Mancato ottenimento dei titoli abilitativi: il conduttore in buona fede può sospendere il pagamento del canone
04 Settembre 2019
Tizio concesse in locazione ad uso commerciale alla società beta un locale di sua proprietà; successivamente, le parti, appreso che il locale era accatastato in categoria C/2 (locale magazzino) e non C/1 (locale commerciale), convennero la risoluzione consensuale del contratto e, nel 2010, ne stipularono uno nuovo nel quale diedero atto che il locatore aveva richiesto il cambio di destinazione d'uso da C/2 a C/1. In tale secondo contratto, le parti pattuirono l'utilizzo gratuito per un periodo e l'ammontare del canone per il periodo successivo. Il rapporto però non ebbe corso secondo tali previsioni e nel 2012 furono avviate contrapposte iniziative giudiziarie: la conduttrice ottenne decreto ingiuntivo per la restituzione del deposito cauzionale; il locatore, invece, intimò sfratto per morosità, deducendo il mancato pagamento dei canoni. A tale intimazione si oppose la conduttrice deducendo l'inadempimento di controparte all'obbligo assunto di ottenere dalla pubblica amministrazione il mutamento di destinazione. In entrambi i giudizi di merito, tuttavia, i giudici dichiararono risolto per grave inadempimento della conduttrice il contratto di locazione con condanna al rilascio ed al pagamento dei canoni insoluti, al netto del deposito cauzionale. Avverso tale decisione, la società ha proposto ricorso in Cassazione eccependo l'erroneità del provvedimento impugnato. Nel giudizio di legittimità, la S.C. contesta il ragionamento espresso dai giudici del merito. Invero, la violazione del provvedimento da parte della Corte di merito riguardava proprio la rilevanza del sinallagma contrattuale: l'attribuzione in catasto della categoria C1 all'immobile locato, e del conseguente ottenimento dei necessari titoli abilitativi. Tale circostanza era stata esplicitamente evidenziata in contratto e ivi sanzionata dalla prevista facoltà di risolvere il contratto e ottenere la restituzione dei canoni già versati. Pertanto, se in astratto si riconosce la risoluzione del contratto, per la ricorrenza dei presupposti ivi previsti, a maggior ragione, deve anche riconoscersi la legittimità della sospensione, peraltro parziale, della propria controprestazione, consentito dalla legge in via di autotutela nella fase esecutiva del contratto, alla parte non inadempiente, in presenza dei medesimi presupposti (e anzi addirittura meno gravi, posto che l'art. 1460, comma 1, c.c. non richiede la gravità dell'inadempimento). Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato accolto; per l'effetto, la sentenza è stata cassata con rinvio. |