I limiti dell’azione di regresso della struttura verso il medico libero professionista che opera al suo interno

31 Ottobre 2019

Con l'ordinanza n. 24167 del 27 settembre 2019, la Corte di Cassazione è intervenuta a chiarire i meccanismi che regolano la ripartizione della responsabilità che grava sulla struttura e sui professionisti sanitari che operano al suo interno e sulla distribuzione degli oneri probatori alla base di questo procedimento.
Massima

Se la struttura sanitaria, chiamata in causa da un paziente che lamenti un danno, sostiene che la responsabilità dello stesso dipenda solo dall'imperizia del professionista che ha eseguito l'intervento chirurgico (e non da proprie carenze organizzative e strutturali) su di essa graverà l'onere di provare l'esclusiva responsabilità del medico.

Il caso

Una paziente conveniva in giudizio la casa di cura nella quale era stata operata per l'inserimento di una protesi all'anca, chiedendo il risarcimento dei danni subiti per la non corretta esecuzione dell'intervento.

La struttura ospedaliera chiamava in causa il medico che aveva materialmente eseguito l'operazione, proponendo azione di manleva e regresso.

Il Tribunale di Forlì accoglieva la domanda dell'attrice, dichiarando la responsabilità in solido della casa di cura e del medico e condannandoli a risarcire alla paziente la somma di Euro 122.000 circa, senza fare alcun cenno alla richiesta di manleva e regresso avanzata dalla clinica.

La struttura ricorreva presso la Corte d'Appello di Bologna, rammentando che il giudice nulla aveva deciso in merito a tale sua domanda, pur essendo emerso dall'istruttoria che il danno fosse da ricondurre esclusivamente all'imperizia del medico, e chiedeva quindi di essere rimborsata di quanto versato alla paziente in esecuzione della sentenza di primo grado.

La Corte d'Appello accoglieva l'impugnazione, ritenendo che il regresso fosse ammissibile – in conformità al disposto dell'art. 1228 c.c. – in forza del rapporto interno fra i due soggetti, essendo stata accertata in primo grado la responsabilità del medico, senza che questi fosse in grado di stigmatizzare il profilo di responsabilità ascrivibile alla clinica.

Il chirurgo veniva quindi condannato a rifondere alla clinica stessa l'importo di euro 73.409,65.

Le due eredi del medico ricorrevano quindi in Cassazione, sulla base di due motivazioni:

  • la responsabilità in solido tra medico e struttura sarebbe stata evocata in applicazione dell'art. 2049 c.c. e non in base all'art. 2055, che disciplina il concorso nell'atto dannoso;
  • la Corte d'Appello avrebbe preteso che sul medico gravasse l'onere di dimostrare i termini dell'eventuale responsabilità della clinica, onde evitare o ridurre la portata dell'azione di regresso da parte della stessa nei suoi confronti.
La questione

In tema di responsabilità medica, come si distribuiscono gli oneri probatori tra medico libero professionista e struttura sanitaria di appartenenza? Nell'ambito di una responsabilità solidale, spetta al soggetto che agisce in regresso l'obbligo di provare l'esclusiva responsabilità dell'altro soggetto?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile la prima delle motivazioni addotte dalle ricorrenti, in quanto la stessa verteva su circostanze di fatto che presupponevano una responsabilità della struttura, per fatto proprio, nel cattivo esito dell'operazione chirurgica.

È stato invece accolto il secondo motivo esposto e basato sulla distribuzione degli oneri probatori, giacché è sul soggetto che agisce in regresso nell'ambito di una responsabilità solidale, che spetta l'obbligo di provare l'esclusiva responsabilità dell'altro soggetto.

Non rientra, insomma, nell'onere probatorio di chi è chiamato in causa con l'azione di regresso, individuare le modalità che determinano la responsabilità dell'altra parte, allo scopo di ridurre o evitare la portata dell'azione stessa.

Ciò implica che le azioni di manleva e regresso effettuate dalle strutture ospedaliere nei confronti dei loro collaboratori, per quanto si tratti di liberi professionisti e indipendentemente da quanto la condotta dell'operatore abbia inciso sul danno lamentato, sono soggette a limiti ben precisi.

Tra questi vi è l'obbligo, una volta provveduto al risarcimento del danno, di provare l'esclusiva responsabilità del professionista sanitario, per escludere qualsiasi addebito nei propri confronti.

Osservazioni

La legge n. 24/2017, più nota come legge Gelli, prevede che le strutture sanitarie rispondano sempre nei confronti del paziente, per l'operato di tutti i collaboratori e dipendenti, oltre che per il fatto proprio, cioè per le conseguenze di eventuali loro carenze organizzative e di gestione: «La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l'insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale» (art. 1, legge 24/2017).

Si tratta quindi di una responsabilità solidale del professionista sanitario e della struttura nei confronti del paziente, che consente a quest'ultima una successiva azione di rivalsa o surroga verso l'operatore, quando lo stesso non sia suo dipendente, ma risulti comunque strutturato all'interno del suo organigramma.

In pratica, la legge prevede chiaramente che l'ospedale risponde dei danni causati a terzi dai propri dipendenti, in forza del disposto dell'art. 2049 c.c. Ma se si fosse avvalso dell'operato di liberi professionisti, esso potrà recuperare, in parte o totalmente ed attraverso l'azione di rivalsa o regresso, quanto eventualmente risarcito alla vittima.

Il meccanismo che determina la misura della rivalsa, ai sensi degli artt. 1916 e 2055 c.c., si muove però su profili di colpa distinti: da una parte avremo la responsabilità contrattuale della struttura, ex art. 1218 c.c., e dall'altra avremo a che fare con l'illecito eventualmente causato dal suo ausiliario ex art. 1228 c.c.

I giudici di merito (il Tribunale di Milano, in particolare) hanno più volte affermato che una parte del danno debba essere comunque attribuita alla struttura, come accade per qualsiasi organizzazione aziendale, non foss'altro che per il cosiddetto rischio d'impresa che graverebbe su di essa. Inoltre, se la stessa non fosse in grado di provare l'esclusiva responsabilità dell'ausiliario, la ripartizione della responsabilità e del danno dovrà essere presuntivamente considerata al 50% (Trib. Milano, n. 5923/2019).

Con l'ordinanza in oggetto, la Suprema Corte si è spinta ancora più a fondo nel chiarire tale principio, precisando che, quando la struttura chiamata in causa sostenga che la responsabilità del danno dipenda solo dall'imperizia del professionista che ha eseguito l'intervento chirurgico, sarà su di essa che graverà l'onere di provare l'esclusiva responsabilità di quest'ultimo.

La decisione contribuisce ad appesantire la posizione delle strutture sanitarie di ogni genere (la legge 24/2017 ha infatti provveduto a parificare gli elementi distintivi che caratterizzavano le strutture pubbliche, rispetto a quelle private), spostando i costi dei risarcimenti da responsabilità medica sempre più a carico delle aziende ospedaliere ed alleviando gli oneri che ricadevano sui professionisti, ritenuti eccessivamente gravosi dal legislatore.

Guida all'approfondimento

MASSIMO VACCARI,La conciliazione delle controversie per responsabilità sanitaria, Focus del 12 Giugno 2019, in Ridare.it;

MARIA COSTANZA, Struttura sanitaria e medico: regresso o rivalsa?, Focus del 21 novembre 2017 in Ridare.it;

AA.VV., Responsabilità Sanitaria – a cura di Filippo Martini e Marco Rodolfi, Giuffrè Francis Lefebvre, 2018.

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