Autotutela ed annullamento in malam partem: senza reviviscenza automatica, necessario un nuovo atto impositivo

17 Dicembre 2019

L'Amministrazione finanziaria può sempre provvedere in via di autotutela e con effetti retroattivi all'annullamento d'ufficio (o alla revoca) degli atti impositivi illegittimi (o infondati), ai sensi dell'art. 2-quater, comma 1, D.L. n. 564/1994, conv. in L. n. 656/1994, in virtù del quale può annullare anche un precedente provvedimento di annullamento dell'originario atto impositivo (c.d. annullamento in malam partem) senza che ciò comporti l'automatica reviviscenza di quest'ultimo.
Massima

L'Amministrazione finanziaria può sempre provvedere in via di autotutela e con effetti retroattivi all'annullamento d'ufficio (o alla revoca) degli atti impositivi illegittimi (o infondati), ai sensi dell'art. 2-quater, comma 1, D.L. n. 564/1994, conv. in L. n. 656/1994, in virtù del quale può annullare anche un precedente provvedimento di annullamento dell'originario atto impositivo (c.d. annullamento in malam partem) senza che ciò comporti l'automatica reviviscenza di quest'ultimo, ormai definitivamente eliminato dal mondo giuridico.

Ne consegue che, in tale ipotesi, l'Ufficio ha l'obbligo di adottare un nuovo atto impositivo “sostitutivo” secondo le forme ed entro il termine di legge previsto per il suo compimento e, in caso di avvenuta impugnazione dell'atto impositivo, in assenza di giudicato sull'accertamento ad esso sotteso.

Il caso

Una società, conclusasi negativamente la controversia doganale instaurata per conseguire una diversa - e più favorevole - classificazione alla merce dalla stessa importata, impugnava i provvedimenti di rigetto innanzi alla competente Ctp e contestualmente ne chiedeva l'annullamento in via di autotutela.

Le Dogane, in conformità alle istanze della contribuente, annullavano in autotutela i propri provvedimenti. In un secondo momento, tuttavia, sulla base della sopravvenuta conoscenza di informazioni sugli elementi caratterizzanti la merce in questione, annullavano il precedente annullamento in autotutela, contestualmente confermando le originarie reiezioni delle istanze di riclassificazione della merce avanzate dalla parte.

A questo punto la società proponeva ricorso giurisdizionale avverso le revoche emesse in (seconda) autotutela, che venivano ritenute legittime sia dal giudice tributario di prime cure che da quello del gravame.

Di qui il ricorso per cassazione, fondato tra l'altro sull'asserita violazione del principio di correttezza, buona fede e tutela del legittimo affidamento del contribuente, in ragione del tempo trascorso rispetto al primo annullamento, nonché sull'erroneità della (asseritamente) disposta “reviviscenza” automatica delle originarie decisioni di rigetto, annullate in (prima) autotutela.

La Suprema Corte, Sezione Tributaria, ha rigettato il ricorso della contribuente valorizzando il tempestivo riesercizio - entro il triennio dall'importazione - del potere impositivo-sostitutivo da parte dell'Amministrazione doganale.

La questione

La decisione in commento affronta la questione dell'ammissibilità e degli effetti dell'annullamento, in autotutela, di un precedente atto di annullamento dell'Amministrazione finanziaria, anch'esso emesso in autotutela.

Si tratta della peculiare ipotesi della c.d. autotutela (o annullamento) in malam partem ove la manifestazione della funzione di amministrazione attiva incide in peiussulla sfera dei diritti del contribuente, il quale, se normalmente è tutelato (di riflesso) dai ritiri in autotutela demolitoria, può essere anche inciso negativamente da provvedimenti di secondo grado emessi nell'interesse primario degli uffici tributari al conseguimento del gettito fiscale (donde l'idea che l'autotutela non sia uno strumento predisposto dall'ordinamento ad esclusiva tutela del contribuente).

All'autotutela in malam partem - secondo le indicazioni della dottrina e della giurisprudenza - non vanno ricondotti tutti i possibili provvedimenti di secondo grado aventi effetti sfavorevoli per il contribuente (quali gli atti di accertamento integrativo o modificativo in aumento ex art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, che sono strutturalmente e funzionalmente distinti dall'autotutela: così Cass. civ., sez. trib., 22 febbraio 2002, n. 2531), ma solamente quei “ripensamenti” dell'Amministrazione che annullino atti vantaggiosi per il contribuente o che rimuovano una situazione di svantaggio (per questo è più corretto parlare di annullamento in malam partem).

Si pensi al ritiro di agevolazioni fiscali precedentemente concesse, o all'annullamento di rimborsi già accordati o di provvedimenti di ammissione al condono fiscale, ed ancora alla revoca - come nel caso di specie - di precedenti atti di annullamento di atti impositivi o di irrogazione di sanzioni.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento conferma anzitutto l'ammissibilità dell'autotutela in peius e, in secondo luogo, ne fissa i limiti di esercizio.

Il potere dell'Amministrazione finanziaria di provvedere, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, in via di autotutela e con effetti retroattivi all'annullamento d'ufficio o alla revoca (ed anche alla sospensione degli effetti) degli atti illegittimi infondati, è espressamente riconosciuto dall'art. 2-quater, comma 1, del D.L. n. 564/1994, convertito in L. n. 656/1994, che rinvia ad appositi decreti ministeriali per l'individuazione degli organi competenti. Ma né la norma primaria né quella secondaria (D.M. Finanze n. 37/1997, «Regolamento recante norme relative all'esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria») prevedono la particolare ipotesi dell'annullamento d'ufficio (o della revoca) di un precedente atto di annullamento, sempre in autotutela, di un atto impositivo.

Scandisce oggi la Corte regolatrice - come già affermato in passato - che non sussistono ragioni, alla luce dei principi generali in materia, per negare la possibilità di annullare, in autotutela, anche un precedente atto di annullamento, che ben può essere rimosso dalla P.A., alla pari di ogni altro atto amministrativo e nella sussistenza delle condizioni di legge, nell'esercizio del potere, riconosciuto dall'ordinamento, di ripristino dell'assetto provvedimentale violato dall'atto illegittimo (Cass. civ., sez. trib., 8 ottobre 2013, n. 22827).

L'Amministrazione finanziaria ha pertanto due modalità di riforma di un atto in autotutela (in bonam o in malam partem):

  • il rimedio demolitorio puro(c.d. autotutela demolitoria), avente contenuto negativo, ove il “contro-atto” di secondo grado ha la medesima struttura di quello precedente (anche se a sua volta emesso in autotutela), salvo per il suo dispositivo, di segno contrario, disponendosi con il solo limite del giudicato sostanziale favorevole all'Amministrazione (art. 2, comma 2, D.M. n. 37/1997):
  1. l'annullamento in caso di vizi di legittimità,
  2. la revoca nel caso di vizi di merito;
  • Il rimedio sostitutivo (c.d. autotutela sostitutiva), avente invece contenuto positivo, perché richiede l'eliminazione - anche implicita se l'atto riformato riproduca lo stesso contenuto di quello sostituito (Cass. civ., sez. trib., 3 agosto 2007, n. 17119) - di un precedente atto illegittimo o infondato (anche se a sua volta emesso in autotutela) e la sua sostituzione con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell'atto precedente, costituiti dai destinatari, dall'oggetto e dal contenuto e, solo conseguentemente, da quelle dichiarazioni argomentative che, connettendo oggetto e contenuto, formano la motivazione del provvedimento sostitutivo.

Il tratto comune ad entrambi gli strumenti di autotutelaè che il loro esercizio non implica la consumazione del potere impositivo, sicché rimosso con effetto ex tunc l'atto di accertamento (od il precedente annullamento in autotutela) illegittimo od infondato, l'Amministrazione finanziaria conserva ed anzi è tenuta ad esercitare, nella permanenza dei presupposti di fatto e di diritto, la potestà impositiva (Cass. civ., sez. trib., 20 luglio 2007, n. 16115; Cass. civ., sez. trib., 20 giugno 2007, n. 14377).

Nella peculiare ipotesi dell'autotutela in malam partem - come ribadisce, sia pur succintamente, la decisione in rassegna - all'annullamento di un precedente annullamento dell'atto impositivo non consegue la riviviscenza automatica di quest'ultimo, essendo stato definitivamente eliminato dal mondo giuridico. L'Amministrazione finanziaria deve quindi rieditare il potere impositivo, cioè ha l'obbligo di un suo positivo esercizio mediante un nuovo atto “sostitutivo” del precedente, da adottare - si badi - entro il termine decadenziale previsto per il compimento dell'atto (Cass. civ., sez. trib., 8 ottobre 2013, n. 2282; Cass. civ., sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21719, Cass. civ., sez. trib., 16 luglio 2003, n. 11114).

Diversamente opinando - cadenza condivisibilmente la sentenza annotata - all'atto negativo a contenuto esclusivamente demolitorio (vedi supra) verrebbe ad attribuirsi un'implicita valenza di autotutela positiva la quale presuppone, invece, pur sempre l'esercizio doveroso, sotto forma di amministrazione attiva, del tipo di potere già utilizzato in sede di emissione dell'atto che l'Ufficio intende sottoporre al riesame (in termini vedi già Cass. civ., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10376).

Osservazioni

La sentenza in commento aderisce a quel condivisibile indirizzo di legittimità (più ampiamente ricostruito da Cass. civ., sez. trib., 28 febbraio 2013, n. 22827) che limita l'esercizio del potere impositivo, anche nell'ipotesi dell'autotutela positiva, al rispetto delle forme, tempi, criteri e garanzie disciplinate dalla legge, affermando che il potere di sostituzione in autotutela dell'atto impositivo incontra i limiti:

- del termine decadenziale previsto per l'esercizio dell'azione accertatrice;

- del divieto od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull'atto viziato (Cass. civ., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10376);

- del diritto di difesa del contribuente (Cass. civ., sez. trib., 26 marzo 2010, n. 7335).

Particolarmente apprezzabile è la rassegnata soluzione che - richiamando l'antico brocardo abrogata lege abrogante non reviviscit lex abrogata - esclude l'automatica reviviscenza dell'atto annullato, fenomeno che, altrimenti, si risolverebbe in un'evidente lesione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di quel contribuente che sia destinatario di un annullamento, in autotutela, in malam partem.

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