Danno biologico: criteri di liquidazione delle voci di danno temporaneo e permanente
13 Dicembre 2019
Massima
In sede di liquidazione del danno biologico - che può avere ad oggetto tanto l'invalidità temporanea (allorché la malattia risulti ancora in atto), quanto l'invalidità permanente (qualora, per converso, la malattia sia guarita, ma con postumi permanenti, residuati alla lesione) - è possibile riconoscere le voci di danno permanente e temporaneo secondo un criterio diacronico e non sincronico, iniziando l'uno soltanto al termine dell'altro. Nella liquidazione del danno biologico permanente, occorre, poi, fare riferimento all'età della vittima non al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell'invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza. Il caso
La Corte d'appello di Roma, in totale riforma della decisione di prime cure, ha accolto l'appello proposto dagli eredi di soggetto defunto, riconoscendo la concorrente responsabilità, ai sensi dell'art. 2054, comma 2, c.c. dei conducenti dei veicoli rimasti coinvolti nel sinistro stradale in esito al quale il soggetto poi deceduto aveva subito lesioni personali gravissime; la Corte d'appello ha quindi liquidato il danno biologico, secondo la Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, sia per inabilità temporanea assoluta che per invalidità permanente in relazione alla vita effettiva del danneggiato, deceduto nelle more del processo, oltre il danno da ritardo e gli interessi corrispettivi dalla sentenza. Gli eredi hanno impugnato detta sentenza con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi di cui l'ultimo, per quanto di interesse, si risolve nel denunciato errore di fatto ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per non avere considerato la Corte distrettuale il "fatto storico" della esistenza della documentazione sanitaria formata successivamente alla specifica data assunta dal CTU come limite temporale del periodo di inabilità assoluta; detta documentazione avrebbe consentito di calcolare nel periodo di inabilità temporanea assoluta anche i successivi giorni di ricovero ospedaliero del danneggiato, come quantificati nel ricorso fino al decesso. La questione
Nella liquidazione del danno per l'invalidità temporanea e per l'inabilità permanente:
Le soluzioni giuridiche
Per quanto di interesse deve osservarsi che nella pronuncia in commento la Suprema Corte, nel richiamare ai fini della definizione del cd. danno biologico il disposto di cui all'art. 138, comma 2, lett. a) del d. lgs 7 settembre 2005 n. 209 – «la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito»-, ha evidenziato che: A) nell'ambito della nozione di malattia propria della medicina legale occorre distinguere: 1. i postumi invalidanti che, collocandosi cronologicamente in un tempo successivo rispetto ad un pregresso diverso stato patologico, hanno natura permanente in quanto "inemendabili"; 2. la inabilità temporanea (assoluta e parziale -quest'ultima definita in termini percentuali-) che consiste nel periodo di incapacità ad attendere a "qualsiasi" attività -inabilità totale- o soltanto ad "alcune" attività inabilità parziale- della vita quotidiana, patito dal soggetto danneggiato prima di essere ritenuto dai medici clinicamente guarito a seguito di un incidente, un sinistro stradale o di una malattia; B) l'invalidità permanente costituisce uno stato menomativo, stabile e non remissibile, che si consolida soltanto all'esito di un periodo di malattia e non può quindi sussistere prima della sua cessazione; C) il danno biologico può avere ad oggetto tanto l'invalidità temporanea (allorché la malattia risulti ancora in atto), quanto l'invalidità permanente (qualora, per converso, la malattia sia guarita, ma con postumi permanenti, residuati alla lesione); D) in sede di liquidazione del danno biologico si deve tenere conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente. La invalidità permanente è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi, sicché detta voce di danno è determinabile soltanto dalla cessazione di quella relativa al temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno; E) se dunque è possibile legittimamente procedere a liquidare entrambe le voci di danno temporaneo e permanente, tale liquidazione deve rispondere al criterio diacronico e non a quello sincronico, iniziando il danno biologico permanente soltanto al termine dell'altro, diversamente venendo a duplicarsi il risarcimento di un medesimo danno; F) nella liquidazione del danno biologico permanente, occorre fare riferimento all'età della vittima non al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell'invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza. Osservazioni
La Corte descrive i presupposti e la tecnica per il riconoscimento e la liquidazione delle due componenti del danno biologico subito da un soggetto che, a seguito di un evento lesivo, versa in primo luogo nella condizione di c.d. “malattia”.È dunque necessario distinguere, sotto il profilo temporale e ai fini liquidatori, l'invalidità permanente che è uno stato menomativo, stabile e non remissibile, che si consolida soltanto all'esito di un periodo della malattia e non può, quindi, sussistere prima della sua cessazione (vds. Cass. civ., sez. III, 17 marzo 2015 n. 5197) e la inabilità temporanea (assoluta e parziale -quest'ultima definita in termini percentuali-) che consiste nel periodo di incapacità ad attendere a "qualsiasi" attività -inabilità totale- o soltanto ad "alcune" attività inabilità parziale- della vita quotidiana, patito dal soggetto danneggiato prima di essere ritenuto dai medici clinicamente guarito a seguito del fatto illecito. La malattia coincide, dunque, con il periodo di tempo occorrente per la somministrazione delle cure necessarie a ristabilire il paziente, ripristinando la condizione di salute antecedente il sinistro (qualora dalla terapia non esitino condizioni menomative) ovvero per pervenire alla definitiva stabilizzazione delle condizioni invalidanti la salute del paziente (qualora al termine delle terapie esitino menomazioni o condizioni peggiorative inemendabili).Ecco, quindi, che la distinzione tra le due voci di danno consente di rispondere, quanto al primo quesito, nel senso che i postumi invalidanti sono una conseguenza “inemendabile” che residua alla lesione solo una volta cessato lo stato di malattia sicché l'unico criterio liquidatorio applicabile è quello diacronico e non già quello sincronico diversamente traducendosi la tecnica risarcitoria nella duplicazione del medesimo danno (vds. Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2014 n. 26897). La liquidazione del danno biologico nelle due specifiche voci della invalidità temporanea e permanente non costituisce, infatti, una (illegittima) duplicazione di voci di danno ontologicamente unitarie, ma rappresenta soltanto una liquidazione frazionata in relazione a due eventuali momenti diversi e successivi tra loro (vds. Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2003 n. 3414). Ne segue, quindi, che nella liquidazione del danno biologico permanente – così trovandosi una soluzione anche rispetto al secondo quesito-, l'età della vittima deve essere considerata non già al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell'invalidità temporanea, dal momento che solo con il consolidamento dei postumi detta voce di danno può dirsi venuta ad esistenza (vds. Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2017 n. 3121).
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