L’obesità che rende gravoso l'utilizzo delle scale legittima il condomino ad installare l'ascensore senza l’autorizzazione dell'assemblea
10 Luglio 2019
Massima
La condizione di obesità che si riflette nella sfera del movimento è assimilata ad una disabilità in quanto non ci si può aspettare che il soggetto salga a piedi, fino all'ultimo piano, senza rischi per la salute. Ne consegue che, in tale situazione, il condomino può installare a sue spese l'ascensore anche senza autorizzazione dell'assemblea. Il caso
I coniugi Tizio e Caia, proprietari di un appartamento sito all'ultimo piano dello stabile e privo di impianto di ascensore, a causa di particolari patologie che rendevano gravoso l'utilizzo delle scale, chiedevano all'adito Tribunale di accertare e dichiarare il diritto ad installare, a proprie spese, un impianto di ascensore diretto al superamento delle barriere architettoniche. Costituendosi in giudizio, il condominio si opponeva alla domanda sostenendo che i due condomini non avevano lasciato il tempo adeguato per l'esame del progetto di fattibilità e che l'iniziativa, di far accedere all'interno dell'edificio il personale della ditta da loro incaricati, aveva “indispettito” gli altri condòmini, i quali, per tale ragione, avevano invitato i tecnici ad allontanarsi. Inoltre, il condominio contestava l'avversa pretesa in quanto, in base alla l. n. 13/1989, in assenza di autorizzazione dell'assemblea, si può procedere autonomamente ed a proprie spese solo all'installazione di servoscala o altre strutture mobili facilmente amovibili, ma non di un ascensore. Ad ogni modo - secondo il convenuto - i condomini non potevano considerarsi persone disabili per l'obesità e, dunque, non avevano diritto a realizzare quanto richiesto. La questione
La questione in esame è la seguente: il condomino obeso può installare a sue spese l'ascensore nel vano scala dell'edificio? Le soluzioni giuridiche
Preliminarmente, giova ricordare che l'installazione in un edificio in condominio di un ascensore di cui esso sia sprovvisto - a cura e spese di uno dei condomini - va inquadrata nell'uso della cosa comune ex art. 1102 c.c., e, quindi, può essere consentita nella misura in cui non alteri la destinazione della cosa e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto. In proposito, è ormai prevalente nella giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 2010, n. 25872; Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 2004, n. 24006; Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1999, n. 3508; Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1781) l'orientamento per cui la norma dell'art. 1120, comma 1, c.c. - che richiede determinate maggioranze per l'approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per tutti i condomini - non può trovare applicazione nella ipotesi in cui l'onere della innovazione sia stato assunto da un solo condomino, o solo da alcuni, per lo specifico ed esclusivo loro interesse alla realizzazione dell'opera. La ratio dell'art. 1120 c.c. è, infatti, quella di assicurare una qualificata maggioranza per l'approvazione di quelle innovazioni che necessariamente - per la impossibilità di utilizzazione separata, come previsto dall'art. 1121 c.c. - devono gravare sulla totalità dei condomini, anche se dissenzienti. Nella diversa ipotesi in cui sia un singolo condomino (o un gruppo di essi) a voler realizzare l'innovazione, non può che trovare applicazione l'art. 1102 c.c., in forza del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, ed a tal fine - purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto - può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa stessa. Premesso quanto innanzi esposto, in tal vicenda, le questioni contese sono: la possibilità di installazione di un ascensore in condomino e l'asserita situazione di disabilità dell'attrice. In relazione al primo aspetto, stanti le contestazioni del condominio, il C.T.U., all'esito di tutti gli accertamenti strumentali ritenuti opportuni, ha concluso per la possibilità di installare un ascensore oleodinamico di misura ridotta nel vano scale dell'edificio, confermando quindi la fattibilità di un tale impianto già affermata dal precedente consulente di parte. Secondo il consulente d'ufficio, inoltre, l'installazione comporterebbe un miglioramento strutturale della scala e non un suo aggravio. Quanto all'aspetto legato alla disabilità, i problemi fisici dell'attrice (obesità con complicanze artrosiche, artrosi del ginocchio, spondilodiscoartrosi cervicale e lombare) si riflettevano senz'altro nella sfera del movimento. Dunque, secondo il giudice, non occorreva una consulenza medica per comprendere che da una persona in tali condizioni non ci si può aspettare che salga a piedi fino all'ultimo piano dell'edificio senza rischi per la sua salute ed integrità fisica. Nel caso di specie, il fatto che la realizzazione dell'impianto fosse indispensabile era fuori discussione, poiché la sua assenza comportava una barriera architettonica che incideva in modo così rilevante sulle facoltà di godimento della proprietà degli attori, da risultare ripugnante all'attuale coscienza sociale. Del resto, non era possibile neppure comparare, con l'esigenza di installare l'ascensore, un ipotetico disagio nella fruizione delle parti comuni (peraltro neppure specificato) che i condòmini subirebbero per effetto dell'installazione. Per i motivi esposti, dunque, è stato affermato il diritto degli attori di costruire a loro spese l'impianto ascensore, ubicato nel vano scala ed in conformità alle indicazioni tecniche fornite dalla consulenza tecnica d'ufficio. Fermo restando, ovviamente, la necessità del preliminare espletamento degli adempimenti tecnico-amministrativi previsti dalla normativa di settore. Osservazioni
La pronuncia in oggetto è interessante in quanto si presta ad alcune precisazioni generali in merito alle barriere architettoniche e dei principi di solidarietà condominiale. In relazione al primo aspetto, giova ricordare che la specifica normativa sulle barriere architettoniche ha avuto inizio, per quanto riguarda gli edifici privati, con la l. 9 gennaio 1989, n. 13 e il suo regolamento di attuazione d.m. n. 236 del 14 giugno 1989; mentre, per gli edifici pubblici, la prima normativa era già stata realizzata in precedenza con la l. 30 marzo 1971, n. 118 e il suo regolamento di attuazione d.P.R. 27 aprile 1978, n. 384, poi sostituito dal d.P.R. 24 luglio 1996, n. 503. Nello specifico, ai sensi dell'art. 2 del d.m. n. 236/1989 e dell'art. 1 del d.P.R. n. 503/1996, per barriere architettoniche si intendono: a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti; c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi. Premesso ciò, da quanto appreso dalla pronuncia in commento, il Tribunale ha respinto la tesi difensiva del condominio secondo la quale la condizione di obesità dalla condomina non configurerebbe una “disabilità” richiesta dalla disciplina sul superamento delle barriere architettoniche. In proposito, tuttavia, dal certificato della Commissione Medica per l'accertamento delle invalidità civili, prodotto da parte attrice in allegato alla citazione, risultava che l'attrice, ultrasessantacinquenne, era portatrice di handicap e rientrava nella situazione di gravità prevista dall'art. 3, comma 1, della l. n. 104/1992. Dunque, in maniera corretta, il giudice ha reputato che non occorreva una consulenza medica per comprendere il disagio dell'attrice. Difatti, per disabilità si intende la presenza di una menomazione fisica o psichica che indica lo svantaggio personale che la persona affetta da tale menomazione vive, non solo nel contesto lavorativo, sicché, l'handicap è la conseguenza della disabilità (svantaggio sociale vissuto dalla persona a causa della menomazione di cui è affetta). Del resto, come già sostenuto in dottrina, ogni impedimento all'accessibilità dell'immobile abitativo comporta una lesione del fondamentale diritto alla salute, intesa quest'ultima nel significato proprio dell'art. 32 Cost., comprensivo pure della salute psichica, la cui tutela deve essere di grado pari a quella della salute fisica. Quanto al secondo aspetto della “solidarietà condominiale”, è stato osservato più volte che rimuovere ogni possibile ostacolo all'esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici è, in buona sostanza, un dovere collettivo. E ciò, in considerazione del fatto che i problemi delle persone affette da invalidità non si ritengono problemi individuali, ma debbono "essere assunti dall'intera collettività". Ne consegue che, tali interventi, vanno eseguiti preventivamente rispetto al manifestarsi dell'esigenza della persona disabile (Corte Cost. 10 maggio 1999, n. 167; Cass. pen., sez. III, 30 gennaio 2002, n. 3376). Tale fruibilità fa sì che la legittimità dell'installazione dell'ascensore non viene meno in presenza del dissenso di alcuni condomini alla stessa. E questo in considerazione del fatto che l'innovazione se, non rende talune parti comuni dello stabile del tutto o in misura rilevante inservibili all'uso o al godimento degli altri condomini, facilita in generale l'accesso delle persone a tali unità abitative (in particolare si pensi alle persone meno giovani o fisicamente meno dotate, sebbene non invalide) (Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2013, n. 18147). In conclusione, per attuare il principio di solidarietà condominiale, è necessario favorire l'accessibilità negli edifici e dunque, nel caso, procedere all'eliminazione delle barriere architettoniche: si tratta di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce, dunque, legittimità all'intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (Cass. civ., sez. II, 12 aprile 2018, n. 9101).
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