La legittimazione dell'amministratore nell'opposizione a decreto ingiuntivo: falsus procurator e principio dell'affidamento
04 Settembre 2019
Massima
L'amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, può proporre opposizione a decreto ingiuntivo nonché impugnare sentenze per tutte le controversie che rientrino nell'àmbito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c., quali quelle aventi ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di un'obbligazione assunta dal medesimo amministratore per conto dei partecipanti, ma non può proporre domande riconvenzionali che esorbitano i suoi poteri. Il caso
L'avvocato Tizio conveniva in giudizio il Condominio Rosso chiedendo l'accertamento del proprio diritto di credito per onorari professionali e spese di giustizia e, conseguentemente, la condanna dello stesso al pagamento della somma di € 7.260,07. Esponeva di aver ricevuto dal Condominio, in persona dell'amministratore pro tempore, l'incarico di promuovere opposizione al decreto ingiuntivo n. 970 del 2009, emesso dal Tribunale di Treviso in data 26 marzo 2009. Il decreto veniva emesso su istanza della società Alfa s.r.l., che si affermava creditrice nei confronti del Condominio della somma di € 35.745,09 a titolo di corrispettivo per l'esecuzione di opere di ristrutturazione edilizia dell'edificio condominiale. Nel corso del giudizio, l'avv. Tizio eccepiva l'inadempimento della Alfa, consistente nell'aver realizzato opere viziate e non a regola d'arte, domandando, per tali motivi, in via principale la revoca del decreto ingiuntivo opposto e in via riconvenzionale la condanna della società al risarcimento dei danni patiti. Il Tribunale di Treviso, con sentenza n. 1583 del 2011, accoglieva l'opposizione e per l'effetto revocava il decreto ingiuntivo n. 970 del 2009, condannando il Condominio al pagamento in favore della società Alfa della minor somma di € 15.972,18. Con comparsa di costituzione e risposta, il Condominio compariva in giudizio contestando la domanda dell'avvocato Tizio e sostenendo, in particolare, che i condomini non erano a conoscenza della causa e dell'incarico affidatogli, in quanto gli era stato conferito dall'amministratrice Mevia senza la necessaria delibera assembleare, negando, per queste ragioni, di essere tenuto al pagamento dei corrispettivi richiesti. Il Condominio Rosso evidenziava, inoltre, che Mevia ritenendo se stessa responsabile per la controversia insorta con la società Alfa, aveva promesso, in forma scritta, di sostenere personalmente ogni spesa nella quale il Condominio sarebbe incorso a causa di tale controversia, incluso il pagamento del corrispettivo per il difensore e che l'attore era a conoscenza di tale promessa, avendovi aderito. Per queste ragioni, il Condominio chiedeva in via principale il rigetto della domanda stante l'inefficacia dell'incarico professionale dell'avv. Tizio nei confronti del Condominio, in via subordinata il rigetto della domanda visto il perfezionamento dell'accollo esterno fra l'attore e Mevia e, in ulteriore subordine, di essere tenuto indenne in forza della dichiarazione della stessa Mevia allegata agli atti di causa, domandando, a tal fine, la chiamata in causa del terzo. All'udienza del 22 ottobre 2015, l'attore contestava integralmente quanto ex adverso dedotto, domandando, in via subordinata al rigetto della pretesa principale, la condanna del Condominio alla corresponsione della somma di € 7.260,07 a titolo di indennizzo per via dell'arricchimento senza causa dello stesso. La terza chiamata rimaneva contumace. All'udienza del 14 febbraio 2017, veniva disposto l'interrogatorio formale dell'attore e venivano escussi i testi. In data 5 luglio 2018, le parti precisavano le conclusioni e il giudice concedeva, su loro concorde richiesta, i termini ex art. 190 c.p.c., trattenendo la causa in decisione. La questione
Il mandato a difendere il condominio conferito dall'amministratore privo dei poteri rappresentativi, o in assenza di specifica delibera assembleare, trattandosi di questione che esorbita le sue attribuzioni, può ritenersi efficace nei confronti dell'ente di gestione? Le soluzioni giuridiche
Secondo il Tribunale di Treviso, l'amministratore di condominio è titolare di un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza. Pertanto, gli atti che egli è autorizzato a compiere in nome e per conto del condominio, in forza dell'art. 1130 c.c., producono effetti giuridici direttamente in capo al rappresentato. Il primo comma della citata norma stabilisce che l'amministratore può agire autonomamente in giudizio nei limiti delle proprie attribuzioni di cui all'art. 1130 c.c. o degli ulteriori poteri conferiti dal regolamento di condominio o dall'assemblea. Invece, il comma 2 dell'art. 1131 c.c. stabilisce che l'amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio. Nel caso in questione è pacifico che l'amministratrice pro tempore abbia dato incarico all'avv. Tizio di proporre opposizione a decreto ingiuntivo in assenza di delibera assembleare. Pertanto, si tratta di capire se l'oggetto della lite rientri nelle attribuzioni proprie dell'amministratore; per cui in caso affermativo, si dovrà concludere che l'amministratrice ha efficacemente vincolato il Condominio, pur agendo in assenza di preventiva delibera assembleare; in caso negativo, l'incarico in favore dell'avv. Tizio dovrà essere dichiarato inefficace nei confronti del Condominio, trattandosi di atto concluso dal falsus procurator. Attorno all'interpretazione del combinato disposto di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c., in relazione alla latitudine dei poteri e delle attribuzioni dell'amministratore condominiale, si è formata una copiosa giurisprudenza. L'attore ha invocato una sentenza della Corte di Cassazione, che ha stabilito, con riferimento ad una fattispecie simile, che “poiché l'opponente a decreto ingiuntivo ha la posizione processuale di convenuto e così legittimato passivo rispetto alla pretesa azionata con il ricorso monitorio, l'amministratore di un condominio che proceda a siffatta opposizione non ha necessità della autorizzazione dell'assemblea condominiale” (così Cass. civ., sez. II, 24 maggio 2010, n. 12622). Il Condominio eccepisce, tuttavia, che l'attore, nel proporre il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non si è limitato a contestare la fondatezza del decreto opposto ma ha altresì introdotto domande estranee alle attribuzioni dell'amministratore ex art. 1130 c.c., riguardanti l'inadempimento della società Beta nell'esecuzione del contratto di appalto, l'esistenza di vizi nei lavori svolti, nonché una domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della stessa. Peraltro, la ratio dell'art. 1131, comma 2, c.c. andrebbe ravvisata nell'opportunità di favorire il terzo il quale voglia instaurare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli di poter notificare la citazione al solo amministratore anziché a tutti i condomini, mentre “nulla, nella stessa norma, giustifica la conclusione secondo cui l'amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio e a impugnare senza essere a tanto autorizzato dall'assemblea” (Cass. civ. sez. II, 26 novembre 2004, n. 22294; Cass. civ. sez. II, 25 gennaio 2006, n. 1422). Accogliere un'interpretazione diversa, secondo il convenuto, significherebbe esporre il condominio al rischio di “vedersi coinvolto, suo malgrado, in liti giudiziarie resistite avventurosamente dall'amministratore, il quale non può, con la propria scelta, imporre ai condomini una linea di condotta da costoro non condivisa”. Per il Tribunale, deve essere considerata dirimente per la soluzione del caso una recente sentenza della Suprema Corte, secondo cui “l'amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, può proporre opposizione a decreto ingiuntivo nonché impugnare sentenze per tutte le controversie che rientrino nell'ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c., quali quelle aventi ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di un'obbligazione assunta dal medesimo amministratore per conto dei partecipanti” (così Cass.civ. sez. II, 16 ottobre 2017, n. 24302). Nel caso di specie, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è stato proposto nell'ambito di una controversia inerente al contratto di appalto validamente concluso fra il Condominio e l'impresa e, quindi, la Cassazione citata deve trovare applicazione per identità di ratio. Ad avviso del convenuto il rischio di impegnare il condominio in “liti giudiziarie avventurose” e “dai condomini non condivise” non si concretizza nel caso di specie. Infatti, le domande ed eccezioni proposte dall'attore sono tipiche delle controversie inerenti al contratto di appalto e le stesse si sono rivelate, ex post, parzialmente fondate, comportando la condanna del Condominio al pagamento della somma di € 15.972,18 anziché di € 35.745,09. In definitiva, deve ritenersi valido ed efficace il rapporto contrattuale fra il Condominio e l'avv. Tizio poiché l'amministratrice ha validamente concluso un contratto di prestazione d'opera intellettuale con l'attore, non essendo necessaria, per i motivi esposti, una delibera assembleare a tal fine. A questo punto il Tribunale di Trieste, a titolo di obiter dictum, ha sottolineato che, anche qualora l'amministratore avesse agito al di fuori delle proprie attribuzioni e in assenza di delibera assembleare, nel caso in esame ricorre la fattispecie della rappresentanza apparente e, pertanto, il contratto di prestazione d'opera intellettuale sarebbe comunque efficace nei confronti del Condominio. Tale fattispecie, di matrice giurisprudenziale, si ha quando concorrono le seguenti condizioni: a) un'apparenza di poteri rappresentativi, nel senso che sussistono indici obiettivamente idonei a legittimare l'impressione, in capo al terzo contraente, che il falsus procurator stia agendo in nome e per conto del rappresentato ed in questo caso la lunga durata del rapporto e gli accertamenti tecnici avvenuti anche in presenza dei condomini sono certamente elementi che hanno fatto pensare che l'amministratrice avesse avuto l'autorizzazione dell'assemblea; b) tale apparenza deve essere imputabile al rappresentato, nel senso che questi deve avere colposamente o dolosamente concorso a crearla o a tollerarla, e tanto è emerso perché nel corso del giudizio una parte dei condomini ha dichiarato di essere a conoscenza della lite senza mai dichiarare la mancanza di poteri da parte dell'amministratrice; c) l'errore del terzo contraente circa la sussistenza del potere rappresentativo deve essere scusabile (Cass. civ. sez. II, 24 novembre 2003, n. 17835) e il fatto che l'attore non abbia mai chiesto all'amministratrice copia della delibera assembleare non comporta la colpa dello stesso, poiché chiedere la giustificazione del potere rappresentativo è, ai sensi dell'art. 1393 c.c., una facoltà e non un dovere del terzo contraente. In ogni caso, il Condominio ha eccepito che i debiti nascenti in capo al Condominio dal contratto tra l'avv. Tizio e l'amministratrice sono stati oggetto di accollo e, pertanto, ha chiesto il rigetto della domanda attorea poiché la stessa avrebbe dovuto essere svolta nei confronti della stessa amministratrice (c.d. beneficium ordinis). Preliminarmente, il Tribunale ha spiegato le due forme d'accollo: 1) la prima, detta interna, si ha quando l'accollante si accorda con il debitore accollato per manlevarlo dalle conseguenze economiche negative connesse all'adempimento della prestazione. In tale ipotesi, il debitore accollato rimane obbligato nei confronti del creditore, il quale resta estraneo all'accordo; 2) la seconda forma, detta esterna, trova fondamento positivo nell'art. 1273 c.c. ed è destinata a produrre effetti diretti nei confronti del creditore accollatario il quale, aderendo all'accordo, lo rende irrevocabile. Nell'ambito della seconda fattispecie, l'adesione del creditore non libera il debitore accollato, salvo ciò risulti dalla convenzione. In assenza di tale patto l'accollante e l'accollato rimangono solidalmente obbligati nei confronti dell'accollatario, per quanto parte della giurisprudenza ritenga sussista, in tal caso, il beneficium ordinis dell'accollato rispetto all'accollante, con la conseguenza che il creditore dovrà previamente rivolgersi all'accollante per l'adempimento dell'obbligazione. Nel caso di specie, deve ritenersi che sia integrata la fattispecie dell'accollo interno e non, come sostenuto dal convenuto, dell'accollo esterno. In primo luogo, deve essere rilevato che l'accollo interno fra l'amministratrice e il Condominio è provato dai documenti ed esso ha ad oggetto, in particolare, “tutte le somme addebitabili al Condominio in forza della sentenza del Tribunale di Treviso n. 1583/2011 e/o comunque relative al giudizio (…)”. Tuttavia, la allegazione del Condominio secondo la quale l'attore avrebbe aderito all'accollo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1273 c.c., non è stata dimostrata. In primo luogo, infatti, la circostanza invocata dal convenuto trova corretta spiegazione in ragione della non conoscenza, da parte del dell'avvicendamento nel ruolo di amministratore. In secondo luogo, dalla documentazione prodotta dall'attore risulta in maniera inequivocabile che lo stesso abbia inteso, per tutta la durata del rapporto contrattuale, interagire con il Condominio per il tramite dell'amministratrice nella qualità e non con l'amministratrice quale cliente e ultimo destinatario dei servizi prestati. Infine, la prova dell'adesione dell'attore all'accordo non è emersa né dall'interrogatorio formale dello stesso né dalle prove testimoniali assunte. Per questi motivi, il patto di cui al doc. 9 di parte convenuta deve essere qualificato come patto d'accollo interno, privo di rilevanza esterna e, pertanto, deve essere rigettata l'eccezione sollevata dal Condominio fondata sul c.d. beneficium ordinis. Per queste ragioni, il Tribunale in composizione monocratica, nella causa promossa con atto di citazione fra le parti in premessa indicate ha accertato il diritto di credito vantato dall'avv. Tizio e per l'effetto ha condannato il Condominio al pagamento della parcella professionale, come quantificata, in favore dell'attore, oltre interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale al saldo ed al pagamento delle spese di lite; inoltre, in accoglimento della domanda di manleva formulata dal Condominio, ha condannato l'amministratrice alla rifusione, in favore di Condominio di tutto quanto dovrà versare all'attore per effetto della sentenza, oltre alla rifusione di 2/3 delle spese di giudizio in favore di Condominio, compensandole fra le parti per la quota residua. Osservazioni
La sentenza in commento affronta in via incidentale il principio dell'apparenza del diritto, che nel nostro ordinamento non ha una disciplina organica, ma gode certamente di un'applicazione trasversale. In applicazione di questo principio si esclude la responsabilità del soggetto che ha commesso un errore in buona fede sulla convinzione, supportata da elementi concreti, di agire legittimamente nell'ambito di una situazione che nella realtà è differente. In virtù del principio generale di solidarietà sociale, l'apparenza del diritto può dunque essere invocata da un soggetto in presenza di tre requisiti: a) la buona fede; b) la mancanza di colpa; c) un errore scusabile. Il codice civile prevede diverse ipotesi in cui viene preso in considerazione il principio dell'apparenza come il caso delle società di fatto, il pagamento al creditore apparente ai sensi dell'art. 1189 c.c., l'acquisto dell'erede apparente ai sensi degli artt. 533 e 534, comma 2, c.c., l'acquisto del titolare apparente nella simulazione ai sensi dell'art. 1415 c.c., il rappresentante apparente ai sensi dell'art. 1396, comma 2, c.c. Nei rapporti condominiali, il principio di apparenza è stato invocato soprattutto in riferimento all'individuazione del soggetto tenuto al pagamento delle quote condominiali (Cass. civ.,sez. un., 8 aprile 2002, n. 5035; Cass. civ.,sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23621) o da convocare all'assemblea (Cass. civ.,sez. II, 30 aprile 2015, n. 8824), con la conclusione che la tutela dell'apparenza del diritto non può essere invocata da parte dell'amministratore di condominio che abbia trascurato di accertare l'effettiva realtà sui pubblici registri contro ogni regola di prudenza. Secondo tale orientamento, infatti, il regime giuridico della pubblicità costituisce un limite all'operatività del principio dell'apparenza, poiché la pubblicità e l'apparenza sono istituti che si completano l'un l'altro, ma rispondono alle stesse finalità di tutela dei terzi di buona fede. In altre parole, sono del tutto alternativi, per cui quando è possibile attingere notizie da pubblici registri per verificare una situazione di fatto non è possibile rifarsi al principio dell'apparenza del diritto. Il legislatore della riforma sembra aver dato nuova linfa a questo istituto, inserendo una norma di tutela del condominio nei confronti del condomino venditore che non comunica all'amministratore i dati dell'acquirente, assumendo così la veste di condomino apparente fino alla data di trasmissione degli atti; così, il comma 5 dell'art. 63 disp att. c.c., dispone che “chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”, in questo modo legittimando nei confronti dell'alienante, non più condomino, se non apparentemente, l'azione di recupero dei crediti condominiali maturati dopo la compravendita. Sul punto, tuttavia, non si può sottacere una insana mancanza di coordinamento e di coesione tra norme laddove, all'art. 1130,comma 1, n. 6), c.c., il riformatore, inserendo tra le attribuzioni dell'amministratore l'obbligo di curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale, con una inversione di obblighi nei rapporti condominiali, in caso di inerzia del singolo condomino - sempre difficilmente rilevabile nella realtà dei fatti, se non aliunde - nella comunicazione dei dati circa i diritti reali e di godimento sulle unità immobiliari facenti parte del complesso edilizio, impone all'amministratore di acquisire le informazioni necessarie, evidentemente dai pubblici registri immobiliari, addebitandone il costo ai responsabili, non meglio identificati. Nel caso in parola, l'apparenza del diritto è riferita alle attribuzioni dell'amministratore che, ad avviso del condominio, pur non avendo mai ricevuto un mandato da parte dell'assemblea, aveva dato incarico all'attore, in qualità di avvocato difensore, di proporre l'opposizione al decreto ingiuntivo notificato dall'appaltatore, spiegando specifiche domande riconvenzionali, il cui contenuto esorbitava i limiti imposti dall'art. 1130 c.c., così comportandosi come un falsus procurator. In tale ipotesi, la tutela giuridica garantita dal principio dell'apparenza è assicurata allo pseudo rappresentato (condominio/condomini) ed al terzo contraente (avvocato) purché entrambi versino in uno stato di buona fede, intesa rispettivamente come ignoranza incolpevole della condotta del falso rappresentante ed affidamento senza colpa rispetto all'esistenza dei poteri rappresentativi. Secondo il Tribunale di Treviso, l'avvocato, che aveva ottenuto il mandato da parte dell'amministratrice priva dei necessari poteri di rappresentanza processuale - in virtù della tutela dell'affidamento incolpevole (Cass. civ.,sez. III, 12 gennaio 2006, n. 408) e tenuto conto che ai sensi dell'art. 1393 c.c., chiedere la giustificazione del potere rappresentativo è una facoltà e non un dovere del terzo contraente - deve essere considerato terzo di buona fede per cui, in applicazione del principio dell'apparenza, il contratto di prestazione d'opera intellettuale è comunque efficace nei confronti del condominio. Diversamente non appare essere in buona fede il condominio ed i condomini che lo compongono, i quali hanno partecipato attivamente agli accertamenti tecnici avvenuti nel corso della lite giudiziaria con l'appaltatore ed hanno anche dichiarato di essere a conoscenza della lite, così ingenerando ed avvalorando l'affidamento incolpevole dell'avvocato difensore. È bene però precisare che il terzo (avvocato) per essere tutelato dal principio dell'apparenza non deve essere soltanto in buona fede, ma il suo errore deve essere incolpevole e scusabile; il criterio per accertarlo è quello dell'ordinaria diligenza, che può diventare più rigoroso alla luce della qualità professionale del terzo e dei rapporti pregressi. In questo caso non è trascurabile che nella prassi l'avvocato, che riceve il mandato dall'amministratore di condominio, data la sua qualità professionale, di regola richiede come primo documento la delibera assembleare che lo nomina e conferisce all'amministratore gli ulteriori poteri di rappresentanza processuale nel rispetto dell'art. 1131 c.c. Sotto questo profilo non è pienamente condivisibile l'obiter dictum del Tribunale di Treviso, che avrebbe dovuto meglio valutare tale importante aspetto della vicenda. In mancanza di un comportamento colposo (Cass. civ. sez. II, 10 gennaio 2003, n. 204; Cass. civ. sez. II, 28 agosto 2003, n. 12617) del rappresentato (condominio/condomini), tale da generare l'affidamento del terzo in buona fede (avvocato), questi non avrebbe potuto invocare l'applicazione del principio dell'apparenza ed il magistrato avrebbe dovuto ritenere il contratto non opponibile al condominio. La vincolatività del contratto non può, infatti, derivare dal mero affidamento incolpevole del terzo contraente (avvocato) neppure quando la tutela di esso risulti oggettivamente rafforzata; il principio dell'apparenza è idoneo a giustificare la circolazione della ricchezza indipendentemente dal consenso del legittimo titolare, ma non a vincolare direttamente il falso rappresentato (condominio/condomini) senza il concorso della sua colpa. In sostanza la colpa del falso rappresentato costituisce l'elemento di collegamento della situazione apparente alla sfera giuridica dello stesso. Nella nozione di colpa rientra non soltanto il comportamento negligente, ma qualsiasi condotta attiva od omissiva, causalmente rilevante nell'imputazione degli effetti. Sorgono, infine, seri dubbi circa la liceità del contratto di accollo interno stipulato tra l'amministratore ed il condominio, in quanto sembra essere stato utilizzato dalle parti quale strumento per aggirare il contenuto inderogabile dell'art. 1131 c.c. in tema di rappresentanza processuale del condominio, a meno che non abbia rivestito la forma di una transazione sulle responsabilità derivanti dalle azioni riconvenzionali proposte dall'amministratore, quale falsus procurator del condominio. Colonna, in AA.VV., Commento agli artt. 1129 ss., in Commentario del codice civile, 2013 Scarongella, La legittimazione processuale passiva dell'amministratore di condominio, in I contratti, 2011, fasc. 6 Verardi, Apparenza del diritto, affidamento e pubblicità nel condominio, in Immob. & proprietà, 2018, fasc. 3 |