Cessazione dell'attività di foresteria: davanti al giudice ordinario non si possono far valere i limiti stabiliti dalla legge regionale
17 Luglio 2019
Massima
Devono ritenersi irrilevanti, nell'ambito di rapporti eminentemente privatistici, gli aspetti che attengono alla regolarità amministrativa delle attività svolte dai condomini negli immobili di esclusiva proprietà, che dunque esulano dalla cognizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria, non potendo la legge regionale interferire con la volontà contrattuale dei comproprietari contenuta in un regolamento condominiale che imponga limiti alle attività alberghiere e ricettive. I divieti ed i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare: nella prima ipotesi, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, è sufficiente verificare se la destinazione sia inclusa nell'elenco, rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, dovendosi ritenere che già in sede di redazione del regolamento ne siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi, mentre, nella seconda ipotesi, essendo mancata la valutazione in astratto degli effetti dell'attività, è necessario accertare in concreto l'effettiva capacità della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vogliono evitare. Il caso
Una società avviava in tre unità immobiliari poste all'interno di un condominio una attività di foresteria lombarda (affittacamere). Il condominio agiva avanti il Tribunale di Milano per far cessare l'attività di cui sopra sostenendo che essa fosse in contrasto per dimensioni e disponibilità di stanze con i limiti normativi posti dall'art. 27, legge regionale Lombardia n. 27/2015 e che pertanto non potesse qualificarsi come “foresteria lombarda” ma come altra attività ricettiva per la quale secondo la normativa citata si sarebbe imposto un cambio di destinazione d'uso delle unità presso le quale veniva esercitata. Tuttavia, l'attore asseriva che il cambio di destinazione non era ammesso dal regolamento di condominio contrattuale in quanto esso vietava ogni godimento della cosa in contrasto con l'attuale destinazione d'uso ed in genere con il decoro, la morale corrente, la quiete e la tranquillità del complesso residenziale e chiedeva pertanto che la società fosse condannata a cessare l'attività esercitata. Quest'ultima si costituiva in giudizio eccependo che l'accertamento sulla sussistenza dei presupposti posti dalla legge regionale per l'esercizio dell'attività di “foresteria lombarda” sarebbe spettata solo all'Autorità amministrativa e non al giudice ordinario e che, in ogni caso, non risultava previsto nel regolamento di condominio uno specifico divieto di svolgere l'attività medesima nelle unità immobiliari ivi site. Il Tribunale accoglieva le eccezioni della convenuta respingendo la domanda del condominio argomentando che devono ritenersi irrilevanti, nell'ambito di rapporti eminentemente privatistici, aspetti che attengono alla regolarità amministrativa delle attività svolte dai condomini negli immobili di esclusiva proprietà, che dunque esulano dalla cognizione del giudice ordinario. Rilevava inoltre che l'attività di foresteria non fosse vietata dal regolamento del condominio che era rivolto invece “ad uffici pubblici, sanatori, agenzie di pegno, scuole di musica, di canto e di ballo” non essendo consentito al Giudice effettuare una interpretazione estensiva in presenza di una norma regolamentare comportante una limitazione alle facoltà inerenti la proprietà esclusiva. In riferimento ai pregiudizi che il regolamento intendeva evitare, il Tribunale di Milano osservava che l'attore non avesse fornito alcuna prova che il concreto atteggiarsi dell'attività di foresteria fosse di nocumento ai valori perseguiti dal regolamento quali il “decoro, la morale, corrente, la quiete e la tranquillità del complesso residenziale”. La questione
Due sono le questioni affrontate dal Tribunale di Milano. La prima è se il condominio possa o meno fare accertare dal giudice ordinario le eventuali limitazioni imposte dalla normativa regionale alla destinazione d'uso delle unità immobiliari in modo da ottenere la condanna alla cessazione della attività che violi i limi stessi. La seconda concerne invece l'individuazione dei confini cui il giudice ordinario deve attenersi nell'interpretazione dei divieti stabiliti da un regolamento contrattuale ad un determinato uso o destinazione delle proprietà esclusive. Le soluzioni giuridiche
L'art. 27 di cui alla legge della Regione Lombardia n. 27/2015 fornisce la seguente definizione di foresteria lombarda: “1. Le foresterie lombarde sono strutture ricettive gestite in forma imprenditoriale, in non più di sei camere, con un massimo di quattordici posti letto, anche in un immobile diverso da quello di residenza, fornisce alloggio ed eventuali servizi complementari, compresa la somministrazione di alimenti e bevande esclusivamente per le persone alloggiate. Secondo la tesi del condominio, l'attività esercitata dalla convenuta si sarebbe posta in contrasto per dimensioni, e per disponibilità di stanze con i limiti sopra indicati e non avrebbe quindi i requisiti di “foresteria Lombarda” il che imporrebbe un cambio di destinazione d'uso delle unità ove l'attività si esplica. Sempre secondo l'attore, il cambio di destinazione non sarebbe però consentito dal regolamento di condominio. Il Tribunale di Milano ha osservato che le norme regionali in materia urbanistica o più in generale in materia amministrativa, disciplinano i rapporti tra il cittadino e tali settori e non possono comportare un automatico recepimento nei rapporti tra privati dei criteri per i quali si stabilisce se una certa attività comporti o meno mutamento di destinazione ai fini dell'assetto urbanistico-edilizio del territorio. Tali norme non disciplinano, infatti, i rapporti tra privati come invece avviene nel regolamento di condominio. Il Tribunale di Milano ha citato la sentenza della Corte Costituzionale n. 369/2008 che, in coerenza con tale principio, ha stabilito che al legislatore regionale non è consentito incidere su un principio di ordinamento civile e, in particolare, sul rapporto civilistico tra condomini e condominio e non può porre limitazioni alla sfera di proprietà dei singoli condomini, a meno che le predette limitazioni non siano specificatamente accettate o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio. La legge regionale ha, infatti, finalità diverse, relative alla classificazione delle attività (alberghiera o non alberghiera) e non può incidere sui rapporti privatistici e sugli obblighi che reciprocamente si assumono in condominio, in questo caso con un regolamento contrattuale (in senso conforme, Cass. civ., sez. VI, 16 gennaio 2015, n. 704). In ordine, poi, ai limiti e divieti esposti dal regolamento di condominio, il Tribunale di Milano ribadisce l'orientamento della Suprema Corte secondo il quale se nell'elenco delle attività vietate dal regolamento non è espressamente ricompresa l'attività per cui è causa, non si possono compiere interpretazioni estensive ovvero verificare se essa sia assimilabile o meno a queste, in quanto nei limiti posti all'uso delle proprietà esclusive. Nella fattispecie l'art. 4 del regolamento condominiale espressamente sancisce il divieto di ogni godimento della cosa che “contrasti col decoro e col carattere civile proprio del complesso che si vuole destinare ad uso residenziale” nonché di adibire “i locali ad attività in contrasto con l'attuale destinazione d'uso di tali locali, uffici pubblici, sanatori, agenzie di pegno, scuole di musica, di canto e ballo ed in genere ad attività in contrasto con il decoro, la morale corrente, la quiete e tranquillità del complesso residenziale”; L'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti (Cass.civ.,sez. II, 20 ottobre 2016,n. 21307). Applicando le coordinate tracciate dalla Suprema Corte, il Tribunale di Milano ha rilevato che “tali limiti e divieti, al fine di evitare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze” (così Cass.civ., sez. II, 1 ottobre 1997,n. 9564). Nella fattispecie, il Tribunale ha reputato che l'attività di foresteria o affittacamere non fosse vietata dal regolamento riferendosi esso solo ad uffici pubblici, sanatori, agenzie di pegno, scuole di musica, di canto e ballo. Quanto ai pregiudizi che il regolamento intende evitare: “divieto di ogni godimento della cosa che contrasti col decoro e col carattere civile proprio del complesso che si vuole destinare ad uso residenziale ed in genere ad attività in contrasto con il decoro, la morale corrente, la quiete e tranquillità del complesso residenziale”, il giudice ha osservato che l'attore non avesse provato che in concreto l'attività esercitata ledesse tali valori. Osservazioni
E' noto che, in forza dell'art. 117,lett l), Cost.,lo Stato abbia potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile. Pertanto, le Regioni non possono emanare disposizioni legislative che vadano ad incidere nei rapporti tra privati regolati dall'ordinamento civile. Nella fattispecie, il condominio, volendo far cessare una attività di foresteria cui erano state adibite alcune unità immobiliari ivi site di proprietà esclusiva, aveva invocato la violazione dei limiti disposti dalla legge regionale (art. 27, l.r. n. 27/2015) che dispone che le foresterie lombarde non possano avere più di sei camere con un massimo di 14 posti. Giustamente, il Tribunale adìto ha osservato come i limiti suddetti non incidono sulla materia contrattuale privatistica ma su un piano giuridico diverso da quello invocato dal condominio, ovvero sulla materia urbanistica o comunque di carattere pubblicistico sulla quale il Giudice ordinario non ha giurisdizione. La pretesa di un cambio di destinazione di una attività di foresteria che violi i limiti della disposizione citata non può essere fatta valere avanti il giudice ordinario ai fini della liceità dell'uso o meno di una unità immobiliare sita in condominio, poiché tale ultimo aspetto può essere limitato sul piano civilistico esclusivamente da un contratto, secondo l'ordinamento civile, o da una legge dello Stato ma, certamente, non da una norma regionale, posta la riserva contenuta nell'art. 117 Cost. La questione si inserisce nel più ampio dibattito sorto in ordine alle disposizioni regionali che scientemente o incautamente finiscono per regolare rapporti privatistici riservati alla legge statale. Si pensi, ad esempio, sempre nell'àmbito condominiale, alle disposizioni regionali in materia di risparmio energetico che hanno legiferato sui criteri di ripartizione delle spese del riscaldamento (regolate in materia di ordinamento civile dal d.lgs. n 102/2014 e dall'art. 1123 c.c.) o sulla rinuncia al servizio del riscaldamento (regolate dall'art. 1118 c.c.). In tali casi, la Corte Costituzionale, che già è intervenuta nelle limitazioni alla sfera di proprietà dei singoli condomini (sent. n. 369/2008) inibendo al legislatore regionale di incidere su principi di ordinamento civile, potrebbe intervenire nuovamente ove la violazione della normativa regionale venisse invocata a sproposito per pretenderne l'osservanza in questioni meramente civilistici della materia condominiale, come quelle che riguardano la ripartizione delle spese e la rinuncia al servizio, aspetti che sono invece da regolarsi con legge statale. La sentenza del Tribunale di Milano, quindi, ha senz'altro una valenza che supera i limitati seppur fondamentali confini delle limitazioni d'uso delle proprietà esclusive in condominio, potendo i suoi principi essere applicati in tutti i casi ove in un giudizio afferente il rapporto civilistico tra condominio e condomini venga invocata una legge regionale. Per il resto, la decisione in commento nulla aggiunge in materia di interpretazione del regolamento di condominio agli orientamenti oggi ormai consolidati. Ove i condomini pretendano si far cessare una determinata attività esercitata nelle unità immobiliari, assumendo che essa sia vietata dal regolamento, quest'ultimo, non solo deve essere di natura contrattuale, ma deve espressamente e tassativamente menzionarla, tra quelle vietate, in quanto le limitazioni alla proprietà esclusiva sono talmente invasive da non poter essere soggette né ad una norma regolamentare approvata dalla assemblea ai sensi dell'art. 1138 c.c., né ad una interpretazione estensiva. Nel caso in cui il regolamento non specifichi l'attività che si voglia far cessare ma solo i valori che i condomini avessero voluto tutelare nello specifico quanto all'uso della proprietà esclusiva con espressioni del tipo: è vietata qualsiasi attività che contrasti con il decoro, la quiete, la morale, ecc.), è assolutamente necessario che venga data la prova in concreto che l'attività in questione pregiudichi i valori stessi. Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, 657 Corona, I regolamenti di condominio, Torino, 2004, 87 Triola, Condominio e contenzioso, Milano, 1995, 131 Trotta, Interpretazione del regolamento condominiale: sul vincolo di destinazione, in Giur. it., 2015, fasc. 4
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