Patteggiamento senza estinzione del debito per dichiarazione infedele, omessa e occultamento di scritture contabili

Sara Mecca
04 Luglio 2019

La previsione normativa che subordina, per i reati fiscali, l'applicazione del patteggiamento al pagamento del debito tributario (art. 13-bis co. 2 del D.Lgs. 74/2000) non si applica ai reati di dichiarazione infedele, omessa presentazione e occultamento o distruzione di scritture contabili.
Massima

La previsione normativa che subordina, per i reati fiscali, l'applicazione del patteggiamento al pagamento del debito tributario (art. 13-bis c.2 del D.Lgs. n. 74/2000) non si applica ai reati di dichiarazione infedele, omessa presentazione e occultamento o distruzione di scritture contabili.

È, pertanto, legittimo accedere a tale istituto – per i menzionati reati – anche senza estinzione del debito con il Fisco.

Il caso

Un imprenditore, titolare di una ditta individuale, veniva imputato per i reati di omessa dichiarazione delle imposte sui redditi e dell'IVA (art. 5, D.Lgs. n. 74/2000), nonché per l'illecito di occultamento di scritture contabili (art. 10, D.Lgs. n. 74/2000).

L'imputato chiedeva, innanzi al Tribunale, di essere ammesso all'istituto del patteggiamento ex art. 444 del c.p.p., che – con consenso del Pm – gli veniva concesso dal Gup.

Contro la sentenza di patteggiamento ricorreva in Cassazione il Sostituto Procuratore Generale, sostenendo che, nel caso di specie, non fosse possibile accedere all'istituto in parola. Infatti, l'ammissione all'applicazione della pena su richiesta delle parti è subordinata, per tutti i reati fiscali previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, o all'integrale estinzione del debito tributario, comprese sanzioni ed interessi, ovvero all'ipotesi di ravvedimento operoso.

Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata non emergeva la sussistenza di nessuna delle due situazioni, pertanto l'accesso al rito speciale doveva considerarsi precluso.

La questione

La questione riguarda la portata della norma che, in tema di reati tributari, limita l'accesso all'istituto del patteggiamento alla sola ipotesi in cui il contribuente/imputato abbia estinto integralmente il debito fiscale.

La normativa

L'art. 13-bis, comma 2, del D.Lgs. 74/00 prevede che solo il pagamento di quanto contestato, prima dell'udienza dell'apertura dibattimentale, consente al reo di accedere al patteggiamento.

La norma prevede espressamente che “Per i delitti di cui al presente decreto l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1 (ovvero l'estinzione mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie), nonché' il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 13, commi 1 e 2”.

La questione di legittimità costituzionale

Sul tema, un'ordinanza del Gup del Tribunale di La Spezia (n. 124/2013) aveva sollevato questione di legittimità costituzionale, evidenziando una disparità di trattamento tra imputati del medesimo reato che potevano beneficiare del patteggiamento in ragione della loro maggiore o minore prosperità economica.

L'art. 3 Cost., infatti, sancisce il principio di eguaglianza che verrebbe violato riservando un trattamento più rigoroso ai reati tributari, rispetto ad altre fattispecie delittuose. Se è ben noto il grado di allarme sociale suggerito dalla diffusa pratica dell'evasione fiscale, prevedere un regime cosi specializzato e differenziato per tale materia non trova alcun fondamento in specifici connotati dell'illecito penale tributario.

La medesima questione di legittimità dell'articolo 13, comma 2-bis, è stata sollevata anche dal Tribunale di Torino, con l'ordinanza n. 44/2014.

Il giudice osservava, in questo caso, come la preclusione prevista dall'art. 13, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 74/2000 implichi che l'istanza di patteggiamento, costituente chiara manifestazione del diritto di difesa, debba essere condizionata ad un comportamento che potrebbe essere addirittura pregiudizievole per lo stesso imputato, in quanto proteso a definire al più presto ogni pendenza con l'Amministrazione finanziaria, con conseguente vanificazione di ogni diritto di azione contro le imposizioni illegittime. Ed infatti, ad esempio, in presenza di errori da parte del Fisco nel computo dell'imposta evasa o degli interessi o delle sanzioni, l'imputato che non riesce a trovare un accordo con l'Amministrazione ha due strade: adire il giudice tributario facendo valere il proprio diritto, sapendo, però, che, anche in caso di vittoria sul fronte tributario, comunque vedrebbe sfumata la possibilità di accesso al patteggiamento nel procedimento penale che nel frattempo segue il suo autonomo corso, oppure pagare senza contestare quanto richiesto dalla Pa per beneficiare del rito premiale. Sia in un caso che nell'altro, non può negarsi una frustrazione del diritto di difesa del contribuente-imputato.

Un simile meccanismo, poi, induce l'imputato a rinunciare alla tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Amministrazione, con conseguenti profili di violazione anche dell'art. 113 Cost., il quale prevede che contro gli atti della Pa è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

La pronuncia della Corte costituzionale

La Consulta, con sentenza n. 95/2015, ha ritenuto legittimo l'accesso al patteggiamento, per i reati tributari, subordinato all'estinzione del debito. Infatti, se è vero che la facoltà di chiedere l'applicazione di riti alternativi costituisce una modalità di esercizio del diritto di difesa, la negazione di questa facoltà, per una determinata categoria di reati, non ne determina una compressione decisiva.

Peraltro, “Il generale interesse pubblico (oltre che della persona offesa) all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, anche per il suo valore sintomatico del processo di ravvedimento del reo (...) si coniuga, infatti, nel frangente, allo specifico interesse alla integrale riscossione dei tributi evasi”.

La norma, dunque, potrà continuare ad essere legittimamente applicata dai giudici.

La soluzione giuridica

Pur essendo legittima, in virtù della pronuncia della Consulta, la norma ha subito nel tempo alcune limitazioni da parte della giurisprudenza della Cassazione.

I Giudici, con la pronuncia in commento, hanno ad esempio chiarito che, per i reati di dichiarazione infedele (art. 4), dichiarazione omessa (art. 5) ed occultamento e distruzione di documenti contabili (art. 10), è legittimo il patteggiamento della pena anche senza aver estinto il debito tributario.

Il ricorso del Pm è stato, dunque, dichiarato inammissibile.

I Supremi giudici ricordano, anzitutto, che la condizione per accedere al patteggiamento, per i reati tributari, è costituita dal preventivo e integrale pagamento del debito, delle sanzioni e degli interessi, nonché dal ravvedimento operoso.

Tale regola generale, subisce tuttavia alcune eccezioni.

In particolare, l'art. 13-bis fa espressamente “salve le ipotesi di cui all'articolo 13, commi 1 e 2”, il quale prevede una causa di non punibilità per i reati di omesso versamento delle ritenute, dell'Iva e di indebite compensazioni con crediti non spettanti se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso. Il comma 2 dell'art. 13 dispone poi che i reati di dichiarazione infedele ed omessa non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Ne deriva, quindi, che se l'integrale estinzione del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento configura una causa di non punibilità, non può costituire – per i reati predetti - anche presupposto di legittimità del patteggiamento, poiché questo istituto non potrebbe certamente riguardare reati non punibili.

Inoltre, quanto al delitto di occultamento di scritture contabili, la sentenza chiarisce che il patteggiamento deve essere accordato senza alcun pagamento del debito fiscale, poiché si tratta di illeciti che di per sé non determinano un debito di imposta.

Osservazioni

La pronuncia in commento fornisce senza dubbio un principio importante ed innovativo.

Già con la sentenza n. 38684 del 21 agosto 2018, la Cassazione aveva stabilito che per i reati di omesso versamento delle ritenute e dell'Iva (artt. 10-bis e 10-ter) e indebite compensazioni con crediti non spettanti (art. 10-quater, comma 1) non valeva, ai fini del patteggiamento, la previsione dell'integrale estinzione del debito in quanto, a fronte di ciò, l'imputato conseguiva la non punibilità.

In sintesi, qualora il contribuente avesse pagato tutto entro l'apertura del dibattimento non era più punibile e, pertanto, doveva dedursi che per accedere al patteggiamento il pagamento non fosse necessario.

Con la sentenza n. 10800/2019, tale principio è esteso anche ai delitti di omessa presentazione e dichiarazione infedele, per i quali il pagamento dei tributi, dal momento che fa conseguire la non punibilità, non può essere richiesto come condizione per il patteggiamento.

Infine, anche per il reato di occultamento o distruzione l'estinzione del debito tributario non è una condizione necessaria per accedere al patteggiamento.

Le recenti pronunce della Cassazione stanno, quindi, di fatto limitando l'ambito di applicazione della norma che rende inapplicabile l'istituto del patteggiamento ai reati tributari, qualora non si è proceduto ad estinguere il debito tributario.

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