Non è soggetto a revoca giudiziale l'amministratore che si trovi in regime di prorogatio imperii

Gianluigi Frugoni
02 Settembre 2019

Il Tribunale di Roma si allinea con la giurisprudenza maggioritaria di merito, secondo la quale la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore è inammissibile se quest'ultimo si trovi in regime di prorogatio imperii, e il suo mandato sia formalmente scaduto, e con la giurisprudenza che ritiene che il procedimento di revoca non sia soggetto alla mediazione obbligatoria di cui al d.lgs. n. 28/2010.
Massima

La condizione di procedibilità di cui all'art. 5, d.lgs. n. 28/2010 non si applica ai procedimenti in camera di consiglio perché espressamente esclusi per disposizione di legge (art. 5, comma 4, lett. e). Alla scadenza del termine il mandato annuale/biennale dell'amministratore si estingue ipso jure e, se esso è scaduto al momento della proposizione della domanda di revoca, l'amministratore non è più in carica, donde non può, all'evidenza, essere revocato (alla scadenza può aversi la c.d. prorogatio imperii, ma con i poteri limitati solo all'esecuzione delle attività urgenti).

Il caso

Alcuni condomini hanno adito il Tribunale di Roma chiedendo la revoca giudiziale dell'amministratore sul presupposto della sussistenza di gravi irregolarità.

L'amministratore ha resistito alla domanda eccependo l'improcedibilità della domanda per non essere stata preceduta dal procedimento di mediazione obbligatoria.

Il Tribunale ha respinto l'eccezione di improcedibilità della domanda rilevando che l'art. 5, d.lgs. n. 28/2010 non si applica ai procedimenti in camera di consiglio perché espressamente esclusi per disposizione di legge (art. 5, comma 4, lett. e).

In ordine alla domanda di revoca, il Tribunale ha ritenuto che il presupposto perché possa essere proposta, è che l'amministratore sia in carica, ovvero che sia stato previamente nominato dalla assemblea e che il mandato annuale/biennale non sia nelle more scaduto.

Ha osservato anche che alla scadenza del predetto termine il mandato si estingue ipso jure, giacchè nella fase della c.d. prorogatio imperii, quando l'amministratore continui ad esercitare i suoi poteri provvisoriamente per assicurare la continuità della gestione, essi sono limitati alla esecuzione delle attività urgenti (art. 1129, comma 8, c.c.) ma, in tal caso, formalmente non è in carica nessun amministratore.

Il Collegio ha, quindi, rigettato la domanda rilevando che il mandato era stato nella specie conferito all'amministratore in data 28 gennaio 2016 e che, al momento della proposizione della domanda (27 gennaio 2018) era ampiamente scaduto ed infine che, l'assemblea non aveva raggiunto il quorum per nominarne uno nuovo, per cui quando era iniziato il procedimento l'amministratore non era più in carica.

L'assenza di un amministratore in carica, alla data di proposizione della domanda, secondo il Tribunale di Roma, avrebbe consentito ai condomini solo il ricorso all'istituto della nomina giudiziale ai sensi dell'art. 1105 c.c.

La questione

Le questioni affrontate dal Tribunale di Roma riguardano, in via processuale, l'applicazione o meno della mediazione obbligatoria al procedimento di revoca giudiziale dell'amministratore e, in via sostanziale, l'ammissibilità della domanda quando essa sia proposta contro un amministratore il cui mandato sia scaduto per lo spirare del termine annuale/biennale e stia svolgendo i suoi compiti in regime di prorogatio imperii.

Le soluzioni giuridiche

Secondo il Tribunale di Roma, la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore per gravi irregolarità non è improcedibile per il mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria prevista dal d.lgs.n. 28/2010, in quanto l'art. 5, comma 4, del provvedimento legislativo esclude espressamente i procedimenti di camera di consiglio.

Per poter esperire la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore - secondo il Collegio - occorre che l'amministratore sia stato nominato dalla assemblea e che il suo mandato annuale/biennale non sia scaduto, atteso che il mandato si estingue ipso jure alla scadenza del termine suddetto.

Nel decreto si precisa che l'amministratore debba essere nella pienezza dei poteri perché possa essere oggetto di revoca da parte della Autorità giudiziaria, situazione in cui non può trovarsi l'amministratore il cui mandato sia scaduto per lo spirare del termine, seppur ancora operante per la c.d. prorogatio imperii in quanto i suoi poteri, alla scadenza, in seguito alla novella, sono limitati solo all'esecuzione delle attività urgenti (art. 1129, comma 8, c.c.), ma, in tal caso - osserva il Collegio - l'amministratore non è in carica e l'assemblea deve attivarsi per procedere ad una nuova nomina.

Rilevato che nella fattispecie il mandato dell'amministratore nei cui confronti si chiedeva la revoca giudiziale era scaduto ampiamente alla data di presentazione della domanda, e che l'assemblea successivamente si era riunita ma non aveva raggiunto il quorum per una nuova nomina, il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda per insussistenza dei presupposti, rilevando che dovesse essere promosso il diverso procedimento ex art. 1105 c.c. per la nomina giudiziale dell'amministratore.

Osservazioni

Nella prima parte, il decreto del Tribunale di Roma è in linea con la giurisprudenza maggioritaria di merito sin qui pronunciatasi in materia di mediazione obbligatoria e procedimento di revoca giudiziale dell'amministratore.

Si segnala quale pronuncia contraria isolata quella del Trib. Vasto 4 maggio 2017 secondo la quale Il procedimento di mediazione deve essere esperito prima di avviare l'azione giudiziale per la revoca dell'amministratore di condominio, giacché la controversia, in base al combinato disposto dagli artt. 71-quater e 64 disp. att. c.c., rientrerebbe tra quelle soggette a detto obbligo ai sensi del d.lgs. n. 28/2010.

Secondo la decisione che qui si commenta, invece, la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore, trattandosi di un procedimento che si svolge con il rito camerale, non è improcedibile qualora non sia preceduta dalla istanza di mediazione di cui al d.lgs. n. 28/2010, in quanto l'art. 5, comma 4, lett. e) esclude espressamente la sua applicazione a tali procedimenti.

Il decreto romano emanato in materia di revoca giudiziale dell'amministratore affronta nella parte sostanziale il tema sulla durata della carica dell'amministratore e lo fa in modo assai lineare senza entrare nell'esame delle notevoli discussioni interpretative ingenerate dal comma 8 dell'art. 1129 c.c., introdotto dalla novella del 2012.

Il Tribunale afferma che il mandato dell'amministratore ha durata annuale/biennale.

L'apposizione della barra obliqua tra le parole annuale e biennale pare semplificare drasticamente le cruenti discussioni sorte sulla interpretazione del comma 10 dell'art. 1129 c.c. (non ancora placate) confluite in tre contrapposte diverse teorie conclusive che per brevità ricostruiremo così: a) teoria della proroga legale di un anno (durata annuale del mandato con rinnovo di un solo anno); b) teoria della proroga sine die (ultrattività del rinnovo annuale del mandato di anno in anno sine die sino a che non intervenga revoca; c) teoria della durata annuale del mandato come nel vecchio art. 1129 c.c. soggetta a conferma della assemblea ordinaria ex art. 1135, n. 1), c.c., (conferma che ove l'assemblea non precisi la misura della durata deve intendersi ovvero interpretarsi conferita per un anno).

L'espressione lessicale semplificata “annuale/biennale” svela l'allineamento del Tribunale di Roma alla interpretazione data da altre decisioni di merito e, in particolare, da Trib. Brescia 15 aprile 2016, secondo il quale, in tema di durata dell'incarico dell'amministratore, il riformato art. 1129 c.c. va interpretato nel senso che dopo il primo incarico annuale segue ex lege - in assenza di revoca o dimissioni - un solo rinnovo tacito di un anno con pienezza di poteri.

Tale è l'interpretazione data anche da Trib. Milano 7 ottobre 2015 e Trib. Cassino 21 gennaio 2016, in sintonia con la tesi dottrinaria sopra evidenziata sub a).

Anche nella distinzione di un mandato a due fasi (una a pieni poteri ed un'altra a poteri limitati), il Tribunale di Roma sembra rifarsi alla decisione del Tribunale di Brescia, laddove, secondo entrambe le decisioni, per il periodo successivo al secondo anno di mandato, i poteri dell'amministratore (cessato ma in regime di prorogatio imperii) sono limitati al compimento delle sole attività urgenti, al fine di evitare pregiudizi alle cose comuni.

Il giudice romano è addirittura più netto laddove precisa che il mandato si estingue ipso jure alla scadenza del termine ritenendo pertanto che la carica cessi con lo spirare del termine di scadenza stesso.

La conseguenza è che se il mandato di un amministratore è scaduto e cessano i suoi pieni poteri, rimanendo in vita solo quelli limitati alle attività urgenti, egli non è in carica e viene a mancare il presupposto in forza del quale può essere esercitata la domanda di revoca.

Dal canto suo, Trib. Palermo 9 novembre 2018 ha osservato che la novella condominiale intervenuta nel 2012 ha ben delimitato gli obblighi cui l'amministratore in prorogatio è tenuto (nei confronti del condominio) in attesa che altri assumano la pienezza di poteri (circoscrivendoli all'esecuzione delle attività urgenti funzionali ad evitare pregiudizi agli interessi comuni e senza diritto ad ulteriori compensi), facendogli pure obbligo di consegnare tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini.

Secondo tale decisione si deve fortemente dubitare della permanenza in capo all'amministratore in regime di prorogatio dell'obbligo di ripartire spese, di incassare i contributi, e finanche di mantenere il governo dei beni e servizi comuni.

Con un corredo di poteri così depotenziato, per il giudice palermitano è difficile sostenere che il vincolo che lega l'amministratore in prorogatio al condominio sia equipollente a quello intercorrente tra l'ente di gestione e il suo amministratore in carica, sicché ritiene che non sia ammissibile la revoca giudiziale di un amministratore in prorogatio.

Tali interpretazioni sembrano tuttavia mal conciliarsi con quanto disposto dall'art. 1130, n. 10), c.c. secondo il quale l'amministratore deve redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per l'approvazione entro 180 giorni.

Se il mandato scade ipso jure al più tardi al termine del secondo anno, ove rinnovatosi dopo il primo anno, perché il legislatore avrebbe disposto la fissazione di un termine dilatorio cosi lungo di ulteriori 180 giorni per la redazione del rendiconto, dovendo invece l'amministratore in tale periodo dedicarsi unicamente alle attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni?

Non pare che la redazione del rendiconto sia materia di carattere urgente, costituendo anzi una delle attribuzioni ordinarie del mandato a pieni poteri.

Conseguentemente la tesi di una prorogatio imperii depotenziata e limitata alle attività urgenti non convince appieno e pare vacillare ancora di più comparandola con altre disposizioni contenute nella novella.

Si pensi all'art. 1129, comma 1, c.c. che, nel caso del condominio composto da più di otto condomini, dispone l'obbligatorietà della nomina dell'amministratore, obbligatorietà che dovrebbe quindi permanere sino alla avvenuta sostituzione dell'amministratore.

D'altronde sembrano ripetersi antiche pulsioni di “prorogatio imperii piena” anche nella recente Cass. civ., sez. VI, 19 marzo 2019, n.7699, resa in un caso di asserita violazione dell'art. 1129, comma 13 (norma introdotta dalla novella) e, quindi, in un caso sorto ratione temporis a riforma avvenuta.

Ebbene, tale decisione ha affermato che, nei casi di revoca od annullamento della delibera di nomina dell'amministratore e, tanto più in mancanza di una dichiarazione d'invalidità della medesima delibera, lo stesso amministratore continua ad esercitare legittimamente, fino all'avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza, anche processuale, dei comproprietari, ben potendo egli conferire procura ad un difensore al fine della costituzione in giudizio, sul presupposto della presunzione di conformità alla volontà dei condomini e dell'interesse del condominio alla continuità dell'amministrazione.

Nella pronuncia, si osserva che il riconoscimento dei permanenti poteri rappresentativi dell'amministratore, la cui delibera di nomina, per quanto tacciata di invalidità per contrasto con l'art. 1129 c.c., al comma 13, non sia stata ancora oggetto di specifica impugnazione, non è smentito dall'assunto che il divieto posto all'assemblea dalla citata disposizione costituisca norma imperativa di ordine pubblico, posta a tutela dell'interesse generale ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico-pratico del rapporto di amministrazione.

Ne consegue pertanto che l'amministratore di condominio, che pur si assuma nominato con delibera illegittima, finchè non sostituito, può validamente conferire procura ad un difensore al fine di costituirsi in giudizio per conto del condominio, interpretazione che si uniforma a quanto affermato in giurisprudenza, sul fondamento dell'art. 2385 c.c., per le società di capitali, con riguardo alle quali viene affermato che la parte, la quale eccepisce la nullità della procura alle liti rilasciata da un amministratore la cui nomina fosse invalida, ha l'onere di provare non solo che tale nomina era stata già annullata prima del conferimento della procura alle liti, ma anche che quell'amministratore aveva a tale data conseguentemente già perduto la rappresentanza della società in forza della avvenuta sostituzione con altro amministratore (Cass. civ., sez. I, 3 gennaio 2013, n. 28).

Viste le premesse si può allora forse ipotizzare una via alternativa nella interpretazione dell'art. 1129, comma 10, c.c.

Tale norma non precisa affatto che la cessazione della carica avvenga alla scadenza del mandato e che quindi la limitazione dei poteri per le attività urgenti insorga alla scadenza stessa.

Sembra più coerente con il sistema rilevare che se è vero che dopo la riforma la necessità della permanenza dell'amministratore non sia venuta meno, e ciò in virtù del principio ancora inossidabile che tale ufficio debba assicurare la continuità della gestione, laddove l'art. 1129, comma 10,c.c. menziona la cessazione della carica, si dovrebbe ritenere che tale effetto si compia con la sostituzione dell'amministratore e non con la scadenza temporale del mandato.

Così si spiegherebbe perché il Legislatore conferisca all'amministratore scaduto il potere di redigere il rendiconto exart. 1130, n. 10), c.c., presupponendo quindi che egli abbia pieni poteri anche oltre la scadenza stessa.

E' all'amministratore uscente sostituito (e non meramente scaduto) che l'art. 1129, comma 10, c.c. pare rivolgersi nel conferire i limitati ed eccezionali poteri per le attività urgenti e ciò per evitare che nel breve tempo intercorrente che va dalla nomina del nuovo amministratore alla consegna della documentazione, da parte di quello sostituito, si possano verificare pregiudizi agli interessi comuni.

A salvaguardia della continuità della gestione, il Legislatore avrebbe quindi previsto con la norma citata un meccanismo di legittimazione eccezionale che consenta all'amministratore sostituito la cui carica sia cessata per qualsiasi ragione di compiere quegli atti indifferibili che il nuovo non fosse ancora in grado di compiere se non quando in possesso della documentazione afferente il condominio.

Guida all'approfondimento

Basile, Le modifiche al regime condominiale (legge 220/2012), in Riv. dir. civ., 2013

Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017

Nasini, L'amministratore, in Il nuovo condominio, a cura di Triola, Torino, 2013

Scarpa - Colonna, La riforma della disciplina del condominio, in Enc. giur. Treccani, 2014

Triola, La riforma del condominio tra novità e occasioni mancate, Milano, 2014

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