Il principio di irretroattività nel diritto tributario

19 Dicembre 2019

Il principio di tendenziale irretroattività della legge va ricondotto all'art. 6 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Va riconosciuto carattere interpretativo alle sole norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti. Il divieto di retroattività della legge, pur non essendo stato elevato a dignità costituzionale, costituisce fondamentale valore di civiltà giuridica, per cui, allorquando una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo o di ristabilire un'interpretazione più aderente all'originaria volontà del legislatore, non è precluso al legislatore di emanare norme retroattive, che però, oltre a dover espressamente contenere tale previsione di retroattività, devono altresì trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza ed essere sostenuta da adeguati motivi di interesse generale.
Massima

Il principio di tendenziale irretroattività della Legge va ricondotto all'art. 6 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

Va riconosciuto carattere interpretativo alle sole norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti. Il divieto di retroattività della legge, pur non essendo stato elevato a dignità costituzionale, costituisce fondamentale valore di civiltà giuridica, per cui, allorquando una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo o di ristabilire un'interpretazione più aderente all'originaria volontà del legislatore, non è precluso al legislatore di emanare norme retroattive, che però, oltre a dover espressamente contenere tale previsione di retroattività, devono altresì trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza ed essere sostenuta da adeguati motivi di interesse generale.

Il caso

Nel caso di specie, la contribuente aveva impugnato un avviso di accertamento, relativo ad Irpef per l'anno di imposta 2008 e 2009, con il quale l'Ufficio aveva rettificato, aumentandolo, il reddito, sulla base delle risultanze di indagini finanziarie.

La Commissione Tributaria Provinciale, pur riconoscendo legittimo il ricorso al metodo di calcolo del reddito ex art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 aveva comunque parzialmente accolto il ricorso, riducendo del 30% il reddito determinato dall'Ufficio.

La Commissione Tributaria Regionale aveva poi accolto l'appello della contribuente, ritenendo che l'Ufficio avesse provveduto ad un vero e proprio accertamento analitico, chiedendo giustificazione per ogni operazione bancaria eseguita dalla contribuente, e senza considerare le modifiche della disciplina introdotte dal D.L. n. 193/2016, con la conseguenza che gli atti erano da annullare.

La Commissione Tributaria Regionale considerava inoltre anche che la maggior parte delle operazioni erano comunque state giustificate dalla ricorrente e che per l'anno 2008 era emersa solo una minima incongruenza tra quello dichiarato e/o ritenuto giustificato e quanto accertato dall'Ufficio.

Per quanto riguardava inoltre l'anno 2009, l'Ufficio, secondo la CTR, avrebbe dovuto considerare i prelevamenti già riconosciuti legittimi e meglio quantificare preventivamente la richiesta.

L'Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 32, comma 1, numero 2, secondo periodo del d.P.R. n. 600/1973, non avendo, a suo avviso, la modifica della stessa disposizione (ad opera del D.L. n. 193/2016, che ha limitato l'efficacia delle presunzioni a versamenti e prelevamenti sopra un determinato importo) portata retroattiva.

Secondo l'Amministrazione Finanziaria la CTR era quindi incorsa in errore, in particolare laddove aveva lamentato che l'Ufficio aveva illegittimamente chiesto giustificazioni per "ogni" operazione bancaria effettuata.

La questione

Una precedente modifica dell'art. 32 cit. era stata considerata dalla Corte di Cassazione come non avente portata retroattiva (cfr., Cass. Civ., 31ottobre 2018, n. 27845), laddove, in particolare, i giudici di legittimità avevano affermato che, in tema di indagini bancarie, la presunzione legale relativa, in favore dell'Amministrazione, prevista, previa modifica dell'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, con riguardo ai versamenti effettuati su un conto corrente anche dai professionisti e dai lavoratori autonomi, non aveva efficacia retroattiva, poiché si trattava di una norma che non rivestiva natura processuale, essendo quelle in tema di presunzioni abitualmente collocate tra quelle sostanziali.

La Corte rilevava inoltre, anche in quell'occasione, che gli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo contraria espressa disposizione (Corte Cost. n. 193/2017; nello stesso senso Corte Cost. n. 257/2017; Cass. Civ., 23 febbraio 2018, n. 4407; Cass. Civ., 6 ottobre 2017, n. 23424; Cass. Civ., 30 maggio 2017, 13597), assente nel caso di specie.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte, anche la modifica in esame, riferita all'art. 32, comma 1, numero 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600/1973, non ha portata retroattiva.

Rileva infatti la Corte di Cassazione che il principio di tendenziale irretroattività della legge civile è stato già affermato anche dalla Corte di Giustizia (Grande Sezione, 6 settembre 2011, C-108/10, § 83) e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, laddove quest'ultima ha ricondotto tale principio all'art. 6 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (Raffineries greques Stran et Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 37-50; Papageorgiou c. Grecia, 22 ottobre 1997, §37; Agrati c. Italia, 8 novembre 2012, §11: quest'ultima sentenza sottolinea altresì che una norma retroattiva si giustifica solo se obbedisce a ragioni imperative di interesse generale).

E la Corte costituzionale, ricorda la Cassazione, peraltro si è ripetutamente espressa nel senso che «va riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo» (sentenze n. 132/2016 e n. 424/1993), affermando anche che «il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore» (ex plurimis: sentenze n. 232/2016, n. 314/2013, n. 15/2012, n. 271/2011).

Nella specie, tuttavia, rileva la Corte, la norma, prima del nuovo intervento del Legislatore, non prevedeva alcun limite quantitativo e quelli successivamente introdotti non costituivano certo né un chiarimento interpretativo, né una delle possibili varianti di senso della norma precedente, cosicché, nel caso di specie, la norma successiva non poteva che definirsi come avente una portata spiccatamente innovativa.

Inoltre, si sottolinea ancora, la Consulta ha anche più volte affermato che il divieto di retroattività della legge, pur non essendo stato elevato a dignità costituzionale (salvo la previsione dell'art. 25 Cost. per la materia penale), costituisce fondamentale valore di civiltà giuridica, per cui, allorquando «una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un'interpretazione più aderente all'originaria volontà del legislatore», non è precluso al legislatore di emanare norme retroattive (sentenza n. 232/2016; n. 150/2015), che però, oltre a dover espressamente contenere tale previsione di retroattività, devono altresì, al fine di superare indenni il vaglio di costituzionalità, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza ed essere sostenuta da adeguati motivi di interesse generale (ex multis, sentenze n. 232/2016, n. 69 del 2014 e n. 264/2012).

Venendo quindi al caso di specie, conclude la Cassazione, anche a voler prescindere, da un lato, come detto, dall'assenza di un'espressa menzione della retroattività del nuovo art. 32 nel corpo della legge e, dall'altro, da un'indagine circa la ragionevolezza della norma, non si riscontravano comunque quegli «adeguati motivi di interesse generale», richiamati dalla Consulta, o quelle «ragioni imperative di interesse generale», citate dalla Corte di Strasburgo, elementi necessari per sostenere la retroattività della norma.

Quanto poi ad un ipotetico «dibattito giurisprudenziale irrisolto», la Corte evidenzia come si debba considerare che la natura sostanziale e non retroattiva delle modifiche intervenute ad opera del D.L. n. 193/2016 non è mai stata posta in dubbio.

Occorreva poi altresì considerare che, in tema d'imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, giusta l'art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600/1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende anche alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l'accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2 (Cass. 16 novembre 2018, n. 29572; Cass. 20 gennaio 2017, n. 1519).

Pertanto, aveva errato la CTR laddove aveva ritenuto che l'Ufficio avesse sbagliato nel provvedere ad un vero e proprio accertamento analitico, chiedendo giustificazione per "ogni" operazione bancaria eseguita dalla contribuente, “non considerando però la modifica dell'art. 32”, quando invece, in relazione alla formulazione dell'art. 32 cit. vigente ratione temporis e per quanto sopra detto, l'Ufficio era del tutto legittimato a chiedere giustificazione per ogni operazione bancaria eseguita dalla contribuente.

Osservazioni

L'art. 11 delle Preleggi al codice civile stabilisce che “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

Specificamente, in materia tributaria, l'art. 3, comma 1, dello Statuto del contribuente (L. n. 212/2000) prevede che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”, fatti salvi i casi eccezionali delle norme interpretative ex art. 1, comma 2, dello stesso Statuto.

La Cassazione ha stabilito, in proposito, che l'irretroattività delle norme tributarie costituisce un principio generale dell'ordinamento (cfr. Cass. n. 7080/2004), limitatamente però ai profili sostanziali del rapporto tributario (cfr. Cass. n. 11274/2001), mentre è possibile l'applicazione retroattiva di norme in materia di procedure di accertamento (cfr. Cass. Civ., n. 8415/2002).

Il principio dell'irretroattività assume, quindi, una precisa valenza interpretativa, nel senso che ogni qualvolta una normativa fiscale (sostanziale) sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che comporti l'irretroattività e una che la escluda, l'interprete dovrà dare la preferenza a questa seconda interpretazione.

La ratio di tale disciplina è da ricercarsi nella necessità di garantire la preventiva ed effettiva informazione del contribuente e tutelare l'affidamento in collegamento con il principio di certezza giuridica.

Vero è che il principio di irretroattività della norma tributaria è disciplinato attraverso una legge ordinaria, laddove, quindi, proprio il rango di semplice legge, diversamente dall'ambito penale, in cui il principio di irretroattività è costituzionalmente previsto, determina la possibilità di derogare a tale divieto, seppur sempre con fonte legale avente pari rango, e sempre che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (tra i quali anche il principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.).

A tal proposito, la giurisprudenza ha per esempio anche sottolineato come costituisca una violazione dell'art. 111 Cost. l'emanazione di una norma retroattiva che incida su un procedimento in corso, nel quale l'Amministrazione finanziaria sia parte.

Il legislatore, pertanto, può emanare, nel rispetto dei principi sopra indicati, disposizioni aventi efficacia retroattiva ed in particolare leggi di interpretazione autentica e leggi innovative con efficacia retroattiva.

Nel primo caso, in cui la legge di interpretazione autentica ha la funzione di precisare il significato di una precedente disposizione legislativa, attribuendole il significato concepito originariamente, la retroattività deriva dalla tipologia della norma stessa; nel secondo caso, invece, deve esserci l'esplicita previsione del legislatore o quantomeno risultare l'inequivocabile volontà in tal senso.

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