Operazioni fuori bilancio: norme di valutazione inapplicabili per i contratti derivati
18 Ottobre 2018
Massima
Nel caso in cui una società abbia portato ad esecuzione dei contratti a termine su valute, le deduzione delle relative perdite non può trovare limitazione nell'applicazione delle norme sulla valutazione delle operazioni fuori bilancio, ma deve essere disciplinata dalle norme generali che trattano le differenze cambi. Il caso
Con la sentenza del 26 settembre 2018, n. 22942, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, che aveva impugnato una sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania ad essa sfavorevole. In particolare, era stato contestato ad una società di avere dedotto delle maggiori perdite rispetto al dovuto, in quanto non avrebbe applicato correttamente la normativa fiscale relativa alle operazioni fuori bilancio. Il contenzioso in esame aveva per oggetto l'avvenuta stipula di contratti derivati su valuta (rientranti nelle cd. operazioni fuori bilancio), denominati “Knock in knock out forward outperforming”, costituiti da contratti di vendita a termine su valuta che si attivavano unicamente se alla data di scadenza il cambio a pronti si collocava all'interno degli intervalli predeterminati dei tassi di cambio, mentre, in mancanza, il contratto non esplicava alcuna efficacia.
Da quanto si legge nella motivazione, la società avrebbe attivato solo alcuni dei contratti a termine, realizzando una perdita, in quanto il cambio corrente risultava all'interno degli intervalli prefissati. A seguito di tale operazione, la società avrebbe acquistato la valuta corrispondete, la cui valutazione avrebbe generato un'ulteriore perdita. L'Agenzia delle entrate aveva eccepito che la deduzione delle suddette perdite non era corretta, in quanto, per la relativa valutazione delle poste in valuta, dovevano ritenersi operanti i criteri stabiliti dall'art. 103-bis TUIR, che, in relazione alla tipologia di operazione fuori bilancio in valuta, il quale rinviava ai criteri previsti dal D.Lgs. n. 87/1992, art. 21, commi 2 e 3. La questione
La sentenza in esame si occupa della corretta applicazione della normativa sulle operazioni in valuta “ratione temporis vigente”. A questo punto, è necessario distinguere il trattamento fiscale, vigente all'epoca dei fatti, delle operazioni in valuta fuori bilancio (in generale, categoria di operazioni che non influenzavano, se non a scadenza ed eventualmente, l'impiego di fondi ed erano iscritte nei conti d'ordine), da quelle che trovano rilevanza nei conti annuali. Relativamente alla prima tipologia di operazioni, l'articolo 103-bis, comma 1, del TUIR prevedeva che: "Alla formazione del reddito degli enti creditizi e finanziari indicati nell'art. 1 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, concorrono i componenti positivi e negativi che risultano dalla valutazione delle operazioni "fuori bilancio", in corso alla data di chiusura dell'esercizio, derivanti da contratti che hanno per oggetto titoli, valute o tassi d'interesse, o che assumono come parametro di riferimento per la determinazione della prestazione la quotazione di titoli o valute ovvero l'andamento di un indice su titoli o valute ovvero l'andamento di un indice su titoli, valute o tassi d'interesse".
I criteri per la valutazione di tali operazioni "fuori bilancio" erano contenuti nel successivo comma 2, del suddetto articolo 103-bis del TUIR.
Inoltre, l'articolo 2, comma 1, della Legge 21 novembre 2000, n. 342, con l'introduzione del comma 2-bis alla disposizione in commento, aveva esteso i criteri di valutazione delle operazioni "fuori bilancio" agli altri soggetti, diversi dagli enti creditizi e finanziari, che valutavano tali operazioni nei conti annuali. Il citato comma 2 dell'art. 103-bis stabiliva che la valutazione delle operazioni "fuori bilancio" era effettuata secondo i criteri contenuti nel decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87 e che, a tal fine, il valore dei componenti negativi non poteva essere superiore alla differenza tra il valore del contratto o della prestazione alla data della stipula o a quella della chiusura dell'esercizio precedente e il corrispondente valore alla data di chiusura dell'esercizio. In particolare, la lettera c) della disposizione in commento, prevedeva che per i contratti di compravendita di valute, al fine della determinazione del valore alla data di chiusura dell'esercizio si devono adottare i criteri previsti dalle lettere a) e b) del comma 2 dell'art. 21 del D.lgs. n. 87/1992.
Relativamente, invece, alla valutazione delle componenti reddituali, positive o negative, sorte dal rapporto e quindi relative a poste patrimoniali di bilancio (quindi non relative ad operazioni fuori bilancio), il trattamento fiscale non poteva che avvenire in conformità alla regola generale di cui all'art. 76 TUIR, secondo il quale, nel testo applicabile all'epoca dei fatti, "per la determinazione del valore normale dei beni e dei servizi e, con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi, spese e oneri in natura o in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell'art. 9; tuttavia i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera, percepiti o effettivamente sostenuti in data precedente, si valutano con riferimento a tale data... la valutazione, secondo il cambio alla data di chiusura dell'esercizio, dei crediti e dei debiti in valuta estera risultanti in bilancio, anche sotto forma di obbligazioni o titoli similari, è consentita se effettuata per la totalità di essi", imputando a conto economico i rispettivi proventi ed oneri di conversione.
Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame, ha rilevato che:
1) l'iscrizione delle operazioni outrights nei soli conti d'ordine (o, comunque, non nei conti annuali), nella fase in cui essi rappresentavano solo potenziali rischi o vantaggi (in quanto tali ininfluenti ai fini patrimoniali), aveva sicuramente determinato l'inapplicabilità dell'art. 103-bis, e, dunque, l'esclusione della loro valutazione (e della loro rilevanza fiscale) prima della scadenza del termine; 2) il raggiungimento del termine, e l'effettivo realizzo del derivato (nella specie, l'acquisto della valuta estera), con iscrizione dei risultati (le perdite) nel bilancio annuale, aveva comportato, invece, che la valutazione - e la rilevanza ai fini fiscali - non aveva avuto ad oggetto, in sè, le operazioni fuori bilancio, ma i risultati conseguiti, sicchè esulava dall'ambito dell'art. 103-bis cit., che si riferiva solo ai contratti pendenti.
In altri termini, secondo la Suprema Corte, il comportamento del contribuente era stato corretto, in quanto le operazioni erano state iscritte in conti d'ordine (e, dunque, ininfluenti sul patrimonio e sul risultato economico avuto riguardo al momento della loro iscrizione), salvo provvedere alla valutazione e all'iscrizione in bilancio nel momento in cui le stesse sono andate in esecuzione, generando un introito od una perdita, poi assoggettato a valutazione ai sensi dell'art. 76, comma 2, TUIR, di cui sopra.
Per questo motivo, i giudici di legittimità hanno affermato il seguente principio di diritto: "le operazioni fuori bilancio (nella specie, contratti derivati su valuta a termine) poste in essere da soggetti diversi dagli enti creditizi o finanziari concorrono alla determinazione del reddito ai sensi dell'art. 103-bis, comma 2 bis, TUIR, ratione temporis vigente, solamente se siano state oggetto di valutazione, secondo l'ordinaria disciplina civilistica, nei conti annuali, mentre ove siano iscritte in conti d'ordine la valutazione dei risultati conseguiti, ossia delle componenti reddituali, positive o negative, sorte dal rapporto, va operata in conformità all'art. 76 TUIR, nel testo ratione temporis vigente”. Osservazioni
Da quanto si è potuto eccepire dalla motivazione, le valutazioni effettuate dai giudici sembrerebbero essere corrette.
Infatti, erano state considerate deducibili, nel periodo d'imposta oggetto della contestazione, le perdite su cambi così come contabilizzate dalla società, comprensive, sia di quelle provenienti dai contratti derivati di copertura, sia di quelle determinate a seguito di valutazione alla fine dell'esercizio delle poste di bilancio in valuta estera. Per questo motivo, nel caso in esame, non doveva applicarsi l'art. 103-bis, secondo il quale l'eventuale imputazione alla voce 17 del conto economico di oneri finanziari superiori alla differenza tra il valore del contratto e il valore corrispondente alla data di chiusura dell'esercizio deve essere oggetto di una variazione in aumento ai sensi dell'art. 52 TUIR (così risposta interpello dell'Agenzia Entrate 23 luglio 2002 n. 246). Le conclusioni della sentenza dovrebbero valere anche per le operazioni disciplinate dall'attuale art. 112 del TUIR, il quale, oltre ad abbandonare i riferimenti alle disposizioni del D.Lgs. n. 87/1992 ed a fare riferimento ai corretti principi contabili adottati dalla singola società, prevedono una deduzione Integrale (ad eccezione delle micro-imprese, rispetto alle quali, si applicano ancora dei limiti di deducibilità) dei componenti negativi imputati a conto economico e derivanti dalla valutazione a fine esercizio.
Per quanto riguarda le operazioni in valuta, l'art. 110, comma 2, del TUIR, salvo alcune modifiche, prevede le stesse disposizioni di cui all'art. 76, specificando che la valutazione delle poste patrimoniali alla fine dell'esercizio hanno rilevanza solo per quelle il cui rischio di cambio è coperto, qualora anche i contratti di copertura vengono valutati in modo coerente al cambio di chiusura. E questo secondo le indicazioni fornite, per le operazioni di copertura, dall'art. 112 del TUIR.
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