L'ordinanza di mutamento del rito nel processo locatizio determina il divieto di mutatio libelli?

14 Ottobre 2019

Il Tribunale di Roma esamina un'interessante questione concernente la vexata quaestio sulla natura ed i correlati effetti dell'ordinanza di mutamento del rito nel processo locatizio, al fine di stabilire se ad essa possa riconoscersi la funzione di provvedimento che, da un lato, chiude il giudizio sommario e, dall'altro, segna la nascita di un nuovo giudizio a cognizione piena, disciplinato dal rito speciale, poiché da tale soluzione dipende anche l'ammissibilità di una mutatio libelli nelle memorie integrative che le parti hanno facoltà di allegare nel termine prefissato dalla stessa ordinanza resa ex art. 667 c.p.c.
Massima

Nel rito locatizio, le preclusioni tipiche del processo del lavoro scattano dall'emissione dell'ordinanza di mutamento del rito, per cui le memorie integrative sono destinate soltanto a consentire alle parti di mettersi in regola con le prescrizioni introdotte dal nuovo processo del lavoro, e non possono contenere domande nuove, ma soltanto la modificazione della domanda proposta con l'atto di intimazione, previa autorizzazione del giudice, giustificata da gravi motivi.

Il caso

Un Condominio intima sfratto per morosità nei confronti del conduttore dell'immobile condominiale concessogli in locazione ad uso diverso, unitamente alla richiesta proposta in via monitoria, di pagamento dei relativi canoni.

La convenuta, costituitasi, chiede la concessione del termine di grazia ex artt.5 e 55, l. n.392/1978, ed in via “alternativa” si oppone all'intimato sfratto, per cui, a seguito del mutamento del rito disposto dal giudice, il condominio con una successiva memoria integrativa introduce una domanda nuova, chiedendo la condanna del conduttore al risarcimento del danno consistente nel costo occorrente per il ripristino dei locali a seguito delle modifiche apportate illegittimamente e senza il consenso del locatore.

La questione

Le domande nuove introdotte nel processo locatizio con la memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. depositata a seguito dell'ordinanza che dispone il mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. sono ammissibili?

La soluzione giuridica

Il tribunale, dichiara inammissibile la richiesta di condanna del conduttore al “ripristino” dei locali, in quanto avanzata solo nella memoria integrativa e, quindi, integrando una domanda nuova è giudicata inammissibile, prestando adesione all'orientamento che esclude la proposizione di domande nuove dopo l'ordinanza di mutamento del rito.

Il Tribunale capitolino motiva il proprio assunto affermando che l'opposizione dell'intimato non coincide più con l'instaurazione di un nuovo ed autonomo giudizio di cognizione, ma produce soltanto un mutamento nella struttura del procedimento, che continua a svolgersi, necessariamente davanti al medesimo giudice.

Pertanto, a partire dall'emissione dell'ordinanza di mutamento del rito, scattano le preclusioni tipiche del processo del lavoro, come il divieto di proporre nuove domande nel corso del giudizio di primo grado, essendo funzionale ad esigenze di accelerazione del procedimento, essendo consentita soltanto la modificazione della domanda - emendatio libelli - previa autorizzazione del giudice, giustificata da gravi motivi come prescrive l'art. 420, comma 1, c.p.c.

Le memorie integrative previste dall'art. 426 c.p.c. - chiosa il giudice romano - sono quindi destinate soltanto a consentire alle parti di mettersi in regola con le prescrizioni introdotte dal nuovo processo del lavoro, non potendo contenere domande nuove, sotto tale aspetto, rientrando nel divieto di mutatio libelli il mutamento del petitum, ossia l'aggiunta di un ulteriore petitum nella fattispecie esaminata, costituito dalla richiesta di condanna al ripristino del locale, diverso ed ulteriore dal provvedimento richiesto con l'atto di citazione introduttivo del giudizio di risoluzione e pagamento dei canoni insoluti.

Osservazioni

La pronuncia del Tribunale che si annota, è interessante per le motivazioni espresse in ordine alla dichiara inammissibilità delle domande nuove proposte nella memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. a seguito dell'ordinanza di mutamento del rito disposta nel procedimento locatizio.

Le ragioni espresse dal giudice romano sono riassunte nella considerazione che nell'ordinamento previgente alla riforma del 1990, era normalmente ammesso che dal momento dell'opposizione, le parti potessero esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, compresa la possibilità per il locatore di porre a fondamento della propria pretesa di rilascio dell'immobile una causa petendi diversa da quella assunta nell'atto d'intimazione, compresa l'introduzione di una domanda nuova.

Nel previgente sistema, l'opposizione dell'intimato, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., determinava la conclusione del procedimento di convalida, a carattere sommario, e l'instaurazione di un nuovo ed autonomo processo, con rito e cognizione ordinaria.

Il Tribunale, convenendo con parte della giurisprudenza di legittimità e di merito e della dottrina formatasi su tale questione, con la stessa pronuncia che sia annota, rileva che diverse conclusioni s'impongono dopo l'introduzione nelle controversie locatizie del rito speciale del lavoro ex art. 447 bis c.p.c., atteso che l'opposizione dell'intimato produce soltanto un semplice “mutamento” nella “struttura” del procedimento, che continua a svolgersi, necessariamente davanti al medesimo giudice, non ponendosi più questioni di competenza per valore, nella nuova fase di merito.

In estrema sintesi, il giudice romano perviene alla conclusione che il giudizio sommario “prosegue”, con cognizione ordinaria disciplinata dal rito speciale, trattandosi di quell'unico procedimento, iniziato con l'esercizio, da parte del locatore, di un'azione di condanna nella forma speciale della citazione per convalida.

Trattandosi di un unico giudizio - diviso in due fasi, a cognizione sommaria ed ordinaria disciplinata dal rito speciale - a partire dall'emissione dell'ordinanza di mutamento del rito, scattano le preclusioni tipiche del processo del lavoro, che disciplinano la “seconda” fase processuale, tra le quali, il divieto di proporre domande nuove con la memoria integrativa.

La pronuncia in epigrafe, costituisce quindi un‘occasione per individuare quali possono essere i limiti posti all'integrazione degli atti introduttivi disposti con a memoria prevista dall'art. 426 c.p.c. nel caso di opposizione dell'intimato, i quali, mutano significativamente a seconda se il giudizio a cognizione piena debba considerarsi una prosecuzione di quello sommario o se invece integri un nuovo giudizio autonomo disciplinato dal rito speciale.

Infatti, mentre la teoria unitaria del procedimento sommario di sfratto a seguito dell'opposizione, ritiene inammissibili le domande nuove proposte dal locatore con la memoria integrativa ex art. 426 c.p.c., quella che invece riconosce all'ordinanza di mutamento del rito il carattere di provvedimento di chiusura del procedimento sommario e contestuale instaurazione di un nuovo ed autonomo giudizio di merito, ritiene che è invece possibile riconoscere al medesimo locatore la facoltà di proporre domande nuove non proposte in precedenza nell'atto di intimazione.

L'evoluzione della giurisprudenza di legittimità nel corso degli anni - con alcuni arresti contrari (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2005, n.11596; Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2003, n.8411) - è stata nel senso che nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato ai sensi dell'art. 665 c.p.c. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo ed autonomo procedimento a cognizione piena, alla cui base vi è l'ordinaria domanda di accertamento e di condanna, e nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di proporre una domanda nuova (Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2010, n. 15399; Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n.5356).

Infatti, lo stesso orientamento di legittimità ha precisato che nel procedimento per convalida di sfratto l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447 bis c.p.c., con la conseguenza che, non essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c., potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese svolte dalla controparte (Cass. civ., sez. VI/III, 19 febbraio 2019, n.4771; Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 2014, n. 26356; Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2013, n.12247), ragione per cui si è altresì affermato che debba escludersi prima del deposito dell'anzidetta memoria, che possa ritenersi integrata una “non contestazione” del fatto che possa valere ad esonerare la controparte dalla relativa prova (Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 2014, n.26356).

L'argomento che dovrebbe precludere l'introduzione dei nova con la memoria integrativa è che a partire dall'ordinanza di mutamento del rito scattano le preclusioni proprie del rito del lavoro.

Orbene, al riguardo, anche secondo un recente orientamento di merito (Trib. Torino 15 gennaio 2019; Trib. Bolzano 15 marzo 2018), poichè il mutamento del rito contemplato dall'art. 667 c.p.c. s'impone non per un'errata adozione del rito, ma perché, essendo la controversia locatizia retta dal rito lavoristico in quanto compatibile, il giudizio prosegue nelle forme speciali, ciò significa che la “prosecuzione” va intesa come chiusura del procedimento a cognizione sommaria ed apertura di un giudizio a cognizione piena, e le preclusioni del rito lavoristico scattano dunque non dall'ordinanza di mutamento del rito, ma dal deposito della memoria integrativa ai sensi dell'art. 426 c.p.c. la quale, nella logica della norma di cui all'art. 667 c.p.c., non rimedia all'irregolarità di una controversia di lavoro introdotta nelle forme ordinarie, ma segna il passaggio dal procedimento sommario alla controversia locatizia disciplinata dal rito speciale.

In sintesi, secondo tale orientamento, mentre la controversia relativa ad un rapporto di lavoro viene introdotta con la domanda proposta nelle forme ordinarie, e, l'integrazione degli atti introduttivi mediante il deposito di memorie e documenti in cancelleria, proprio perché la controversia è ormai insorta, deve correlarsi alle decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 30 dicembre 2014, n. 27519; Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2010, n. 9550), con la conseguente insorgenza delle preclusioni con l'ordinanza di mutamento del rito, mentre la controversia locatizia sorge con l'accesso al rito speciale, ragione per cui la memoria integrativa non soffre delle limitazioni derivanti da una previa introduzione del giudizio, perchè ciò da cui la controversia locatizia è anticipata è solo un procedimento sommario, ed il thema decidendum della controversia, la quale non può che seguire le forme speciali, si forma soltanto per effetto della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie “integrative” di cui all'art. 426 c.p.c.

In tale ottica, lo sbarramento introdotto dall'art. 420, comma 1, c.p.c. circa la possibilità di modificare le domande, ricorrendo gravi motivi e previa autorizzazione giudiziale, dovrebbe riferirsi quindi non all'originaria domanda di cui all'intimazione di sfratto per morosità, ma alla domanda così come cristallizzata nella memoria integrativa di cui all'art. 426 c.p.c.

In tale senso, depone l'osservazione secondo cui ove il punto di riferimento della modifica della domanda fosse stata l'intimazione, la preclusione processuale riferita al divieto di mutatio libelli, sarebbe stata prevista in occasione del deposito della memoria integrativa, trattandosi di uno “sbarramento” necessario, in quanto per gli atti introduttivi del procedimento sommario non sono previsti specifici contenuti, al contrario di quanto invece previsto dagli artt. 414 e 416 c.p.c.

L'art. 426 c.p.c. si limita, invece, a prevedere la mera “integrazione” senza vincoli di sorta, se non il termine perentorio fissato dal giudice per il deposito della relativa memoria, e tale disposizione si spiega proprio perché con il mutamento di rito previsto dall'art. 667 c.p.c. si accede ad un nuovo ed autonomo procedimento di cognizione (Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2017, n. 7430).

L'identico principio è stato ritenuto operante anche per la parte che intende proporre domanda riconvenzionale, in quanto nel procedimento per convalida di sfratto, nel quale sia stata proposta opposizione, il momento di preclusione della proposizione della domanda riconvenzionale dell'intimato non si identifica con il deposito della comparsa di risposta ai sensi dell'art. 660, comma 5, c.p.c., ma con il deposito della memoria integrativa successiva all'ordinanza ex art. 426 c.p.c., dispositiva della prosecuzione del giudizio secondo le regole della cognizione piena (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2014, n.20483; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2006, n. 21242; Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2005, n. 13963). Inoltre, si è affermato che se la domanda riconvenzionale viene proposta dall'intimato prima dell'ordinanza di mutamento del rito ex art. 667 c.p.c., e, dunque, nella fase sommaria, con la memoria di costituzione, non opera la decadenza prevista dall'art. 418, comma 1, c.p.c. nel caso in cui risulti omessa la richiesta di fissazione di una nuova udienza di discussione sulla domanda riconvenzionale, perché, l'ordinanza di mutamento del rito fissa l'udienza ex art. 426 c.p.c., la quale, consente di realizzare le correlate esigenze sottese nell'ottica di preservare la regolarità del contraddittorio (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2003, n. 2777).

Guida all'approfondimento

D'Ascola, Osservazioni in tema di domanda nuova, modificazione della domanda, e procedimento per convalida di sfratto, in Giur. it., 1994, I, 2, 903

Izzo, Opposizione alla convalida di sfratto, prosecuzione del giudizio, modifica della domanda, ammissibilità: intervento nomofilattico della Cassazione, in Giust. civ., 2009, I, 389

Id., Convalida di sfratto e mutamento di rito: domanda riconvenzionale e domande nuove, in Giust. civ., 2006, I, 332

Masoni, Un contrasto giurisprudenziale (solo apparente) sull'ammissibilità di domande nuove da parte dell'intimante, in seguito ad opposizione alla convalida di sfratto, in Giust. civ., 2007, I, 2158

Meozzi, Sull'exceptio inadimpleti contractus in materia di locazione e sulla natura della memoria ex art. 426 c.p.c., in Giur. merito, 2005, 537

Salari, L'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. ed il passaggio dalla fase sommaria a quella di merito, in Rass. loc. e cond., 2005, 20

Magaraggia, Il procedimento per convalida dopo la riforma del processo civile, in Quaderni CSM, 1997, n. 97, 385

Scarpa, Le principali questioni processuali del contenzioso in materia di locazioni, in Giur. merito, 2011, 2863

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