Il rapporto tra tutela civilistica e tutela amministrativa in materia di immissioni e risarcimento del danno non patrimoniale
01 Agosto 2019
Massima
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale quale conseguenza di immissioni illecite, l'accertamento di concreti e rilevanti disagi capaci di compromettere le abitudini di vita quotidiana del danneggiato, giustificano la risarcibilità dei predetti pregiudizi ai sensi dell'art. 2059 c.c., pur in difetto di un danno biologico documentato. Il caso
Le proprietarie di due appartamenti siti all'ultimo piano di un condominio richiedevano al Tribunale di Agrigento, in via d'urgenza, la rimozione della canna fumaria apposta dalla convenuta lungo la facciata dell'edificio, dalla quale provenivano fumi, calore e cattivi odori dell'attività di ristorazione svolta al piano terra. Esperita la relativa CTU, il Tribunale ordinava la rimozione della canna fumaria ed il posizionamento della stessa in altro sito, nel rispetto delle norme in materia di distanze nelle costruzioni. Nel successivo giudizio di merito la convenuta veniva altresì condannata, stante la violazione dell'art. 844 c.c., al pagamento della somma di € 5.000,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale patito dagli attori. La Corte d'Appello di Palermo confermava la sentenza di primo grado per respingere sia l'appello proposto dalla convenuta per impugnare la suddetta condanna risarcitoria, sia l'appello incidentale proposto dalle attrici per lamentare la modesta entità della somma liquidata. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la proprietaria dell'immobile al piano terra. La questione
Le questioni trattate sono due. La prima riguarda il ruolo svolto dalla normativa speciale a tutela dell'ambiente nella valutazione di intollerabilità delle immissioni ex art. 844 c.c.; la seconda, invece, attiene alla risarcibilità, ex art. 2059 c.c., dei pregiudizi di natura esistenziale conseguenti le immissioni illecite, pur in difetto di un danno biologico documentato. Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in esame conferma entrambi i gradi del merito ed estende i principi espressi dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20198/2016 in materia di immissioni acustiche anche al caso in oggetto, relativo ad immissioni di fumo, calore ed odori provenienti da un'attività di ristorante. Il Giudice di legittimità, infatti, nel confermare la valutazioni compiute dal giudice dell'appello, ritiene prevalente ed assorbente il superamento del limite di tollerabilità delle immissioni, tale da non permettere il posizionamento di una canna fumaria a prescindere dalla legittimità amministrativa del manufatto. La sentenza impugnata viene altresì confermata anche rispetto alla risarcibilità, ex art. 2059 c.c., dei pregiudizi non patrimoniali conseguenti le immissioni illecite, pur in difetto di un danno biologico documentato. Nella fattispecie, dunque, viene considerato irrilevante il fatto che la canna fumaria fosse stata così realizzata e collocata in forza della relativa autorizzazione amministrativa. Il giudice di merito, infatti, dopo avere valutato, anche mediante consulenza tecnica d'ufficio, il carattere intollerabile delle immissioni provenienti dalla predetta canna fumaria, ne ha correttamente ordinato la rimozione, stante la prevalenza, anche alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, del soddisfacimento dell'interesse ad una normale qualità della vita rispetto alle esigenze della produzione. Secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, anche quando le immissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudice del merito è chiamato a compiere la valutazione, insindacabile in sede di legittimità, della loro tollerabilità ex art. 844 c.c., secondo il suo prudente apprezzamento, tenendo conto delle particolarità della situazione concreta (conf. Cass. civ., n. 17281/2005). Per quanto riguarda, invece, gli aspetti risarcitori della vicenda, la sentenza in commento aderisce all'indirizzo interpretativo dapprima espresso da Cass. civ., n. 20927/2015 e successivamente ribadito da Cass. civ., SS. UU. 1 febbraio 2017, n. 2611 (relativa alla vicenda di una famiglia che si era vista posizionare da parte del Comune, per tutto il periodo estivo, a meno di un metro dalla propria abitazione, il palco per i festeggiamenti del Santo Patrono della città) che consente la risarcibilità del danno non patrimoniale da immissioni illecite, anche in assenza di un danno biologico documentato. Tali pronunce, cui si aggiunge la recente Cass. civ. n. 10861/2018, peraltro proprio in materia di immissioni maleodoranti, come noto, segnano un nuovo corso del danno non patrimoniale per effetto del quale presupposto della risarcibilità diviene la lesione dei diritti “al normale svolgimento della vita famigliare all'interno della propria abitazione” ed “alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane”, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti la cui tutela è rafforzata dall'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Dal punto di vista pratico, dunque, anche in difetto di una lesione all'integrità psicofisica, tipica delle ipotesi più gravi, sarà sufficiente dimostrare, anche mediante presunzioni, i disagi e le difficoltà derivanti dalle immissioni illecite e la conseguente modifica delle proprie abitudini di vita. Osservazioni
Come noto, l'art. 844 c.c. non definisce il concetto di “normale tollerabilità”, il quale, dovrà sempre essere valutato dal giudice secondo le particolarità della situazione concreta, anche nelle ipotesi in cui le stesse rispettino i parametri fissati dalle norme pubblicistiche. Onere della parte attrice, dunque, quello di fornire la prova delle immissioni che si assumono intollerabili e per l'effetto illecite, sia mediante una relazione tecnica di parte, sia mediante prova testimoniale, finalizzata non tanto ad evidenziare il superamento dei limiti fissati dalla normativa pubblicistica, quanto la particolare intensità, frequenza e sgradevolezza delle stesse. Dal punto di vista risarcitorio, invece, sarà necessario fornire la prova, anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza, della lesione al diritto di pienamente godere della propria abitazione, in particolare, allegando i disagi e le difficoltà causati dalle immissioni ed i comportamenti adottati a modifica delle proprie abitudini di vita (ad esempio: l'impossibilità di aprire le finestre anche d'estate). |