Il cessionario di credito IVA subentra nella posizione del cedente
12 Dicembre 2019
Massima
Poiché la cessione del credito IVA lascia inalterati i termini e le modalità del rapporto sostanziale da cui il credito trae origine, l'Amministrazione finanziaria diventa obbligata verso il cessionario allo stesso modo in cui lo era nei confronti del suo creditore originario.
Il caso
In relazione all'anno d'imposta 2005 una s.a.s. chiese a rimborso un credito IVA e ne cedette una parte ad una S.r.l. L'Agenzia delle entrate provvide all'erogazione del rimborso. Successivamente, in esito alla verifica dell'irregolarità della fatturazione di operazioni attive per l'errata applicazione dell'art. 8, comma 10, lett. c), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l'Agenzia recuperò l'IVA che riteneva indebitamente rimborsata, con atto impositivo che notificò a cedente e cessionaria, come soggetti solidalmente responsabili.
La S.r.l. impugnò l'atto, senza successo in primo grado, in quanto la Commissione tributaria provinciale di Udine ne escluse la capacità di stare in giudizio e dichiarò inammissibile il ricorso.
Di contro, la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia ha accolto l'appello della contribuente; ha premesso che, in virtù di una cessione avvenuta prima dell'instaurazione del giudizio concernente il credito che ne costituisce oggetto, il cessionario ha una posizione autonoma che lo abilita a proporre autonoma impugnazione, sicché il ricorso introduttivo è ammissibile; ha, poi, aggiunto, nel merito, che la ripetizione nei confronti del cessionario è da ritenere subordinata all'azione nei confronti del cedente e che, comunque, l'Agenzia ha notificato alla cessionaria l'avviso senza previamente richiedere, come avrebbe dovuto, il rilascio della polizza fideiussoria, che, comunque, era stata rilasciata.
A ogni modo, l'Agenzia avrebbe dovuto, comunque, allegare all'avviso tutta la documentazione posta a sostegno del recupero. Contro questa sentenza l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per ottenerne la Cassazione. La questione
La questione sottoposta all'esame della Suprema Corte attiene alla cessione del credito IVA ed all'esperibilità da parte dell'Agenzia dell'azione di ripetizione nei confronti del cessionario, in caso di insussistenza del credito. Le soluzioni giuridiche
La Corte, nel disattendere l'assunto dell'Agenzia – secondo cui il cessionario non sarebbe parte del rapporto obbligatorio oggetto di cessione - afferma chiaramente che “la cessione importa il subingresso del terzo nella posizione del contribuente”. Ciò avviene in quanto la cessione del credito lascia inalterati i termini e le modalità del rapporto sostanziale, sicchè il debitore ceduto resta obbligato nei confronti del cessionario allo stesso modo in cui lo era nei confronti del creditore originario. Il cessionario acquista, pertanto, i diritti rivolti alla realizzazione del credito ceduto, tra i quali, appunto, le azioni dirette all'adempimento della prestazione, compresa quella di rimborso rivolta al Fisco. In linea con questa impostazione si pone la giurisprudenza di legittimità che ha riconosciuto al cessionario la facoltà di proporre intervento adesivo autonomo, ex art. 14 comma 3 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella controversia già instaurata tra l'Agenzia e l'originario titolare del credito.
Nell'ambito della fattispecie di cessione del credito IVA si colloca l'art. 5, comma 4-ter D.L. 14 marzo 1988, n. 70 (conv., con mod., in L. 13.5.1988, n. 152), che disciplina l'azione del Fisco di ripetizione dell'indebito oggettivo nei confronti del cessionario, al quale – dopo l'accettazione o la notifica dell'atto di cessione – l'amministrazione abbia rimborsato il credito IVA. Il Fisco può, quindi, procedere al rimborso dell'IVA indebitamente erogata nei confronti del cessionario, a condizione che quest'ultimo abbia, in concreto, ricevuto sine titulo la somma in questione.
Nel caso in cui il rimborso sia stato corrisposto al cedente dopo la notificazione o l'accettazione della cessione, l'Agenzia continua ad essere obbligata nei confronti del cessionario, salvo che non dimostri che quest'ultimo abbia ratificato l'erroneo pagamento o ne abbia comunque approfittato (ex art. 1188, comma 2 c.c.).
Inoltre, il credito IVA – al pari di ogni altro credito – si trasferisce al cessionario con i privilegi, le garanzie personali e reali e gli altri accessori (art. 1263, comma 1 c.c.).
Ne consegue che, in caso di cessione di credito avente ad oggetto il rimborso dell'IVA, si trasferisce al cessionario anche la polizza fideiussoria prevista dall'art. 38-bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, prevista al fine di garantire in favore dell'Amministrazione finanziaria la restituzione delle somme da questa indebitamente versate ai contribuenti in sede di procedura di rimborso anticipato dell'IVA. Osservazioni
La disciplina civilistica generale sulla cessione dei crediti è stabilita dal codice civile nel libro IV, titolo I, capo V "della cessione dei crediti", dall'art. 1260 al 1267. L'art. 1260 c.c. dispone che "Il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge". Escluso che il credito per il rimborso dell'IVA possa rientrare tra quelli strettamente personali, il nodo cruciale è costituito dall'esistenza di un eventuale divieto imposto dalla legge. Mentre in passato si dubitava della cedibilità del credito IVA in generale, oggi la questione può dirsi superata, a favore della piena cedibilità, soprattutto in seguito dell'entrata in vigore della citata L. 13 maggio 1988, n. 154, di conversione del D.L. 14 marzo 1988, n. 70, che, nel disciplinare le conseguenze della cessione, ne dà per presupposta la legittimità.
L'art. 5, comma 4-ter del D.L. n. 70/1988, in particolare, attribuisce all'Erario il diritto di ripetere anche presso il cessionario le eventuali somme pagate a rimborso e poi risultate non dovute, così implicitamente ammettendo la validità della cessione. La tesi è stata confermata anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale "la cessione del credito Iva è pacificamente ammessa dall'ordinamento al pari della cessione di qualsiasi altro credito, ed in caso di cessione di un credito Iva, il cessionario è attivamente legittimato quanto alla procedura di rimborso e passivamente legittimato quanto alle restituzioni, mentre gli sono opponibili gli atti dell'Ufficio per quanto attiene al controllo delle dichiarazioni, alle rettifiche ed alle sanzioni erogate al cedente" (Cass. 12.10.2001, n. 12455).
In questo quadro normativo, già a partire dalla circolare del Ministero delle Finanze n. 223 del 28 ottobre 1988 si è consolidata una prassi ministeriale, secondo la quale la corretta interpretazione del comma 4-ter citato, che fa espresso riferimento al credito risultante dalla dichiarazione annuale, avrebbe portato, da un lato, a legittimare la cessione dei crediti IVA annuali, e, dall'altro, ad escludere la cedibilità dei rimborsi IVA riferiti a periodi inferiori all'anno. In buona sostanza, secondo tale interpretazione ministeriale, il comma 4-ter dell'art. 5 D.L. n. 70/1988, contiene un implicito divieto di legge, che, in combinato disposto con l'art. 1260 c.c., impedirebbe di considerare valida la cessione del credito IVA infrannuale nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria. L'attendibilità di questa tesi era già stata contestata in un documento dell'Associazione Italiana Dottori Commercialisti (norma di comportamento n. 164/2006), redatta dalla "Commissione norme di comportamento e di comune interpretazione in materia tributaria".
In tale documento veniva, infatti, messo in discussione il presupposto fondamentale della teoria del Ministero, e cioè il fatto che il credito IVA riferito a periodi inferiori all'anno non risulterebbe dalla dichiarazione annuale e che, conseguentemente l'espressione utilizzata dal legislatore "credito risultante dalla dichiarazione annuale" coinciderebbe con il solo credito IVA annuale. Era chiarito in modo efficace dalla Commissione citata che il credito IVA formatosi in sede trimestrale, allo stesso modo di quello annuale, deriva da operazioni effettuate nel corso dell'anno d'imposta, riepilogate nella dichiarazione annuale IVA. La Commissione aveva, quindi, evidenziato come il concetto normativo di credito IVA risultante dalla dichiarazione annuale non fosse riferito soltanto alle somme chieste a rimborso per la prima volta in sede di dichiarazione annuale, ma anche agli importi chiesti a rimborso in sede trimestrale, secondo le disposizioni dell'art. 38-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Alla luce di queste considerazioni perdeva di significato, anche ai fini dell'Erario, qualsiasi distinzione tra crediti annuali e infrannuali, posto che anche il credito IVA chiesto a rimborso in sede trimestrale, risultando dalla dichiarazione annuale, poteva eventualmente essere recuperato dall'Amministrazione Finanziaria, in virtù dell'art. 5, comma 4-ter del D.L. n. 70/1988, presso il cessionario. Nel descritto quadro normativo ed interpretativo è intervenuto l'art. 12-sexies del D.L. 30.4.2019 (convertito nella L. 28.62019, n. 58), che ha modificato il richiamato art. 5, comma 4-ter, del D.L. n. 70/1988, estendendone la portata ai crediti IVA di cui sia chiesto il rimborso in sede di liquidazione trimestrale. Come rilevato anche da Assonime nella Circolare n. 18/2019, la novellata disposizione adegua la normativa in materia all'orientamento della giurisprudenza. La Suprema Corte, in particolare, ha osservato che, "ai fini della cessione di un credito IVA, non rileva tanto che esso sia esposto in una dichiarazione annuale già presentata, quanto l'esistenza di uno specifico rapporto giuridico fiscale, (...) nella specie, riconducibile alla posizione di soggetto d'imposta, pacificamente rivestita, ai fini dell'IVA, dalla società di capitali cedente, rientrando il relativo credito fiscale, futuro o semplicemente sperato, nella normale dinamica contrattuale su oggetto determinabile in esito alle normali procedure tributarie". Ne discende, come logica conseguenza, che "la cessione del credito IVA, vantato dalla curatela fallimentare ma non ancora esposto in dichiarazione, non può che seguire le ordinarie regole del Codice civile (artt. 1260, 1264, 1348 c.c.)" e che, pertanto, non può "essere considerata causa ostativa all'efficacia dell'atto di cessione il fatto che il credito (quantificabile) non sia ancora stato chiesto a rimborso nella dichiarazione annuale al momento dell'atto di cessione, dato che tale circostanza comporta soltanto il rinvio del pieno operare degli effetti della cessione al momento in cui il credito viene a cristallizzarsi definitivamente secondo le norme tributarie" (Cass. Civ., Sez. V, 24.6.2015, n. 13027). Il credito IVA emergente dalla dichiarazione annuale può essere ceduto, in tutto o in parte, a terzi. Affinché l'operazione di cessione abbia effetto nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, ove quest'ultima assuma la veste di debitore ceduto, occorre il rispetto delle disposizioni di cui all'art. 69 del R.D. 18.11.1923, n. 2440, in base al quale le cessioni di crediti verso l'Amministrazione devono essere notificate all'Amministrazione centrale ovvero all'ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento. Le cessioni di crediti devono, altresì, risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata dal notaio. L'atto deve obbligatoriamente contenere l'esatta individuazione delle parti e dell'importo del credito ceduto (Risoluzione Agenzia delle Entrate 6.9.2006, n. 103/E). Il creditore ha successivamente l'obbligo di notificare formalmente all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate l'avvenuta cessione del credito. Inoltre, colui che cede il credito Iva annuale deve inviare la copia autentica dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata dal notaio all'ufficio Iva competente territorialmente nei suoi confronti (Circolare Agenzia delle Entrate 8.7.1997, n. 192/E). Occorre, comunque, rispettare il principio secondo cui la cessione, anche parziale del credito IVA, non può alterare l'originario rapporto obbligatorio di diritto pubblico esistente tra l'Amministrazione Finanziaria ed il cedente del credito. In particolare, si precisa che la quota di credito Iva ceduta non può essere, a sua volta, ulteriormente frazionata tra più cessionari, potendosi ammettere solo la sua cessione unitaria. Queste modalità ed adempimenti da osservare in caso di cessione di crediti IVA sono stati successivamente ribaditi nella circolare Agenzia delle Entrate n. 19 dell'11.8.1993. L'art. 5, comma 4-ter del D.L. n. 70/1988 nulla dispone in caso di trasferimento del credito IVA nel contesto di un'operazione straordinaria. In tali casi, la trasferibilità del credito IVA avviene per successione, in virtù del c.d. principio di continuazione, che vede nell'avente causa dell'operazione straordinaria la continuazione dell'azienda in precedenza esercitata dal dante causa.
Corollario del principio di continuazione è, evidentemente, anche il subentro del cessionario nella situazione attiva e passiva afferente al rapporto IVA in relazione al compendio aziendale trasferito. In tal senso, peraltro, l'art. 16, comma 11, lett. a), Legge 24.12.1993, n. 537 stabilisce che gli obblighi e i diritti derivanti dall'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, relativi alle operazioni realizzate tramite le aziende o i complessi aziendali trasferiti, sono assunti dalle società beneficiarie del trasferimento. Il trasferimento del credito IVA trova, quindi, fondamento unicamente nella circostanza che lo stesso costituisce un diritto specifico dell'azienda o del ramo d'azienda oggetto di cessione o di conferimento. Tale impostazione si fonda sul convincimento che l'IVA è un tributo correlato all'attività di impresa (rectius: al complesso aziendale mediante il quale la stessa viene esercitata), prima ancora che alla soggettività dell'imprenditore. Il subentro dell'avente causa nelle operazioni attive e passive effettuate dal dante causa, mediante l'esercizio del complesso aziendale trasferito comporta, quindi: (i) dal punto di vista formale, l'obbligo del loro recepimento nella dichiarazione annuale IVA dell'avente causa; (ii) dal punto di vista sostanziale, il trasferimento all'avente causa del credito o debito IVA sino a quel momento maturato in capo al dante causa.
Ragion per cui, laddove si sia in presenza di un credito IVA, lo stesso potrà essere richiesto a rimborso direttamente dal soggetto avente causa e non, invece, dal soggetto dante causa che, per effetto dell'operazione, cessa l'attività (rectius: quella attività) cui il credito è correlato. Sul tema della trasferibilità del credito IVA nell'ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale, l'orientamento della giurisprudenza di legittimità non è stato univoco.
La Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. V, 12.3.2008, n. 6578) ha inizialmente affermato che il conferimento d'azienda comporta un fenomeno traslativo che coinvolge necessariamente anche il credito IVA già vantato dalla conferente che, per effetto del conferimento e a far tempo da questo, viene trasferito alla conferitaria. Al fine di pervenire a tale conclusione, i giudici di legittimità hanno osservato, inoltre, come non vi fosse alcun impedimento giuridico alla trasmissibilità del credito IVA e che, semmai, dal dato normativo (i.e. art. 5, comma 4-ter, del D.L. n. 70/1988) emergono indicazioni di segno contrario. In particolare, i Supremi Giudici hanno evidenziato che, secondo gli ordinari canoni civilistici, il conferimento di un'azienda individuale in una società, sia essa di persona o di capitali, comporta un fenomeno traslativo soggetto alla disciplina dell'art. 2558 c.c. e segg.. Conseguentemente, anche il credito IVA, già vantato dall'impresa individuale, per effetto del conferimento e a far tempo da questo, si trasferisce alla società conferitaria ai sensi dell'art. 2559 c.c., con conseguente perdita di legittimazione dell'originario titolare a pretendere il correlativo rimborso. Tale orientamento – favorevole alla cessione dei crediti IVA in caso di cessione d'azienda – ha trovato seguito nella giurisprudenza di legittimità (si vedano, in particolare, Cass., sez. trib., n. 8644 del 9 aprile 2009, Rv. 607527-01; da ultimo, Cass. Civ., sez. VI-T, 1 agosto 2018, n. 20415). A conclusioni difformi è, invece, pervenuto altro orientamento della Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. V, 16.4.2008, n. 9961), secondo cui è del tutto estranea al sistema applicativo dell'IVA la possibilità che il credito di un contribuente possa concorrere alla commisurazione delle detrazioni spettanti, per l'anno successivo, ad un contribuente diverso, così riconoscendo l'esistenza di un principio di inscindibilità del credito IVA rispetto al soggetto dal quale esso è sorto.
Quest'ultima soluzione giurisprudenziale non è stata, invece, recepita dall'Amministrazione finanziaria che, in diversi documenti di prassi, ha riconosciuto la validità del trasferimento del credito IVA nell'ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale. In particolare, l'Amministrazione finanziaria ha chiarito che nell'ambito delle operazioni straordinarie che non comportano la cessazione dell'attività da parte del cedente o conferente (i.e. cessioni o conferimenti che hanno per oggetto solo un ramo d'azienda, scissioni parziali) il trasferimento del credito IVA avviene solo se, anteriormente all'operazione straordinaria, il cedente/conferente abbia gestito con separata contabilità l'attività esercitata a mezzo del ramo d'azienda poi trasferito. Con la Risoluzione n. 183 del 13.7.1995, l'Amministrazione finanziaria aveva fornito dei chiarimenti in merito alla portata applicativa dell'art. 16, comma 11, L. 24.12.1993, n. 537, nel contesto di una scissione parziale con costituzione di una newco, alla quale sarebbe stato trasferito un intero ramo dell'azienda esistente. Nel richiamare la posizione già espressa con la Risoluzione n. 600112 del 6.12.1989, in relazione ad un analogo problema relativo ad un'ipotesi di conferimento d'azienda, il Ministero delle Finanze ribadiva la necessità di una gestione in contabilità separata del ramo d'azienda trasferito al fine di identificare le operazioni effettivamente attribuibili alla beneficiaria della scissione. Vista la formulazione generica dell'art. 16, comma 11, L. n. 537/1993, la società risultante dalla scissione dovrebbe ricomprendere nella dichiarazione annuale IVA tutte le operazioni riferibili alla gestione dell'azienda trasferita, da cui discendono diritti ed obblighi ai fini dell'imposta, anche se poste in essere dalla società scissa nella frazione d'anno anteriore al momento di efficacia della scissione. Secondo l'Amministrazione finanziaria, tale soluzione troverebbe applicazione solo nel caso in cui la società scissa, anteriormente alla scissione, abbia gestito in regime di contabilità separata l'attività esercitata a mezzo del ramo d'azienda poi trasferito alla newco poiché, solo in tal caso, sarebbe possibile individuare in modo oggettivo i dati contabili afferenti all'azienda trasferita e collegarli a quelli successivi alla scissione per realizzarne una prospettazione unitaria nella dichiarazione annuale della società beneficiaria. Laddove, invece, manchi la contabilità distinta dell'attività svolta mediante il ramo aziendale poi trasferito, non sussistendo la possibilità oggettiva di reperire i dati relativi alla gestione dell'azienda per il periodo precedente alla scissione, la successione della società beneficiaria della scissione nei diritti e negli obblighi IVA relativi all'azienda o al ramo trasferiti può operare solo rispetto a quelle operazioni iniziate dalla società scissa e per le quali il momento di effettuazione dell'operazione, rilevante ai fini del tributo, non si è ancora realizzato nel momento in cui la scissione acquista efficacia.
Diversamente, ogniqualvolta l'operazione straordinaria comporti la cessazione dell'esercizio dell'attività di impresa da parte del dante causa (ciò che tipicamente avviene nei casi di fusione, scissione totale, cessione o conferimento dell'intero complesso aziendale), il trasferimento del credito IVA avviene ex se senza l'espletamento della procedura formale di cui all'art. 5, comma 4-ter, del D.L. n. 70/1988. In particolare, tale principio è stato ribadito dall'Agenzia delle entrate con la Risoluzione n. 417/E del 31.10.2008, con cui è stato esaminato il contesto di una cessione di azienda che interessava due società non residenti identificate in Italia tramite rappresentante fiscale. L'Amministrazione finanziaria ha ribadito che la cessione di un ramo aziendale è un'operazione straordinaria nella quale si determina, in linea generale, una situazione di continuità tra i contribuenti interessati, anche quando l'operazione straordinaria riguarda due soggetti non residenti che si sono identificati direttamente in Italia. A seguito della cessione d'azienda la cessionaria subentra in tutti i rapporti giuridici originariamente "facenti capo" alla cedente, operante in Italia per mezzo del proprio rappresentante fiscale, compresa tutta la situazione attiva e passiva afferente al rapporto IVA. L'Agenzia ha, inoltre, ribadito che il trasferimento dei crediti IVA, avvenuto in tale contesto, è efficace nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, senza che sia necessario osservare la procedura formale di cessione dei crediti IVA prevista dall'art. 5, comma 4-ter, del D.L. n. 70/1988. In assenza della gestione con contabilità separata, ex art. 36 del d.P.R. n. 633/1972, del ramo d'azienda oggetto di conferimento, il credito IVA può essere ceduto al conferitario solo se chiesto preventivamente a rimborso. Questo è il principio formulato dall'Amministrazione finanziaria con la risposta all'istanza di interpello n. 402 del 9.10.2019. L'Agenzia delle entrate ha esaminato il caso di un conferimento di un ramo d'azienda a favore di una società beneficiaria di nuova costituzione nell'ambito del quale non si verifica l'estinzione del soggetto conferente. Il conferente ha chiesto all'Amministrazione finanziaria chiarimenti in merito alla possibilità di trasferire alla conferitaria il credito IVA annuale 2018, il credito IVA maturato trimestralmente nel corso dell'anno 2019 ed eventuali crediti maturandi fino all'atto del conferimento.
L'istante riteneva possibile trasferire il credito IVA senza l'espletamento della procedura formale di cui all'art. 5, comma 4-ter, D.L. n. 70/1988 e senza chiedere il credito preventivamente a rimborso ai sensi dell'art. 30 del d.P.R. n. 633/1972.
L'Agenzia delle entrate, nel richiamare la posizione già espressa con la risoluzione n. 417/E/2008, ha ribadito che, ai fini IVA, nell'ipotesi di operazioni straordinarie, si verifica una situazione di continuità tra i soggetti partecipanti all'operazione. La conferente perde, dunque, ogni legittimazione in ordine al credito IVA che entra nella piena disponibilità della conferitaria, con la conseguenza che la conferente non può chiedere il rimborso dell'IVA pagata in eccedenza, spettando, invece, alla conferitaria il recupero del credito, optando, alternativamente, per la richiesta di rimborso o l'utilizzo in compensazione. Quando, invece, non si verifica l'estinzione del soggetto dante causa, tale previsione trova applicazione solo se, anteriormente all'operazione straordinaria, sia stata gestita con contabilità separata l'attività esercitata dall'azienda o dal ramo d'azienda, poi trasferito. A parere dell'Amministrazione finanziaria, solo con la gestione in contabilità separata sarebbe possibile individuare in modo oggettivo i dati contabili afferenti all'azienda trasferita, anche al fine di imputarli alla beneficiaria. In assenza di una gestione in contabilità separata, il credito IVA potrà comunque essere ceduto, ma a condizione che lo stesso sia stato chiesto preventivamente a rimborso, nel rispetto di quanto disposto dall'art. 5, comma 4-ter, D.L. n. 70/1988.
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