loro sostenimento risponda comunque a criteri di ragionevolezza in funzione dell'obiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici economici per l'impresa ovvero comunque coerente con gli usi e le pratiche commerciali del settore in cui l'impresa si trova ad operare e competere.

In sintesi, la giurisprudenza (cfr. Cass. civ., 15 aprile 2011, n. 8679) ha contribuito fortemente alla individuazione dei criteri utili a distinguere le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità, approdando alla conclusione che le spese di rappresentanza:

  • sono tese a migliorare l'immagine ed il prestigio aziendale senza dar luogo ad una aspettativa immediata di incremento delle vendite;
  • sono suscettibili di recare utilità ai terzi beneficiari;
  • sono di norma contraddistinte da gratuità, ossia dall'assenza di corrispettivo che resti a carico dei beneficiari delle spese.

D'altro lato, le spese di pubblicità:

  • hanno essenzialmente la funzione di rendere conoscibile il marchio o il prodotto presso il mercato di destinazione, onde realizzare a un incremento delle vendite;
  • non recano alcuna utilità a terzi;
  • si generano all'interno di un rapporto contrattuale che prevede l'instaurarsi di un rapporto sinallagmatico tra le parti coinvolte.

Secondo la Suprema corte, il collocamento della sponsorizzazione nell'ambito delle spese di pubblicità viene meno, in particolare, nei casi in cui l'attività di sponsorizzazione, in quanto non funzionalmente o logicamente collegata con il mercato di riferimento del soggetto sponsorizzato, ovvero essendo di ammontare non congruo rispetto alle dimensioni ed ai ricavi dello sponsor, non appare idoneo a generare una “diretta aspettativa di ritorno commerciale”.

In sintesi, l'analisi del rapporto esistente tra le caratteristiche della spesa sostenuta – per natura e valore – e le caratteristiche dell'attività tipica svolta dall'impresa - per natura e dimensioni – aiuta a comprendere la sussistenza o meno di una «aspettativa di ritorno commerciale» diretta o indiretta e quindi a qualificare la spesa medesima rispettivamente come pubblicità o rappresentanza.

Così inquadrata la problematica delle spese di pubblicità e della distinzione con quelle di rappresentanza, la deducibilità dei relativi costi viene valutata dagli uffici tenendo conto delle disposizioni generali in tema di deducibilità dei costi, con particolare riferimento ai requisiti di effettività (di cui all'art. 109, comma 1 del TUIR) e di inerenza (ex art. 109, comma 5); una volta riscontrata l'effettività e l'inerenza, l'indagine si concentra sugli elementi utili a qualificare la spesa come “di pubblicità” ovvero “di rappresentanza”, ai fini della loro deducibilità ai sensi dell'art. 108 del TUIR.

In merito all'inerenza l'art. 109, comma 5 del citato d.P.R. n. 917/1986, ne definisce, sotto il profilo fiscale, il concetto prevedendo che “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.

In alcuni casi, il recupero integrale a tassazione delle spese, ricondotte dai contribuenti tra quelle di sponsorizzazione, è motivato proprio dalla mancanza di inerenza delle spese all'attività d'impresa in considerazione della totale assenza di correlazione rispetto ai piani operativi dell'impresa o, più in generale, della inidoneità delle stesse a promuovere in via diretta o indiretta un incremento del business aziendale. Di contro i contribuenti sostengono come il contratto di sponsorizzazione sia naturalmente e in ogni caso orientato alla valorizzazione dell'attività dello sponsor.

La giurisprudenza di legittimità ha fornito al riguardo utili criteri di orientamento, affermando che ogni valutazione in ordine alla deducibilità totale o parziale dei relativi costi debba essere anzitutto fondata sul riscontro preventivo del rispetto del principio di inerenza rispetto all'attività svolta, rilevante, ai fini delle imposte dirette e dell'IVA, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo.

Sotto il profilo qualitativo, che pone in relazione il costo sostenuto all'attività concretamente svolta dallo sponsor, i giudici di legittimità, nella sentenza del 19 novembre 2007, n. 23862 – intervenendo su di una ipotesi di accertamento ai fini IVA – hanno escluso, nel caso di specie, ogni rapporto di inerenza “tra l'IVA pagata a monte e l'oggetto dell'impresa che intende portarla in detrazione”; i giudici, in particolare, hanno ritenuto che non sussistessero elementi idonei “ad infirmare, in via logica, il giudizio di non inerenza” delle spese dedotte che il giudice a quo aveva concretamente derivato dalla estraneità della sponsorizzazione all'attività esercitata.

In altre fattispecie, l'ufficio contesta l'inerenza del costo sotto il profilo quantitativo, ossia della congruità della spesa sostenuta in relazione al volume d'affari, agli eventuali benefici promozionali, al bacino di utenza del soggetto sponsorizzato, concludendo per la indeducibilità del costo di sponsorizzazione.

In alcuni casi il giudice ha ritenuto la spesa solo parzialmente inerente, negandone la deducibilità per la parte eccedente il limite di inerenza (cfr., tra le altre, CTP Arezzo, sentenza 26 settembre 2011, n. 268).

Sul punto si segnala anche la recente sentenza della Cassazione n. 10914/2015 secondo cui la deducibilità delle spese relative ad un contratto di sponsorizzazione è subordinata alla dimostrazione, da parte del contribuente, del requisito di inerenza consistente non solo nella giustificazione della congruità dei costi rispetto ai ricavi o all'oggetto sociale (inerenza quantitativa), ma soprattutto nell'allegazione delle potenziali utilità per la propria attività commerciale, intesa come idoneità ad ampliare le prospettive di crescita dell'impresa (in termini di allargamento della clientela e/o di incremento dei ricavi) nell'ambito territoriale beneficiato dalle attività di sponsorizzazione.

Nell'accogliere il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, i giudici di legittimità, dopo aver ricordato che in tema di riparto dell'onere probatorio spetta al contribuente dimostrare i presupposti di deducibilità dei costi (in primis l'inerenza), hanno stabilito che “sarebbe stato onere della contribuente offrire la prova, a fronte delle contestazioni formulate dall'ufficio in sede di verifica con particolare riferimento al carattere locale delle iniziative finanziate rispetto ad un'attività imprenditoriale che si rivolgeva prevalentemente ai mercati esteri, che i costi in parola erano pure inerenti”.

In altri termini “sarebbe stato più esattamente onere della parte, dimostrare non solo la congruità dei costi sostenuti a fini di sponsorizzazione in rapporto all'attività caratteristica e al volume d'affari che ne costituiva il risultato, ma pure la loro idoneità ad ampliare le prospettive di crescita dell'impresa nell'ambito territoriale beneficiato dalle attività di sponsorizzazione, in questa ottica non essendo sufficiente che la spesa fosse debitamente documentata, ma occorrendo altresì che ne fosse comprovata l'inerenza sotto lo specifico profilo del concreto vantaggio che nello specifico contesto territoriale ne avrebbero potuto ritrarre le attività della contribuente in termini di allargamento della clientela e di incremento dei ricavi”.

L'altro vulnus della pronuncia impugnata sarebbe stato quello di ritenere che tutte le spese di sponsorizzazione sostenute dalla contribuente, ancorché non ne fosse dimostrata la loro finalizzazione al miglioramento delle prospettive reddituali delle attività di impresa, andassero indistintamente annoverate quali spese di pubblicità e di propaganda e ne fosse perciò consentita la deducibilità in ragione del loro intero ammontare.

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