Riscossione imposte: prescrizione decennale anche in caso di giudicato di inammissibilità

06 Giugno 2019

Il diritto alla riscossione di un'imposta, azionato mediante emissione di cartella di pagamento e fondato su un accertamento divenuto definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza di cui all'articolo 25 del d.P.R. n. 602/1973 (nel testo vigente "ratione temporis"), bensì al termine di prescrizione decennale previsto dall'art. 2953 c.c. per l'actio iudicati, irrilevante la circostanza che la statuizione giudiziale che ha determinato la definitività della pretesa erariale sia consistita nella declaratoria di inammissibilità per tardività dell'originario ricorso del contribuente.
Massima

Il diritto alla riscossione di un'imposta, azionato mediante emissione di cartella di pagamento e fondato su un accertamento divenuto definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 602/1973 (nel testo vigente "ratione temporis"), bensì al termine di prescrizione decennale previsto dall'art 2953 c.c. per l'actio iudicati, irrilevante la circostanza che la statuizione giudiziale che ha determinato la definitività della pretesa erariale sia consistita nella declaratoria di inammissibilità per tardività dell'originario ricorso del contribuente.

Il caso

La vicenda partiva da una cartella di pagamento notificata in esecuzione di una sentenza passata in giudicato relativa all'irrogazione di sanzioni amministrative per dazi e IVA all'importazione.

La contribuente eccepiva la decadenza dell'amministrazione finanziaria: la doglianza veniva respinta sia in primo grado che in appello.

Di qui il ricorso per Cassazione con cui la contribuente denunciava violazione dell'art. 25 del d.P.R. n. 602/1973 e 2953 c.c. in quanto la CTR non aveva dichiarato la decadenza della notifica della cartella di pagamento avvenuta oltre il termine (biennale) di cui all'art. 25, itenendo invece applicabile il termine di prescrizione decennale.

La questione

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda il tema del termine di prescrizione per la riscossione delle imposte scaturente da una pronuncia di inammissibilità del ricorso del contribuente per tardività del ricorso. In questi casi si porta ad esecuzione l'atto o la sentenza? La pronuncia di inammissibilità ha valenza meramente dichiarativa o costitutiva?

In base alla scelta per l'una o l'altra tesi cambiano i termini di riferimento.

Le soluzioni giuridiche

Nel rigettare il ricorso la Cassazione ricorda il principio per cui il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta actio judicati, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario (cfr. Cass. Civ., SS.UU. n. 25790/2009).

Tale principio è stato poi ripreso da successive pronunce: ad esempio secondo Cass. Civ., n. 9076/2017, il diritto alla riscossione di un'imposta, conseguente ad avviso di liquidazione divenuto definitivo, perché confermato con sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza e prescrizione che scandiscono i tempi dell'azione amministrativo-tributaria, ma esclusivamente al termine di prescrizione generale previsto dall'art. 2953 c.c., in quanto il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l'atto amministrativo, ma la sentenza.

Tale principio si applica, secondo la Cassazione, anche alla fattispecie in commento caratterizzata da una pronuncia di inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso: infatti la statuizione giudiziale non incide in alcun modo sull'effettività del processo - che resta pendente, con tutte le conseguenze fattuali e giuridiche che ne derivano, fino alla pronuncia della sentenza - ma lo chiude in senso sfavorevole al contribuente, così fondando la definitività della pretesa avanzata dall'amministrazione, che, dunque, trova il suo titolo nel dictum giudiziale passato in giudicato e non sul pregresso atto amministrativo.

Osservazioni

La questione chiarita dalla Sezioni Unite con la sentenza 23397 del 2016 è se la decorrenza del termine - pacificamente perentorio - per fare opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 (ma il discorso vale per qualsiasi atto di riscossione di natura e formazione amministrativa), pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produca soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito oppure determini anche l'effetto di rendere applicabile l'art. 2953 c.c. ai fini della operatività della conversione del termine di prescrizione breve (quinquennale secondo la specifica ipotesi di cui all'art. 3, commi 9 e 10, della Legge n. 335/995) in quello decennale prescritto per l'actio iudicati.

In particolare, dall'ordinanza di rimessione della Sesta Sezione civile n. 1799/16, occorreva valutare se la prescrizione breve (5 anni) “sia applicabile anche nelle ipotesi in cui la definitività dell'accertamento del credito derivi da atti diversi rispetto ad una sentenza passata in giudicato”, come, ad esempio, dalla mancata impugnazione nei termini del provvedimento amministrativo.

La Corte ha aderito all'orientamento maggioritario e di origine più remota secondo cui in base all'art. 2953 c.c. si può verificare la conversione della prescrizione da breve a decennale soltanto per effetto di sentenza passata in giudicato, oppure di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale (vedi, per tutte: Cass. 24 marzo 2006, n. 6628; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650; Cass. 29 febbraio 2016, n. 3987) o anche di decreto o di sentenza penale di condanna divenuti definitivi (ove si tratti di fattispecie anche penalmente rilevanti). In particolare per la riscossione coattiva dei crediti la suddetta norma è considerata applicabile esclusivamente quando il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l'atto amministrativo, ma un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo.

Le Sezioni Unite, in sostanza, hanno semplicemente stabilito che il termine decennale di cui all'art. 2953 si applica solo in presenza di una pronuncia giurisdizionale passata in giudicato, nulla dicendo sulla prescrizione della riscossione dei vari crediti di cui sono titolari gli organi della pubblica amministrazione, contributivi piuttosto che relativi ad imposte o sanzioni. La prescrizione di tali crediti segue quindi regole autonome.

Ad esempio per i crediti contributivi di cui di cui all'art. 3, commi 9 e 10, della Legge n. 335/1995 la prescrizione quinquennale è prevista dalla legge, così come quella per le sanzioni tributarie ai sensi dell'art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997.

A quest'ultimo riguardo, nella sentenza di queste Sezioni Unite 10 dicembre 2009, n. 25790 - nella quale si trattava di stabilire se l'art. 2953 c.c. potesse trovare applicazione soltanto in caso di sentenza passata in giudicato pronunciata in giudizi aventi ad oggetto l'obbligazione tributaria o anche in presenza di giudicato su ricorsi avverso provvedimenti di irrogazione di sanzioni tributarie amministrative - è stato affermato che "il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta actio judicati, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario".

L'unitarietà di cui parla tale sentenza sembrerebbe far propendere per la prescrizione quinquennale anche dei tributi.

In realtà tale questione è ancora lungi dall'essere stata chiarita;

anzi è forte l'orientamento secondo cui per le cartelle esattoriali originate da crediti erariali (IRPEF, IVA, IRAP) vale il termine lungo di dieci anni, in mancanza di altra disposizione speciale (Cass. Civ., 15 giugno 2011, n. 13080 ove si afferma che “in tema di IVA, il credito erariale per la riscossione dell'imposta (a seguito di accertamento divenuto definitivo) è soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 2948 c.c., n. 4 ‘per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi', bensì all'ordinario termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 cod. civ. in quanto la prestazione tributaria, attesa l'autonomia dei singoli periodi d'imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi”.

Pertanto l'attività dell'Agente della Riscossione è soggetta esclusivamente al termine ordinario di prescrizione con la conseguenza che una volta notificata la cartella di pagamento è possibile attivare le procedure di riscossione coattiva entro dieci anni dalla data di notifica della cartella stessa. In altri termini, secondo tale orientamento, data l'autonomia dei singoli periodi di imposta, i tributi periodici non si prescrivono nel termine, quinquennale, di cui all'art. 2948 n. 4 c.c., ma in quello ordinario decennale di cui all'art. 2946 c.c.

Anche su questo aspetto si attende comunque un definitivo chiarimento delle Sezioni Unite.

Per quanto concerne invece la tassa automobilistica (il cd. bollo auto), secondo la Cassazione in tema di riscossione della tassa in caso di mancata impugnazione della cartella di pagamento, si applica il termine triennale di cui all'art. 5, comma 51, del D.L. n. 953/1982 conv. dalla Legge n. 53/1983, in quanto la scadenza del termine perentorio previsto per l'impugnazione non produce la conversione del termine breve in termine lungo decennale previsto per l'actio iudicati dall'art. 2953 c.c., ma soltanto l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito (cfr. Cass. Civ., n. 20503/2017).

In altri termini ciò che va portato ad esecuzione nei casi di mancata impugnazione è comunque un atto amministrativo (la cartella di pagamento); per le tasse automobilistiche il termine per la riscossione è fissato in 3 anni dal predetto articolo 5, per cui è corretto il ragionamento della CTR, non potendo tale termine, in assenza di pronuncia passata in giudicato, convertirsi nel più lungo termine decennale previsto per l'actio iudicati dall'art. 2953 c.c.