Possibile firmare digitalmente gli atti sanzionatori anche in assenza dei decreti attuativi previsti dal D.Lgs. 217/2017
01 Agosto 2019
Massima
La possibilità di sottoscrivere digitalmente gli atti di natura sanzionatoria tributaria è prevista dall'art. 2 c.1 lett. e) D. Lgs. 217/2017, in vigore dal 27 gennaio 2018. Non osta all'applicabilità di tale norma la mancata emanazione del relativo decreto attuativo. La debenza del contributo unificato tributario sussiste anche nel caso di atti impugnati con valore pari a zero.
Il caso
La vicenda sottoposta al vaglio della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara concerneva l'impugnativa di un avviso di irrogazione di sanzioni emesso dall'Ufficio di segreteria della locale sezione distaccata della Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo, in relazione all'omesso versamento del contributo unificato afferente ad un ricorso in appello.
In particolare, trattandosi di una controversia avente ad oggetto una pluralità di atti della riscossione, l'Ufficio giudiziario aveva ritenuto applicabile un contributo unificato per ciascuno degli atti impugnati dal ricorrente.
Dal canto suo il contribuente lamentava, oltre alla carenza di motivazione del provvedimento, anche il fatto che quest'ultimo non recasse una valida sottoscrizione ad opera del funzionario responsabile del procedimento, essendo stato firmato digitalmente in violazione delle prescrizioni normative contenute nell'art. 2 c. 6- bis D. Lgs. 82/2005.
Eccepiva, infine, l'inesistenza del presupposto impositivo in relazione ad alcuni degli atti impugnati, siccome aventi un valore pari a zero. La questione
Come osservato in premessa, le questioni giuridiche sottoposte alla cognizione dei giudici di merito sono essenzialmente due: la prima concerne la possibilità di applicare la disposizione del Codice dell'Amministrazione Digitale che abilita l'ente pubblico (in questo caso il dirigente dell'ufficio di segreteria della Commissione) a sottoscrivere digitalmente il provvedimento sanzionatorio, anche in assenza dei decreti attuativi previsti dall'art. 2 c. 6- bis D. Lgs. 82/2005; la seconda, di merito, attiene alla debenza del contributo nell'ipotesi di atti aventi un valore pari a zero.
Entrambe le questioni sono state risolte dall'organo giurisdizionale in senso favorevole all'amministrazione, con il conseguente rigetto del ricorso proposto. Le soluzioni giuridiche
La seconda statuizione non sembra meritare particolari riflessioni.
Nel disciplinare il contributo unificato nei processi tributari, l'art.13 c. 6- quater DPR 115/2002 (introdotto dall'art. 37 DL 98/2011 conv. in L. 111/2011) stabilisce testualmente che «per i ricorsi principale ed incidentale proposti avanti le Commissioni tributarie provinciali e regionali è dovuto il contributo unificato nei seguenti importi: a) euro 30 per controversie di valore fino a euro 2.582,28 […]».
La disposizione in parola, dunque, individua solo il limite massimo del primo scaglione, mentre non reca alcun riferimento al limite minimo, sottintendendo che quest'ultimo è pari a zero.
D'altra parte, se il legislatore avesse inteso escludere la debenza del contributo unificato in relazione alle controversie tributarie riguardanti atti privi di valore economico, lo avrebbe fatto in modo esplicito codificando un'ipotesi di esclusione (o al limite di esenzione) con una norma ad hoc. Sotto altro profilo, non si deve dimenticare che anche le controversie riguardanti atti di valore indeterminabile (si pensi, ad es., alle impugnative di provvedimenti di chiusura officiosa della partita IVA, alle controversie catastali o alle impugnative dei dinieghi di iscrizione all'anagrafe delle Onlus) non sfuggono al prelievo fiscale, essendo soggette ad un contributo unificato di € 120,00.
Più interessante è, invece, la prima questione affrontata nella decisione annotata, la quale pone un problema di identificazione dell'esatta portata delle disposizioni in tema di firma digitale, con riferimento agli atti dell'amministrazione finanziaria.
Come noto, il D. Lgs. 82/2005 (c.d. Codice dell'Amministrazione Digitale o CAD) regolamenta, tra l'altro, l'uso della firma digitale.
Quest'ultima viene definita dall'art.1 come "un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata (crittografia asimmetrica), correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici". Lo scopo della firma digitale è insomma quello garantire l'autenticità e l'integrità, oltre ovviamente alla paternità, di un messaggio o di altro documento digitale, attraverso un complesso sistema di chiavi crittografiche.
In seguito all'entrata in vigore di detto testo legislativo, taluni uffici dell'Amministrazione finanziaria avevano ritenuto di potersi avvalere della firma digitale nell'esercizio delle loro funzioni impositive (e non solo), predisponendo atti privi di sottoscrizione autografa, ma recanti la dicitura "firmato digitalmente" dal direttore o dal capo dell'ufficio, e procedendo ugualmente alla notifica degli stessi con le modalità cartacee tradizionali previste dall'art. 60 DPR 600/73.
Tale prassi, oltre ad essere oggetto di critiche da parte della dottrina che si era occupata della questione, era stata sanzionata di nullità, per violazione dell'art. 42 DPR 600/73, da diverse corti di merito, sia pure con motivazioni non sempre conformi (sul punto si veda la disamina operata da F. Farri, Nullità degli accertamenti cartacei firmati digitalmente, in Riv. Dir. Trib., suppl. online, 19.6.2018).
In particolare, alcuni giudici tributari avevano ricondotto l'invalidità dell'atto firmato digitalmente, ma notificato in forma cartacea, all'oggettiva impossibilità di permettere le dovute verifiche di autenticità ed integrità del messaggio/documento così formato, stante l'assenza delle chiavi crittografiche normalmente associate ad un messaggio di posta elettronica certificata (così, ad esempio, CTP Treviso 15 gennaio 2018 n. 55).
Altri invece - secondo Farri più correttamente, cit., ibidem - avevano posto l'accento sul dato normativo costituito dall'art. 2 c. 6 CAD che, nella versione originaria (ossia antecedente alle modifiche apportate dall'art.2 D. Lgs. 217/2017), escludeva l'applicazione della disciplina in parola all'esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale (in tal senso CTP Pescara gennaio 2017 n. 926 e CTP Salerno 14 maggio 2018 n. 1902).
La conclusione, in entrambi i casi, era la nullità (ovvero l'"inesistenza giuridica", secondo la prospettazione più estrema sposata dai giudici salernitani) dell'atto impositivo così emanato, per difetto di una valida sottoscrizione ex art. 42 c. 3 DPR 600/73.
Per completezza merita aggiungere che, proprio nel tentativo di fare chiarezza e scongiurare la diffusione di prassi illegittime, già nel 2013 l'Agenzia per l'Italia Digitale aveva emanato una circolare esplicativa (Circ. Agenzia Italia Digitale 30 aprile 2013 n. 62), ove nel capitolo dedicato alle "modalità di sottoscrizione a mezzo stampa della copia analogica del documento amministrativo informatico originale conservato presso la amministrazione", veniva chiarito che, anche in ipotesi di documenti amministrativi informatici firmati digitalmente, l'amministrazione avrebbe dovuto notificare al cittadino una copia analogica munita di regolare sottoscrizione autografa sostituita a mezzo stampa.
Con l'entrata in vigore del sopra citato D. Lgs. 217/2017, che ha apportato alla normativa vigente in materia una serie di modifiche ed integrazioni finalizzate sia ad implementare la disciplina del CAD, sia a coordinarla con le disposizioni del Regolamento dell'Unione Europea eIDAS (Reg. UE 910/2014), l'art. 2 CAD si è arricchito di un ulteriore comma (il c. 6- bis), che, con decorrenza dal 27 gennaio 2018, ha esteso l'applicabilità di tale regime e dunque della firma digitale anche alla materia degli accertamenti tributari.
Così recita, in particolare, la disposizione novellata: “ferma restando l'applicabilità delle disposizioni del presente decreto agli atti di liquidazione, rettifica, accertamento e di irrogazione delle sanzioni di natura tributaria, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti le modalità e i termini di applicazione delle disposizioni del presente Codice alle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale”.
Il legislatore ha quindi esteso l'applicabilità del CAD agli atti di liquidazione, rettifica, accertamento e di irrogazione delle sanzioni di natura tributaria che erano esclusi nelle versioni precedenti. Nel contempo, lo stesso articolo, pur confermando la possibilità di applicare le norme del CAD a questa tipologia di atti, rimanda ad un futuro DPCM la definizione delle modalità e dei termini di applicazione delle predette disposizioni "alle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale".
Sicché, proprio muovendo da quest'ultima parte della disposizione, nella fattispecie in commento il contribuente ha sostenuto la tesi dell'inapplicabilità dell'art. 6- bis CAD, in ragione dell'assenza del decreto attuativo sopra richiamato, inferendone, quale ulteriore conseguenza, il difetto di una valida sottoscrizione in calce al provvedimento impugnato.
La tesi difensiva è stata tuttavia respinta dai giudici pescaresi, i quali hanno argomentato che la mancata adozione del decreto attuativo non avrebbe potuto configurarsi quale condizione ostativa all'immediata applicazione della norma sulla firma digitale rispetto agli atti tributari emessi dopo la sua entrata in vigore (e cioè con decorrenza dal 27 gennaio 2018), tenuto conto che, nel caso di specie, non sussistevano dubbi sulla concreta riferibilità dell'atto all'autorità fiscale emittente, talché nessuna violazione o compromissione delle garanzie difensive avrebbe potuto ritenersi integrata. Osservazioni conclusive
La decisione annotata ha risolto la questione controversa privilegiando un approccio di tipo sostanzialistico, in verità abbastanza frequente nella giurisprudenza tributaria di merito.
Sotto questo profilo, tuttavia, la pronuncia suscita quale perplessità in relazione al fatto che, quando il legislatore sceglie di differire nel tempo la concreta applicazione di una norma di legge, collegandola all'adozione di una fonte subordinata, la mancanza di quest'ultima, di regola, è destinata ad incidere sul regime di operatività della fonte superiore (anche Farri, cit., sembra condividere l'interpretazione che procrastina il momento dell'entrata in vigore delle modifiche dell'art. 2 CAD all'emanazione del DPCM previsto dal c. 6- bis).
Ciò premesso, nel caso in esame il collegio avrebbe forse potuto approdare al medesimo risultato pratico - ossia alla statuizione di rigetto del ricorso - attraverso un differente percorso interpretativo. In questo senso, l'incipit della disposizione ("Ferma restando l'applicabilità delle disposizioni del presente decreto agli atti di liquidazione, rettifica, accertamento e di irrogazione delle sanzioni di natura tributaria") lascia intendere che l'applicazione immediata della disciplina della firma digitale a questa tipologia di atti non sia in discussione, in quanto sono (solo) le "funzioni ispettive" e le attività di "controllo fiscale", richiamate nell'ultima parte della norma, ad esigere per il loro concreto e legittimo esercizio l'emanazione di un decreto attuativo finalizzato a stabilire "le modalità ed i termini di applicazione delle disposizioni del presente codice".
Diversamente opinando, si configurerebbe un'insanabile contraddizione logica tra la prima e la seconda parte della disposizione: il "fermo restando" non avrebbe alcun senso, posto che l'efficacia dell'intera norma, dunque anche della prima parte, sarebbe sempre subordinata all'emanazione della fonte subordinata, ossia del decreto del presidente del consiglio dei ministri (o del ministro delegato) richiamato nella seconda parte.
Così stando le cose, l'unico modo per fare sì che la disposizione in parola abbia un senso compiuto, è quello di ritenere che il legislatore della novella abbia inteso utilizzare l'espressione "attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale" in un'accezione tecnica, diversamente da come era avvenuto in precedenza nel contesto della disposizione abrogata (la quale invece, verosimilmente, rifletteva l'intento di escludere l'applicazione della disciplina del CAD a tutti gli atti posti in essere dall'Amministrazione finanziaria, senza alcuna specifica distinzione correlata all'oggetto dell'attività o al tipo di funzione espletata).
In questa prospettiva ermeneutica, può giustificarsi la scelta di operare una distinzione tra funzioni propriamente "ispettive" e "di controllo", le quali non coprono l'intero spettro di poteri esercitabili dall'amministrazione finanziaria, ed altre funzioni che, invece, attengono strettamente all'esercizio delle potestà impositiva, di riscossione e sanzionatoria.
La distinzione non è priva di senso: per un verso, infatti, le funzioni ispettive e di controllo in materia tributaria sono riconducibili alla potestà istruttoria (in questo senso sembrano potersi superare le obiezioni formulate dalla dottrina sopra richiamata con riferimento al vecchio testo di legge), sicché il loro esercizio postula l'osservanza di una serie di norme procedurali, poste a tutela di interessi anche di rango superiore (quali, ad esempio, il diritto alla riservatezza, all'inviolabilità del domicilio, ecc.), che necessitano di essere compiutamente definite nelle loro modalità esecutive.
Per altro verso, l'esercizio di tali poteri si articola ordinariamente nell'adozione di atti a carattere endoprocedimentale, che non sempre sfociano in un provvedimento definitivo suscettibile di impugnazione autonoma.
Risulta evidente, insomma, la differenza tra questa tipologia di atti e quella costituita dai provvedimenti terminali dei procedimenti di accertamento, riscossione e sanzionatori, rispetto ai quali si pone solo un problema di concreta riferibilità all'organo che li ha emanati, al fine di verificare se quest'ultimo sia realmente munito del relativo potere.
Il provvedimento impugnato dinanzi alla CTP di Pescara rientra proprio in quest'ultima categoria: con esso l'Amministrazione si è limitata a constatare una certa violazione (il mancato pagamento del contributo unificato) e ad irrogare la relativa sanzione pecuniaria.
Non sarebbe appropriato, pertanto, parlare di provvedimento emesso nell'esercizio di una funzione ispettiva o di controllo.
In conclusione, ricostruita in questi termini la fattispecie concreta, sembra potersi condividere la soluzione adottata dalla commissione tributaria nella sentenza in esame, laddove ammette l'applicabilità delle norme del CAD, incluse quelle in tema di firma digitale, malgrado l'assenza del relativo decreto attuativo. |