Locazione ad uso diverso: nulla la clausola che varia l'aggiornamento del canone in pejus

Nicola Frivoli
04 Ottobre 2019

Il giudicante è stato chiamato ad accertare e dichiarare la nullità di una clausola in un contratto di locazione ad uso diverso, relativo all'aumento dell'aggiornamento del canone nella misura del 100%, in applicazione del combinato disposto degli artt. 32 e 79 della l. n. 392/1978.
Massima

In tema di locazione ad uso diverso, costituisce grave inadempimento da parte del locatore l'aumento dell'aggiornamento del canone di locazione nella misura del 100%, posto che la clausola contenuta nel contratto è nulla perché patto contrario in violazione dell'art.79, l.n. 392/1978, con la conseguenza della restituzione degli importi ricevuti in eccesso in favore del conduttore.

Il caso

Il conduttore con ricorso ex art. 447-bis c.p.c. conveniva in giudizio il locatore per sentirlo condannare alla restituzione corrispondente all'importo dell'adeguamento ISTAT nella misura del 25% eccedente la soglia massima consentita dalla legge del 75%, relativo a un contratto di locazione, ad uso diverso, sottoscritto dalle parti, per la gestione di un complesso alberghiero.

Tale clausola veniva inserita in una scrittura privata sottoscritta successivamente alla stipula del contratto iniziale.

Il resistente si costituiva e si opponeva alla domanda formulata dalla ricorrente, poiché le parti contrattuali avevano concordato tale aumento dell'aggiornamento ISTAT

Il giudizio, poiché di natura documentale, non comportava alcun svolgimento della fase istruttoria, pertanto, il giudice adìto, lo rinviava per discussione orale e lettura del dispositivo.

Il giudicante, pertanto, dall'attento esame della documentazione prodotta in atti, accoglieva la domanda del conduttore, condannando il locatore alla restituzione della parte eccedente dell'aggiornamento ISTAT versato indebitamente, condannandolo, altresì, alla refusione delle spese processuale in favore della società attrice.

La questione

Si trattava di verificare se fossero presenti, nella fattispecie posta al vaglio del Tribunale competente, i presupposti circa la restituzione dell'importo eccedente dell'indebito versamento dell'adeguamento dell'ISTAT, con riferimento all'art. 32, l. n. 392/1978, afferente un contratto di locazione ad uso diverso, sottoscritto tra le parti.

Tale circostanza rinveniva dalla produzione in atti di una scrittura privata, sottoscritta dalle parti, ad integrazione e successiva alla stipula del contratto di locazione ad uso diverso. In altri termini, il comportamento del locatore è da considerarsi contrario alla legge posto che ha adottato la sua posizione contrattuale al fine di imporre al conduttore (contraente debole) tale aumento indebito, alterando in modo assai significativo il sinallagma contrattuale.

Di contro, nulla solo valse le eccezioni sollevate dal resistente, atteso che è da considerarsi nulla la clausola inserita nella scrittura privata sottoscritta dalle parti.

Le soluzioni giuridiche

In linea di principio, è stata ritenuta corretta l'affermazione contenuta nella pronuncia del Tribunale, in sede monocratica, secondo cui l'adeguamento del canone, da parte del locatore, nel corso di un contratto di locazione ad uso diverso, va restituita al conduttore nella parte eccedente dell'aggiornamento (25%) in favore del conduttore, oltre gli interessi e rivalutazione.

Secondo espressa previsione dell'art. 32 della l. n.392/1978, le variazioni in aumento del canone di locazione non possono essere superiori al 75% di quelle, accertate dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operati ed impiegati.

Giova ricordare che la clausola che stabilisce aumenti di canone, nel corso del rapporto locatizio, in misura diversa da quella legale (e cioè superiore al 75% dell'indice dei prezzi, accertato dall'ISTAT), è nulla, ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978, per contrasto con l'art. 32, comma 2, della medesima legge (Cass. civ.,sez.VI/III, 9 marzo 2015, n. 4656).

Nei casi di applicazione di aggiornamento ISTAT oltre i limiti previsti dalla legge, l'aggiornamento del canone deve essere, dunque, eseguito nel senso stabilito dalla legge medesima così come previsto dall'art. 1339 c.c., secondo cui: “le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge, sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole apposte dalle parti”.

Nella fattispecie posta al vaglio del Tribunale meneghino, deve ritenersi fondata la domanda formulata dal conduttore, in quanto è del tutto illegittimo applicare in un contratto di locazione ad uso diverso l'incremento annuale ISTAT nella misura del 100%, in totale spregio a quanto sancito dalla legge, essendo conseguente la restituzione in favore del ricorrente dell'eccedenza del 25%, oltre gli interessi e rivalutazione.

Dunque, la clausola della scrittura privata stipulata tra le parti, ad integrazione del contratto già esistente, è da considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978, contenente la disciplina dei patti contrari alla legge nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione.

Il comma 1 dell'art. 79 della l. n. 392/1978 dispone la nullità delle pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto, ovvero ad attribuire al locatore un canone maggiore a quello pattuito o altri vantaggi in contrasto con le disposizioni della medesima legge.

La ratio dell'art. 79, comma 1, della l. n. 392/1978 è da ricercarsi nel favor conductoris con l'evidente fine di impedire che l'eventuale conduttore, tradizionalmente considerato il partner contrattuale più debole, si determini ad accettare condizioni lesive dei propri diritti pur di assicurarsi il godimento dell'immobile.

Occorre rilevare che, nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, tutta la disciplina imperativa del contratto è permeata intorno al principio della libera determinazione iniziale del canone, della stabilità del rapporto e della tutela dell'attività economica del conduttore, soprattutto se comporta un contatto con il pubblico.

Ed è in questo sistema che occorre analizzare la validità o meno, in rapporto all'art. 79, delle singole clausole, evidenziando già subito quanto sia ampia la casistica delle pattuizioni contra legem e, quindi, nulle.

In linea di massima, la giurisprudenza è orientata a ritenere che ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32, l. n. 392/1978 ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell'art. 79, comma 1, l. n. 392/1978 (Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2017, n. 8669).

Per completezza, l'aggiornamento Istat non opera in maniera automatica, ma presuppone una necessaria specifica richiesta del locatore (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2008, n. 24753; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2006, n. 2527).

A sua volta, si stabilisce che la volontà di richiedere l'aggiornamento debba esser chiaramente manifestata per iscritto (Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2002, n. 7546). Viceversa, sempre per orientamento giurisprudenziale, si ritiene che, in assenza di una diversa prescrizione normativa, la stessa possa essere formulata anche verbalmente, nonché implicitamente o per fatti concludenti (Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 2010, n. 25645; Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2002, n. 14655).

La clausola di un contratto di locazione, con la quale le parti convengano l'aggiornamento automatico del canone su base annuale - a seguito della modifica dell'art. 32, l. n. 392/1978 operata dall'art. 1, d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito, con modifiche, dalla l. n. 118/1985 - senza necessità di richiesta espressa del locatore, è affetta da nullità, in base al combinato disposto degli artt. 32 e 79 della legge sull'equo canone (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2012, n. 3014).

Osservazioni

Nelle locazioni di immobili a uso non abitativo, la menzionata l. n. 392/1978, pur consentendo alle parti la libera contrattazione del canone iniziale, prevede che questo sia suscettibile di aggiornamenti nel corso del rapporto solo se volti a neutralizzare l'incidenza della perdita del potere di acquisto della moneta. La predeterminazione legale di limiti all'aggiornamento del corrispettivo è chiaramente dettata da un'esigenza di tutela del conduttore in quanto ritenuto “parte debole” del rapporto contrattuale. Per altro verso, se non fosse stata contemplata la facoltà di prevedere un aggiornamento del canone, sarebbe stato eccessivamente penalizzato il locatore che, alla scadenza contrattuale, avrebbe avuto diritto al percepimento di un corrispettivo inferiore, in termini reali, a quello originariamente pattuito.

L'aggiornamento del canone non integra un effetto legale naturale del contratto, bensì presuppone la stipula di una specifica clausola di aggiornamento della misura del canone, eventualmente convenuta anche in un accordo successivo all'insorgere del rapporto locativo, non essendo richiesta la contestualità (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2000, n. 15948).

In particolare, per i contratti la cui durata non è superiore a quella di cui all'art. 27, le variazioni in aumento del canone non possono essere superiori al 75% di quelle, accertate dall'Istat, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Si tratta di misura massima, risultando pertanto valida - in quanto più favorevole al conduttore - la pattuizione di aggiornamento in misure percentuali inferiori.

Nel caso, invece, in cui le parti stipulino contratti aventi durata superiore a quella minima di legge, è possibile convenire una clausola di aggiornamento del canone non necessariamente riferita all'indice Istat e in misura non ristretta dal limite percentuale del 75%. Quest'ultima facoltà è l'effetto della modifica normativa del comma 2 dell'art. 32 l. n. 392/1978, apportata dalla l. n. 14/2009, di conversione del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, entrata in vigore il 1° marzo 2009, e applicabile ai contratti stipulati a partire da tale data o anche a quelli in corso a tale data, qualora le parti abbiano stipulato una specifica pattuizione al riguardo (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 550).

Per effetto dell'art. 79 della l. n. 392/1978, come già ribadito, sono sanzionate da nullità tutte le clausole che stabiliscano difformi modalità di aggiornamento in pejus per il conduttore. Inoltre, anche se occorre distinguere tra “aggiornamento del canone”, che importa soltanto una variazione della quantità monetaria del corrispettivo, fermo restando il suo valore effettivo, e “aumento del canone” che implica, invece, un accrescimento anche del valore reale del corrispettivo dovuto dal conduttore, per l'ormai consolidata giurisprudenza ogni pattuizione avente a oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 della l. n. 392/1978, ma veri e propri aumenti del canone, costituisce un'ipotesi di nullità del contratto in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello previsto per legge (Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2016, n. 13011; Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2011, n. 8733).

Applicando gli esposti principi al caso esame, appare evidente che le clausole inserite nel contratto di locazione ad uso diverso oppure in una scrittura privata integrativa sono da considerarsi nulle se contengono prescrizioni circa l'aumento dell'aggiornamento del canone nella misura superiore del 75% stabilita dalla legge, con susseguente accoglimento della domanda del conduttore in ordine alla ripetizione degli importi indebitamente versati al conduttore.

Guida all'approfondimento

Carrato - Scarpa, Le locazioni nella pratica del contratto e del processo, Milano, 2015, 271

Goione, Patti di aumento del canone di locazione: clausole nulle o strumenti di gestione delle sopravvenienze?, in Contratti, 2016, fasc. 10, 923

Padovini, La liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 429

Sinisi -Troncone, Modalità di calcolo dell'indice Istat, in Condominioelocazione.it, 18 ottobre 2017

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