Diritto di prelazione e vendita (in blocco) dell'immobile locato in sede fallimentare

18 Novembre 2019

Nel contesto di un procedimento di sfratto per morosità, promosso sulla base di distinti contratti di locazione aventi ad oggetto una pluralità di immobili, nei quali il locatore era succeduto a titolo particolare per essersi reso acquirente, in sede fallimentare, dell'intero complesso residenziale, al cui interno, tra gli altri, i medesimi erano ricompresi, il giudice, chiamato a decidere in ordine alla domanda riconvenzionale proposta dal conduttore taluni dei locali del complesso, che, interposta opposizione all'intimato sfratto, eccepiva il mancato rispetto del diritto di prelazione, e del conseguente diritto di riscatto, vagliata la sussistenza della fattispecie della cd. vendita in blocco, rigettava la proposta domanda, affermando l'inapplicabilità del diritto di prelazione e riscatto di cui agli artt. 38 e 39 della l. 392/78 nel caso di immobili acquistati in sede fallimentare, e, accertata e dichiarata la gravità dell'inadempimento del conduttore, dichiarava la risoluzione dei contratti di locazione, disponendo il rilascio degli immobili, con condanna del convenuto intimato al pagamento dei canoni.
Massima

Nel caso, in sede fallimentare, di aggiudicazione e trasferimento della proprietà di una pluralità di immobili, già facenti capo alla società fallita, ed in parte oggetto di una pluralità di contratti di locazione ad uso diverso dall'abitativo, alla società acquirente in forza della c.d. vendita in blocco è inopponibile la prelazione urbana, prevista e disciplinata dall'art. 38, l. n. 392/1978, esercitata, successivamente al decreto di trasferimento, dalla società conduttrice. Invero, la volontarietà e l'onerosità dell'acquisto, presupposti per l'esercizio del diritto di prelazione, non ricorrono nel caso della vendita forzata dell'immobile disposta nel contesto di una procedura esecutiva, con conseguente inapplicabilità del diritto di riscatto di cui all'art. 39 di detta legge. Né, ad escludere l'applicabilità di quanto precede, può valere il diverso principio della compatibilità della prelazione volontaria con la procedura concorsuale di concordato con cessione dei beni ai creditori. Trattasi, invero, di ipotesi ontologicamente distinte, posto che, contrariamente a quanto accade nell'esecuzione forzata, nel caso del concordato il debitore non viene spossessato dei propri beni, potendo continuare a disporne, pur sotto l'egida del curatore. La conseguente domanda di riscatto esercitata in sede giudiziale, avente ad oggetto solo talune delle unità immobiliari oggetto di causa, incontestatamente appartenenti ad un più amplio complesso immobiliare, il cui trasferimento viene accertato costituire un'ipotesi di vendita in blocco, è ostativo alla prelazione e preclude il riscatto degli immobili. Ne consegue il rigetto della domanda riconvenzionale intesa ad ottenere l'accoglimento della domanda di prelazione e/o riscatto, formulata dalla società conduttrice in sede di opposizione al procedimento di sfratto per morosità, promosso dalla proprietaria intimante per ottenere la risoluzione dei plurimi contratti di locazione per grave inadempimento, costituito dal reiterato mancato pagamento dei canoni, il rilascio degli immobili acquistati in sede fallimentare ed il pagamento dei canoni rimasti insoluti.

Il caso

Con atto di intimazione di sfratto per morosità, notificato in data 11 giugno 2018, parte ricorrente intimante, nel permettere di essere proprietaria di 37 unità immobiliari e 7 cantine, acquistate in forza di decreto di trasferimento del Tribunale di Bologna del 29 giugno 2017, emesso in sede fallimentare, rappresentava che, nonostante il subentro nei 7 contratti di locazione, stipulati negli anni 2008 - 2009 dalla fallita, ed aventi ad oggetto talune delle unità immobiliari acquistate, nulla le fosse stato corrisposto a titolo di canoni, per le mensilità decorrenti da luglio 2017 a giugno 2018, nonostante fossero decorsi 12 mesi dal subentro.

Concludeva chiedendo al Tribunale adito la convalida dell'intimato sfratto per morosità e l'ingiunzione del pagamento di quanto dovuto a titolo di canoni in forza dei contratti di locazione, per il periodo intercorrente dal mese di luglio 2017 a giugno 2018 compresi.

Nell'opporsi, la società intimata eccepiva di avere inoltrato, in data 13 settembre 2017, missiva via pec, con la quale aveva comunicato di volere esercitare il diritto di prelazione ai sensi dell'art. 38, l. n. 392/1978, al medesimo prezzo versato dall'intimante acquirente e di avere successivamente comunicato l'esercizio del diritto di riscatto sugli immobili compravenduti in sede esecutiva, ai sensi dell'art. 39 della medesima legge, dichiarandosi pronta a corrispondere il prezzo di riscatto, di cui attendeva di conoscere l'importo, nei termini di legge, senza, tuttavia, avere ottenuto alcun riscontro. Per l'effetto, parte intimata eccepiva che l'intimante fosse priva di legittimazione attiva nel procedimento di convalida, affermando di aver provveduto, nel mese di giugno 2018, al versamento dei canoni con riferimento ai 4 dei 7 contratti di locazione, per i quali i predetti erano commisurati nella misura del 4,5% dei ricavi lordi prodotti. Concludeva, pertanto, con richiesta di repulsa della domanda attorea e, in via riconvenzionale, con richiesta di declaratoria del valido esercizio del diritto di prelazione e di riscatto ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 38 e 39, l. n. 392/1978.

All'udienza di convalida, il giudice rigettava, ex art. 665 c.p.c., la richiesta dell'intimante relativa all'ordine di rilascio, rilevando l'impossibilità di esaminare la materia nell'ambito della procedura sommaria adottata, disponendo il mutamento di rito e l'espletamento della mediazione obbligatoria.

All'esito negativo della mediazione, le parti depositavano memorie integrative nei termini concessi.

Il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione senza necessità di ulteriore attività istruttoria, all'udienza del 31 gennaio 2019, fissata per discussione finale, dava lettura del dispositivo della sentenza n. 274/2019 pubblicata in pari data, con la quale, nel preliminarmente rigettare la domanda riconvenzionale, stante, da un lato, l'inapplicabilità della prelazione urbana in sede di procedura esecutiva (Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 1996, n. 11225; Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2012, n. 7931), e, dall'altro, la volontà, manifestata dalla convenuta prima del radicarsi del giudizio, di voler acquistare solo alcune delle unità immobiliari condotte in locazione rispetto a quelle acquistate dall'attrice in sede di procedura fallimentare, ed esaminata, al fine di verificare il rispetto del principio, valevole in tema di prelazione, di identità tra immobile locato ed immobile venduto (Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2011, n. 15897), le differenze tra vendita in blocco e vendita cumulativa, e ritenuta, all'esito, la sussistenza della prima, accertata e dichiarata la gravità dell'inadempimento contrattuale della convenuta, in ordine al mancato pagamento dei canoni, accoglieva la domanda di rilascio degli immobili, formulata da parte attrice.

Per tale effetto, il Tribunale rigettava la domanda avente ad oggetto l'esercizio del diritto di prelazione e riscatto di cui agli artt. 38 e 39, l. n. 392/1978 proposta dalla convenuta, dichiarava la risoluzione di tutti i contratti per i quali era causa, per effetto del grave inadempimento della predetta, come accertato e dichiarato, con conseguente condanna rilascio degli immobili di proprietà dell'intimante, fissazione della data per la sua esecuzione e condanna dell'intimata al pagamento dei canoni ed alla rifusione delle spese di lite.

La questione

Nel caso sottoposto al proprio vaglio, il Tribunale è stato chiamato, in primis, ad affrontare la questione dell'applicabilità dell'istituto della prelazione urbana e, nel caso di propria violazione, del riscatto, disciplinati dagli artt. 38 e 39, l. n. 392/1978, nel caso in cui gli immobili locati, per effetto della declaratoria di fallimento del proprietario locatore, vengano ceduti in detto contesto.

Nello specifico, si trattava di comprendere se, avvenuta in detta sede l'alienazione di un complesso immobiliare, il conduttore di taluni dei predetti, locatigli ad uso commerciale, che aveva esercitato il diritto di prelazione, asserendo averne titolo e presupposti, avesse diritto a riscattare i beni dal nuovo proprietario, aggiudicatario in sede fallimentare.

La risoluzione della problematica ha comportato l'esame di diverse questioni giuridiche, fra le quali, oltre quella inerente la compatibilità dell'istituto della prelazione con la vendita forzosa avvenuta in sede fallimentare, quella inerente la sussistenza dei presupposti di legge per il suo esercizio ed, in difetto, per il successivo riscatto del bene.

Si trattava, tra gli altri, di verificare la sussistenza del presupposto di cui all'art. 35,l. n. 392/1978 che prevede che, al fine del valido esercizio del diritto di prelazione, all'interno dell'immobile locato, debba essere svolta “attività comportante contatti diretti con il pubblico di utenti e consumatori, nonché la sussistenza di un valido rapporto di locazione, elementi in dubbio nel caso specifico, posto che, quanto al primo, il conduttore, pur avendo dedotto l'esercizio di detta tipologia di attività, non ne aveva fornito prova, precludendo al giudice la valutazione di cui all'art. 41, l. n. 392/1978 e, quanto al secondo, essendo stata dedotta la risoluzione di taluni dei contratti di locazione, circostanza che non vedeva completamente concordi le parti.

L'esercizio della prelazione, infatti, aveva riguardato unicamente taluni degli immobili acquistati dall'intimante, quelli oggetto dei contratti n. 3 e 4, le c.d. case vacanze, aventi asseritamente ad oggetto l'esercizio di attività alberghiera, avendo la convenuta conduttrice eccepito che gli altri contratti di locazione fossero stati oggetto, taluni di risoluzione contrattuale consensuale, altri di cessazione dei propri effetti stante la cessazione dell'attività ivi esercitata.

In detto contesto, considerato che la vendita in sede fallimentare aveva riguardato una pluralità di immobili facenti parte del compendio alienato, con riferimento a taluni dei quali soltanto era stata esercitata la prelazione, si trattava di comprendere se la vendita fosse qualificabile come vendita cumulativa o vendita in blocco.

Invero, postulando la prelazione la già citata identità tra immobile locato ed immobile venduto (Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2011, n. 15897), nel caso di vendita di più immobili, la medesima è esercitabile solo allorquando i medesimi possano essere considerati un unicum, ovvero nel caso di vendita in blocco, il che pone l'ulteriore questione dell'esame delle caratteristiche in presenza delle quali ricorra tale tipologia di trasferimento.

Altra questione da risolvere riguardava la sussistenza o meno della legittimazione attiva della società intimante, in considerazione dell'asserita risoluzione di taluni dei contratti di locazione, come eccepita dalla conduttrice intimata.

Le soluzioni giuridiche

Al fine decidere in ordine alla domanda di rilascio delle unità immobiliari formulata da parte intimante, il Tribunale, nell'esaminare le diverse questioni giuridiche sottoposte al proprio vaglio, analizza, in via preliminare, la domanda di prelazione e/o riscatto proposta dall'intimata.

Nello specifico, trattavasi di comprendere se la c.d. prelazione urbana, prevista e disciplinata dall'art. 38, l. n. 392/1978 fosse applicabile nel caso in cui la vendita fosse stata disposta nel contesto della procedura di fallimento nella quale era incorsa la società proprietaria del bene.

Invero, parte conduttrice intimata sosteneva l'istituto fosse compatibile con detta procedura, stante l'orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., sez. un., 20 luglio, 2004, n. 14083) invocato in giudizio, che ammetteva la prelazione nel caso del concordato con cessione dei beni ai creditori, del quale sosteneva l'interpretazione analogica ai fatti oggetto di causa.

Sul punto, il giudice, nel premettere la differenza ontologica tra fallimento, che comporta lo spossessamento del debitore dai propri beni, e concordato, nel richiamare un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. civ.,sez. III, 16 dicembre 1996, n. 11225), riteneva che la vendita di un immobile in un contesto esecutivo precludesse l'operatività della prelazione di cui all'art. 38, l. n. 392/1978 e, conseguentemente, del riscatto di cui all'art. 39, l. n. 392/1978.

A diversamente ritenere verrebbe pregiudicato l'interesse pubblicistico, che esige la speditezza delle alienazioni a detrimento dell'interesse privatistico della prelazione (Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2012, n. 7931).

Il Tribunale, poi, ha rilevato come la società conduttrice, avesse inteso esercitare il diritto di prelazione e, conseguentemente il riscatto, con riferimento ad alcune soltanto delle unità immobiliare oggetto del contendere, pur facendo tutte parte del medesimo complesso residenziale, previamente premessa un'analisi circa la differenza tra vendita in blocco, che esclude la prelazione e/o il riscatto, e cumulativa, che, di contro, li lascia inalterati, considerato che l'acquisto aveva riguardato tutti gli immobili facenti parte del complesso immobiliare denominato Convento del Buon Pastore, qualificava l'acquisto avvenuto in sede fallimentare come vendita in blocco, il che escludeva i citati diritti.

Ad ogni modo, il giudice, entrando nel merito della questione inerente la prelazione, rilevava come parte convenuta intimata non avesse fornito prova della tipologia di attività esercitata all'interno degli immobili condotti in locazione per i quali aveva inteso esercitare prelazione e riscatto, essendosi, sul punto, limitata a dedurre l'esercizio di attività alberghiera, senza, tuttavia, fornire idoneo supporto probatorio, stante la ritenuta inammissibilità del capitolo di prova della medesima formulata al fine di assolvere a detto onere.

Il Tribunale, inoltre, riteneva che la convenuta fosse decaduta dal diritto di riscatto, non avendo versato il prezzo di acquisto entro l'indicato termine di 30 giorni dal suo esercizio, come indicato nella comunicazione pec con la quale comunicava di volere esercitare la prelazione.

Rigettata la domanda della convenuta intimata, il Tribunale accoglieva la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento formulata dal locatore, considerato, da un lato che il conduttore non aveva mai contestato di non avere pagato il canone e, dall'altro, la gravità dell'inadempimento ex art. 1455 c.c., in quanto “totale” e “reiterato”, conseguentemente accogliendo la domanda di rilascio degli immobili.

Riguardo al problema della quantificazione dei canoni insoluti, nel premettere che il rispetto, da parte della Domus, dei contratti di locazione per cui era causa, comprovato dall'intimato sfratto per morosità, esentava dalla valutazione della domanda inerente all'inopponibilità alla medesima ex art. 2923, comma 3, c.c., accertava la debenza dei canoni nella misura indicata e richiesta dalla locatrice intimante; nulla, invece, in merito alle spese condominiali, non essendo stata formulata specifica domanda.

Il Tribunale, concludeva, pertanto, rigettando la domanda di prelazione e riscatto proposta dalla convenuta, dichiarando la risoluzione di tutti i contratti di locazione per cui era causa per grave inadempimento della convenuta, condannandola al rilascio dei relativi immobili e fissando la data per la sua esecuzione, condannandola al pagamento dei canoni di locazione ed interessi dalle singole scadenze al saldo, oltre alle spese di lite.

Osservazioni

Nel caso in esame, il Tribunale ha affrontato la questione dell'applicabilità del diritto di prelazione c.d. urbana, disciplinato dall'art. 38, l. n. 392/1978, ed in caso di sua violazione, del conseguente diritto di riscatto, previsto dal successivo art. 39, nell'ipotesi in cui il bene condotto in locazione venga ad essere assoggettato alla vendita in un contesto forzoso, nel caso in esame in sede di fallimento.

La questione è particolarmente rilevante, trattandosi di contemperare l'interesse privatistico connesso alla libertà negoziale, ed alla conseguente libera circolazione dei beni, in ossequio, altresì, al principio della libertà di contrarre, legittimamente affievolito, nel caso della locazione commerciale, dal diritto di prelazione, con le finalità pubblicistiche proprie della procedura fallimentare, che non possono risentire di impedimenti derivanti da norme disciplinanti rapporti privatistici.

Aspetto che, di contro, non ricorre nel caso del concordato preventivo, trattandosi di procedura di origine convenzionale, che non preclude che il proprietario possa determinarsi ad alienare privatisticamente l'immobile sotto l'egida del liquidatore.

Invero, mentre “l'attività svolta dagli organi fallimentari è diretta a finalità pubblicistiche e non può soffrire impedimenti da norme regolanti rapporti privatistici, diverso è il caso del concordato preventivo, che importa una situazione di origine convenzionale, che non esclude la libera determinazione del proprietario di addivenire al trasferimento dell'immobile sotto il profilo privatist5ico attraverso il liquidatore, nell'osservanza delle norme regolanti l'istituto della prelazione commerciale disciplinanti rapporti di diritto privato (Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2012, n. 7931).

Ciò posto, la prelazione urbana, oggetto del caso in esame, trova applicazione allorchè ricorrano alcuni fondamentali presupposti.

Da un lato, il dato letterale dell'art. 38 prevede che il trasferimento dell'immobile locato avvenga su base volontaria ed a titolo oneroso, dall'altro è necessario che, come previsto dall'art. 35, l. n. 392/1978, all'interno del locale condotto in locazione venga esercitata “attività comportante contatti diretti con il pubblico di utenti e consumatori”.

Ne consegue che il diritto di prelazione è escluso nel caso di fallimento e vendita coattiva del bene (Cass. civ., sez. III, 30 maggio 1984, n. 3298), essendo carenti in dette due ipotesi gli indicati presupposti.

E, invero, ad ulteriore avallo di detto principio, valgasi la mancata previsione, da parte della norma in esame, di alcun obbligo di comunicazione del trasferimento da parte del creditore procedente o del Giudice dell'esecuzione, a nulla valendo, di contro, l'espressa esclusione normativa prevista in tema di prelazione agraria, ex art. 8, comma 2, l. n. 590/1965, imposta da una diversa formulazione normativa di cui al 1 comma, che la riconosce nel trasferimento a titolo oneroso.

L'onere di provare la natura dell'attività svolta all'interno dell'immobile condotto in locazione, fa capo al conduttore prelazionario, al quale, nel caso specifico, egli non ha assolto, essendosi limitato, sul punto, ad una deduzione, l'esercizio di attività alberghiera, oltremodo generica e non supportata da prova, posto che, quella testimoniale richiesta non è stata ammessa, stante gli espressi limiti di diritto sostanziale e procedurale in materia previsti che il giudice ha ritenuto ricorrere.

Considerato poi, che gli immobili condotti in locazione, per i quali era stata esercitata la prelazione, facevano parte di un più amplio complesso immobiliare, il Tribunale, al fine del valido esercizio della medesima, ha esaminato la questione giuridica della differenza tra vendita in blocco e vendita cumulativa.

Invero, in proposito, rileva il principio di diritto secondo cui il diritto di prelazione o riscatto, previsto dagli artt. 38 e 39, l. n. 392/1978 a favore del conduttore, presuppone l'identità dell'immobile locato con quello venduto (Cass. civ., sez.III, 20 luglio 2011, n. 15897).

Conseguentemente, nel caso in cui un soggetto, diverso dal conduttore, con un unico atto, o più atti distinti, si renda acquirente di una pluralità di immobili appartenenti ad un unico proprietario, si rende necessario comprendere se i predetti costituiscano un unicum, da intendersi come un quid distinto dalla sommatoria dei singoli immobili, nel quale caso si tratterà di c.d. “vendita in blocco”, che esclude il sorgere del diritto di prelazione e riscatto in capo al conduttore, o, piuttosto, di una mera sommatoria di detti beni, nel quale caso si tratterà di “vendita cumulativa”, che lascia inalterati detti diritti (Cass., sez.III, 20 luglio 2011, n. 15897).

Compete al giudice di merito accertare la natura di unicum degli immobili, sotto il profilo funzionale e strutturale, al fine di ammettere o escludere il diritto di prelazione o il riscatto.

In particolare, ricorre la vendita in blocco allorquando sussistano significativi e penetranti requisiti di oggettiva unità strutturale o funzionale tra gli immobili oggetto della vendita, quali, ad esempio “omogeneità strutturale o un qualche collegamento funzionale” (Cass. civ., sez. III, 4 agosto 2018, n. 19502).

A tale proposito, il Tribunale di Bologna ha accertato che pur nonostante si fosse trattato di vendita di una pluralità di immobili, l'incontestata appartenenza dei medesimi al complesso denominato Convento del Buon Pastore, fosse compatibile con la sua qualificazione come vendita in blocco, che esclude il diritto di prelazione ed il conseguente riscatto.

Guida all'approfondimento

Cirla - Monegat, Compravendita. Condominio. Locazioni, Milano, 2017, 1113

Dorigo - Ferrari - Nicoletti - Redivo, Le locazioni immobiliari, Padova, 2010, 429

Marino - Rossi, Le locazioni commerciali, Torino, 2010, 219

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario