L'esclusività e generalità del giudizio di ottemperanza nel rito tributario

Claudio Sciancalepore
01 Agosto 2019

Nel processo tributario, il giudizio di ottemperanza è l'unico strumento per l'attuazione della sentenza del giudice tributario favorevole al contribuente, non potendo trovare applicazione la spedizione in forma esecutiva della sentenza di cui all'art. 475 c.p.c.
Massima

Nel processo tributario, il giudizio di ottemperanza è l'unico strumento per l'attuazione della sentenza del giudice tributario favorevole al contribuente, non potendo trovare applicazione la spedizione in forma esecutiva della sentenza di cui all'art. 475 c.p.c.

Il caso

Con ricorso presentato al Tribunale Ordinario di Benevento, il contribuente chiedeva al giudice di ordinare al Direttore della Segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Benevento il rilascio in forma esecutiva, ex art. 745 c.p.c., di una sentenza del 2018 emessa dal predetto organo della giurisdizione tributaria.

Il giudice ordinario, con il decreto in commento, rigetta l'istanza del ricorrente ritenendo che la novella di cui al D.Lgs. n. 156/2015, con la riforma degli artt. 69 e 70 del D.Lgs. n. 546/1992, “... abbia chiaramente optato per l'individuazione del giudizio di ottemperanza quale unico strumento per l'attuazione delle sentenze del giudice tributario”.

La questione

Precedentemente alla pronuncia in esame, il Presidente del Tribunale di Palermo, con un Decreto del 2 maggio 2018, su analogo ricorso ex art. 745 c.p.c., si era pronunciato in maniera opposta al giudice ordinario di Benevento ordinando al responsabile della Segreteria della Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia il rilascio, in favore del contribuente ricorrente, della copia in forma esecutiva della sentenza richiesta. Tale decisione si inseriva nel solco già tracciato da un precedente decreto del 24 dicembre 2016, sempre del Tribunale di Palermo, con cui il giudice dell'esecuzione rigettava l'istanza di sospensione dell'esecuzione formulata dall'Agenzia delle Entrate in sede di opposizione all'esecuzione basata, in via pregiudiziale ed assorbente, sul difetto di giurisdizione del giudice ordinario in danno di quella esclusiva della Commissione tributaria che aveva emesso la sentenza, proprio in forza della novella apportata all'art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992.

La questione, dunque, gira intorno all'interpretazione dell'art. 70 del D.Lgs n. 546/1992, come novellato dal D.Lgs. n. 156/2015 che, sopprimendo l'inciso “salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo…” avrebbe eliminato il doppio rimedio dell'esecuzione forzata e del giudizio di ottemperanza, limitando solo a quest'ultimo la tutela del contribuente avverso l'inadempimento della pubblica amministrazione a fronte di una sentenza favorevole al contribuente emessa dal giudice tributario.

Scendendo ancor più nel dettaglio, la questione attiene all'interpretazione dell'espressione, contenuta al comma 5 dell'art. 69, per cui “il contribuente può richiedere l'ottemperanza “, dove il “può” è stato fermamente interpretato, dalla giurisprudenza di merito siciliana, come espressione significativa di alternatività dello strumento del giudizio di ottemperanza rispetto all'esecuzione forzata civile. Il giudice civile campano, invece, con l'ordinanza in commento, addiviene alla soluzione opposta ponendo in campo un'interpretazione sistematica e ricordando come l'espressione “il contribuente può richiedere l'ottemperanza” è stata analogamente utilizzata dal Legislatore per il giudizio di ottemperanza delle sentenze del giudice amministrativo che è pacificamente ritenuto l'unico rimedio esperibile per l'attuazione dei provvedimenti decisori adottati dal giudice amministrativo.

Al punto 4) del decreto, peraltro, a supporto della propria interpretazione sistematica, il giudice campano evidenzia come, sia nel rito tributario sia in quello amministrativo (art. 39 D.Lgs. n. 104/2010), vi è un esplicito rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili.

Le soluzioni giuridiche

Attraverso il giudizio di ottemperanza il contribuente può ottenere l'adempimento degli obblighi sanciti dalla sentenza del giudice tributario in caso di inerzia dell'Amministrazione finanziaria. Il D.Lgs. n. 156/2015 ha profondamente innovato la tutela giurisdizionale del contribuente in ambito esecutivo al fine di rendere l'ottemperanza uno strumento di esecuzione delle pronunce generale ed esclusivo: la novella legislativa, infatti, in caso di inadempienza dell'Ufficio, concede al contribuente l'unico rimedio processuale dell'ottemperanza per l'esecuzione delle sentenze tributarie, anche provvisorie, sbarrando così la strada dell'ordinaria procedura esecutiva disciplinata dal c.p.c.

È stato, infatti, osservato che “Il decreto di riforma ha dunque previsto un sistema unitario di esecuzione delle sentenze, definitive e non, con carattere di esclusività” (così D. CHINDEMI (diretto da), Codice del contenzioso tributario, Giuffrè, Milano, 2018, 551) e che “Ora invece è dato al contribuente un rimedio giurisdizionale, costituito dal giudizio di ottemperanza ex art. 70, D.Lgs. n. 546/1992, che nel frattempo è anche rimasto l'unica forma di azione esecutiva concessa al contribuente” (così M. BASILAVECCHIA, Sentenza di annullamento e giudizio di ottemperanza, in GT, 2019, 1, 84). A dimostrazione di tanto il Legislatore delegato ha espunto dal codice del processo tributario ogni riferimento alle disposizioni del c.p.c. circa la spedizione in forma esecutiva della sentenza: le modifiche operate agli artt. 69 e 70 del D.Lgs n. 546/1992 hanno abolito la possibilità per il contribuente di ricorrere al rimedio processuale dell'esecuzione forzata secondo il codice di rito civile.

All'esclusività dell'ottemperanza, si accompagna anche l'ampiamento delle fattispecie normative in cui può essere esperito detto giudizio, oltre al tradizionale caso delle sentenze passate in giudicato: si pensi all'esecuzione delle sentenze, non ancora definitive, di condanna al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio; alle sentenze, non ancora definitive, relative alle operazioni catastali parzialmente o totalmente favorevoli al contribuente; alle sentenze relative ad atti impositivi che comportano, ex art. 68, co. 2, la restituzione al contribuente del tributo e relativi interessi e sanzioni, corrisposti in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza a lui favorevole; all'ordinanza con cui sono liquidate le spese di giudizio in caso di rinuncia al ricorso ex art. 44, co. 2. L'ampiamento dell'ambito applicativo del giudizio di ottemperanza segue logicamente la scelta legislativa di attribuire immediata efficacia esecutiva alle sentenze tributarie. Il giudizio di ottemperanza, dunque, può essere esperito per l'esecuzione non solo delle sentenze passate in giudicato, come avveniva tradizionalmente ante modifiche operate dal D.Lgs. n. 156/2015, ma anche delle sentenze non ancora definitive.

La tesi dell'esclusività e generalità del giudizio di ottemperanza sposata nel decreto in commento, è fatta propria anche dalla prassi amministrativa dell'Amministrazione finanziaria che ha sostenuto come le modifiche più importanti introdotte dal D.Lgs n. 156/2015 al codice del processo tributario riguardano “la previsione del giudizio di ottemperanza come unico meccanismo processuale di esecuzione delle sentenze, siano esse definitive o meno, escludendo la possibilità di ricorso all'ordinaria procedura esecutiva” e che, dunque, “con la riforma degli articoli 68, 69 e 70, è stato previsto un rimedio processuale unico all'eventuale inadempienza dell'Ufficio nell'esecuzione delle sentenze, siano esse definitive o provvisorie” (così la Circolare dell'Agenzia delle Entrate del 29 dicembre 2015, n. 38).

L'argomentazione sostenuta nel decreto in commento trova ulteriori conferme attraverso una interpretazione storica del D.Lgs. n. 156/2015 che consente di ricostruire la volontà del Legislatore attraverso l'analisi dei lavori parlamentari. La relazione illustrativa al decreto delegato non lascia dubbi sul punto sancendo chiaramente che “la peculiarità del processo tributario ha fatto ritenere preferibile la scelta del giudizio di ottemperanza come esclusivo sistema di esecuzione di tutte le sentenze, definitive e non…La scelta della esclusività del giudizio di ottemperanza come unico strumento per la esecuzione delle sentenze si ritiene giustificata:

  • dalla peculiarità delle sentenze emesse nel processo tributario, dove spesso anche il calcolo delle somme dovute a titolo di rimborso di imposta non è agevole, essendo necessaria comunque un'attività dell'ufficio per la determinazione degli interessi per i vari periodi interessati; inoltre la necessità di una garanzia per le condanne in favore del contribuente al rimborso di somme superiori a 10.000 euro, avrebbe creato notevoli problemi alle segreterie per il rilascio delle formule esecutive, non potendosi pretendere da tali uffici un controllo sulla idoneità della garanzia stessa;
  • dalla particolare efficacia della procedura di ottemperanza, che consente - anche con la nomina di un commissario ad acta - di ottenere in tempi relativamente brevi l'adempimento dell'Amministrazione, con il rimborso delle relative spese;
  • dal fatto che l'ordinaria procedura esecutiva (oltre ad aggravare lo stato della giustizia civile), non garantisce spesso il soddisfacimento dell'interesse del contribuente, anche per le note difficoltà di agire in via esecutiva sui beni di soggetti pubblici.”.

La natura generale ed esclusiva del giudizio di ottemperanza trova ulteriori conferme qualora si ponga mente all'ambito soggettivo di detto giudizio che è ora proponibile anche nei confronti dell'agente della riscossione o dei soggetti iscritti nell'albo di cui all'art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997 vista, come indicato nella relazione illustrativa al D.Lgs n. 156/2015, “la natura pubblica dell'Agente e l'attività oggettivamente pubblica posta in essere dai concessionari (privati).” (si veda anche M. LIGRANI, Il nuovo giudizio di ottemperanza: l'abrogazione del doppio rimedio, in il Tributario, 17 giugno 2016).

Altri elementi a sostengo di tale tesi possono essere rintracciati qualora si focalizzi l'attenzione sulle modifiche apportate all'art. 44 del D.Lgs n. 546/1992 in tema di estinzione del processo per rinuncia al ricorso. Nella versione vigente ante modifiche operate dal D.Lgs. n. 156/2015, l'articolo disponeva che costituisce titolo esecutivo l'ordinanza con cui sono liquidate le spese che il rinunciante al ricorso deve rimborsare; dalla formulazione post modifiche emerge che è stato espunto il riferimento all'efficacia di titolo esecutivo dell'ordinanza. Come osservato dalla relazione illustrativa, la novella legislativa ha espunto detto inciso “in quanto l'unico strumento utilizzabile nell'ambito del decreto è ormai il giudizio di ottemperanza, anche per le spese legali in favore del contribuente. Diversamente per le spese liquidate in favore dell'ente impositore e degli altri soggetti equiparati, è prevista l'iscrizione a ruolo dopo il giudicato, come dispone il nuovo art. 15 comma 4”.

Osservazioni

Il decreto del Tribunale di Benevento dispiega una portata applicativa di non poco momento in quanto il contribuente che abbia ottenuto dal giudice tributario una sentenza a sé favorevole non può più richiedere, alla Segreteria della Commissione Tributaria che ha emesso il provvedimento, la spedizione in forma esecutiva della pronuncia legittimando, in tal modo, il rifiuto di quest'ultima. Alla luce di quanto analizzato brevemente in precedenza, a seguito dell'adozione del D.Lgs. n. 156/2015, l'unico rimedio processuale per ottenere l'esecuzione di dette sentenze è il giudizio di ottemperanza rendendo inutile la spedizione in forma esecutiva.

Il decreto in esame ribalta, come accennato in precedenza, le conclusioni raggiunte dal Tribunale di Palermo su una analoga fattispecie che ha, invece, riconosciuto il diritto all'azione esecutiva del contribuente. Il giudice dell'esecuzione palermitano, nell'ordinanza del 24 dicembre 2016, ha interpretato letteralmente gli artt. 69 e 70 del D.Lgs n. 546/1992 in forza dei quali il contribuente “può richiedere l'ottemperanza”, lasciando aperta la porta al facoltativo giudizio civile di esecuzione. Come osservato nella citata ordinanza “il giudizio di ottemperanza si pone in termini di concorrenzialità con il ricorso alla giurisdizione ordinaria e al giudice dell'esecuzione… D'altra parte, una lettura costituzionalmente orientata della norma, impone di ritenere che il previsto ricorso al giudizio di ottemperanza non costituisce l'unica possibilità per far valere il diritto ad agire esecutivamente per conseguire l'adempimento dell'obbligo portato dal titolo esecutivo nel doveroso rispetto del diritto della parte a non veder compresso, ritardato, reso più difficile e gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale e al fine di non creare … un'irragionevole disparità di trattamento del creditore nella fattispecie di esecuzione di sentenze fiscali rispetto all'esecuzione di sentenze civili o amministrative con conseguente contrasto con gli art. 3, 24, e 113 Cost.”. In forza di tale orientamento, il presidente del Tribunale di Palermo chiamato a pronunciarsi su analoga questione, con successivo Decreto del 2 maggio 2018, ha ordinato al responsabile della Segreteria della Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia il rilascio di una copia in forma esecutiva di una sentenza tributaria seppur “in disparte ogni considerazione concernente la persistenza (o meno) del diritto di procedere ad esecuzione forzata ordinaria in forza delle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente emesse dalle commissioni tributarie, all'indomani della modifica dell'art. 70 D.Lgs n. 546/1992…, dovendo la relativa questione essere esaminata – e risolta – dall'autorità giudiziaria. ”. La singolarità , al riguardo è che, successivamente, il giudice di pace di Palermo, con la sentenza del 21 gennaio 2019, n. 234, ha condannato il Direttore responsabile della Segreteria della CTR al risarcimento dei danni.

Significativo risulta, al riguardo, l'affondo che, invece, il Giudice del Tribunale ordinario di Benevento effettua al punto 4) del decreto in commento ove evidenzia come la limitazione al solo strumento del giudizio di ottemperanza analogamente, peraltro, a quanto accade nel giudizio amministrativo per le sentenze rese dal giudice amministrativo, non rappresenti una compressione del diritto del contribuente all'ottenimento di quanto riconosciuto a sé favorevole dal giudice tributario. Così come, sempre nello stesso passaggio del decreto, il Tribunale di Benevento precisa che tale limitazione strumentale non configura neanche un trattamento discriminante e ingiustamente differenziato del creditore destinatario di una pronuncia civile rispetto al creditore che abbia ottenuto un provvedimento decisorio tributario o amministrativo.

In conclusione

Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 ha introdotto significative modifiche alla disciplina del processo tributario, in attuazione della Legge delega dell'11 marzo 2014, n. 23. L'art. 10 di tale legge delegava al Governo la revisione del contenzioso tributarioper il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, assicurando la terzietà dell'organo giudicante” secondo i principi e criteri direttivi indicati nell'articolo. La delega legislativa nulla prevede circa la preclusione del contribuente all'accesso all'esecuzione forzata regolata dal cpc e l'individuazione del solo giudizio di ottemperanza innanzi ai giudici tributari quale unico rimedio.

Tale eccesso di delega non è sfuggito alla dottrina che ha evidenziato l'illegittimità costituzionale del D.Lgs n. 156/2015atteso che una modifica di questa portata, comportante addirittura la parziale abrogazione delle norme del Codice di procedura civile, che prevedono la fruibilità dell'esecuzione forzata ivi contenuta (artt. 474 ss. c.p.c.) per tutte le sentenze costituenti titolo esecutivo anche nei confronti della Pubblica amministrazione, con la consequenziale privazione del contribuente di un vero e proprio diritto soggettivo all'accesso alla giustizia ordinaria a seguito di una ottenuta sentenza esecutiva di condanna dell'amministrazione a restituire quanto indebitamente trattenuto, avrebbe dovuto essere normativamente sancita per le vie ordinarie o su delega del Parlamento, non già tramite un provvedimento delegato deliberato di straforo senza che la Legge delega contenga il pur minimo supporto abilitativo in tal senso.” (così C. GLENDI, Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di Decreto delegato sul contenzioso, in Corr. trib., 2015, 32-33, 2468). L'illegittimità costituzionale riguarderebbe non solo un eccesso di delega ma anche una violazione di delega tenendo a mente che l'art. 10 della Legge n. 23/2014, al comma 1, indirizza il legislatore delegato al “rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente” e non ad un suo depotenziamento individuabile nell'eliminazione di un rimedio processuale. Tra i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 10 della citata legge n. 23/2014, inoltre, figura anche “l'immediata esecuzione, estesa a tutte le parti in causa, della sentenza delle commissioni tributarie” volta ad ampliare la tutela giurisdizionale del contribuente in ambito esecutivo e non già a ridimensionarla.

L'illegittimità costituzionale potrebbe estendersi anche alla violazione dei principi di uguaglianza ed effettività della tutela giudiziaria di cui agli artt. 3 e 24 Cost. come paventato dal Tribunale di Palermo in quanto la novella legislativa priva il contribuente del diritto soggettivo all'accesso alla giustizia ordinaria. Vista la contraddittoria giurisprudenza formatasi sul punto, sarebbe auspicabile un rinvio alla Corte costituzionale per fugare ogni dubbio sul tema e ripristinare l'attesa certezza del diritto. Del resto, come è stato osservato, la ratio della esclusività del giudizio di ottemperanza risiede nella volontà di sopprimere, ai fini del giudizio tributario, la spedizione in forma esecutiva della sentenza prevista dal cpc in quanto si tratta di “uno strumento dalle limitate risorse in primis, per l'applicazione dell'art. 147, Legge 23 dicembre2000, n. 388 (l'esecuzione ai sensi del Codice di Procedura Civile non può iniziare prima del decorso del termine dilatorio di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo), e secondariamente, in quanto la procedura esecutiva incontra un forte limite dato dai vincoli di pignorabilità dei beni dello Stato. Inoltre, spesse volte, come nel caso di liti da rimborso, le sentenze sono prive dell'esatta quantificazione delle somme dovute, e non soddisfano perciò ai requisiti del titolo esecutivo previsti dall'art. 474 c.p.c.” (così M. ABBATANTUONI – M. CAVALLARO, Le novità in tema di giudizio di ottemperanza, in il Tributario, 25 luglio 2016). Tale scelta legislativa finisce, dunque, per ridurre il novero degli strumenti processuali volti ad ottenere l'esecuzione delle sentenze favorevoli al contribuente determinando, di fatto, una oggettiva deminutio della tutela dello stesso sicché “Il fatto che gli istituti attinti dal processo civile possano essere meno efficaci dell'ottemperanza non costituisce, invero, un'argomentazione idonea a giustificare una siffatta riduzione di tutela.”. (così M. LEO, La novella del contenzioso tributario, in il Tributario, 19 novembre 2015).

A fronte di tali lapidarie affermazioni, tuttavia, il giudice civile di Benevento, non si cura di esplicitare le motivazioni in base alle quali non si verificherebbe alcuna limitazione al diritto del contribuente di poter optare per uno strumento piuttosto che per un altro stante il fatto che, concretamente, una riduzione delle opzioni di scelta è stata realmente operata dal Legislatore. Motivazione alcuna si rinviene altresì rispetto all'ulteriore affermazione per cui non si verificherebbe neanche un trattamento differenziato tra le diverse categorie di creditori, vale a dire quelli destinatari di un provvedimento civile che, di fatto, hanno a disposizione due diversi strumenti atti ad ottenere il rispetto del loro diritto a fronte di quelli destinatari di un provvedimento decisorio amministrativo o tributario che però, di fatto, ne hanno a disposizione uno solo. Al riguardo, invece, il giudice dell'esecuzione palermitano, con il già menzionato decreto del 24 dicembre 2016, trovava una strada in discesa nell'esprimere contrarie riflessioni, invocando una lettura costituzionalmente orientata della norma in questione la quale porta a ritenere che il ricorso al giudizio di ottemperanza non deve costituire l'unica possibilità di far valere il diritto ad agire esecutivamente per conseguire l'adempimento dell'obbligo portato dal titolo esecutivo, pena l'oggettiva ed evidente disparità di trattamento tra le diverse tipologie di creditori, con conseguente evidente violazione degli artt. 3, 24 e 113 Cost.

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