Il regresso dell'azienda sanitaria privata verso il medico libero professionista e collaboratore. Il decalogo fissa i limiti sostanziali dell'azione

02 Gennaio 2020

In tema di danni da "malpractice" medica nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nell'ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilità dev'essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che..
Massima

In tema di danni da "malpractice" medica nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nell'ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilità dev'essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d'inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata.

Il caso

Una paziente conveniva in giudizio, nel 2005, la casa di cura e il medico collaboratore della stessa, deducendo di aver subito danni anche non patrimoniali a seguito di un triplice intervento, di mastoplastica al seno (inizialmente riduttiva, poi additiva, e infine di revisione chirurgica delle connesse cicatrici) erroneamente eseguito e non rimediato dalle operazioni successive alla prima.

La casa di cura si costituiva chiamando in manleva assicurativa la propria impresa garante, nonché il medico stesso per regresso e rivalsa.

Il Tribunale accoglieva la domanda risarcitoria, dichiarando la responsabilità solidale della struttura sanitaria e del medico, regolando i rapporti assicurativi di garanzia.

La Corte di appello confermava la decisione di prime cure osservando, in particolare, che la responsabilità del medico si estende automaticamente ex art. 1228 c.c., alla struttura che se ne è avvalsa per i propri fini permettendo l'espletamento della prestazione sanitaria, non potendo al contempo farsi alcuna differenza, quanto alla graduazione delle colpe, tra chi aveva male eseguito gli interventi e chi avrebbe dovuto assicurare un'esecuzione da parte di persona idonea.

Avverso questa decisione ricorreva per cassazione la clinica privata formulando due motivi:

  1. con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 132 c.p.c., poiché' la Corte di appello avrebbe motivato solo apparentemente sulla mancata graduazione differenziata delle colpe tra casa di cura e medico responsabile, oggetto di specifica domanda sin dal primo grado e poi con motivo di appello relativo all'omissione di pronuncia consumata in prime cure;
  2. con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione artt. 1298, 1299 e 2055 c.c., poiché' la Corte di appello avrebbe errato mancando di rilevare che, poiché non era stata addebitata alcuna censurabile condotta causativa alla struttura, non poteva porsi tale posizione sullo stesso piano di quella, colposa ed eziologica, del chirurgo, sicché avrebbe dovuto affermarsi, ai fini interni del regresso, l'esclusiva responsabilità del medico.

Come per le altre decisioni del “decalogo 2019”, il processo giunge a pubblica udienza a seguito di ordinanza interlocutoria, evidenziando la natura nomofilattica della questione sul regime dell'azione di rivalsa, ovvero di regresso nelle obbligazioni solidali, riferibile al rapporto tra struttura sanitaria e medico ritenuti responsabili.

La questione

La questione è, in effetti, di rilevante importanza e non lineare è la posizione sino ad oggi assunta dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità e di merito ed attiene, in buona sostanza, alla misura del riparto interno tra azienda ospedaliera privata e medico libero professionista del quale la prima si avvalga per esercitare l'attività d'impresa.

In verità, specie sotto la cogenza della legge n. 24/2017 (art. 9 della “Legge Gelli-Bianco” non adottabile ratione temporis a questo caso) l'azione di rivalsa ha già subito alcune restrizioni sostanziali e processuali che verranno a modificare, a breve anche sotto tali aspetti, l'azione recuperatoria intentata dalla struttura, sia essa pubblica (invero per lo più con l'azione esercitata dalla Corte dei Conti) e privata.

Questa responsabilità della struttura e del medico verso il paziente è detta “solidale” e può avere l'effetto di portare – nei rapporti interni fra detti coobbligati – ad una successiva azione di rivalsa o di surroga della azienda sanitaria (privata) verso il medico, non dipendente ma strutturato nel proprio organigramma, per una quota o per l'intero ammontare del risarcimento versato al paziente.

Mentre infatti una qualunque organizzazione aziendale deve rispondere dei danni ai terzi anche per l'operato del personale dipendente (ai sensi dell'art. 2049 c.c.), nel caso l'impresa si avvalga di collaboratori a sé legati da un rapporto libero professionale, questi ultimi possono essere chiamati a rispondere con lo strumento del regresso o della rivalsa, rispettivamente da parte del proprio datore di lavoro che abbia risarcito il danno alla vittima ovvero da parte dell'assicuratore che abbia garantito il patrimonio dell'azienda.

Così, nel mondo del contenzioso da rischio clinico, l'azienda che abbia pagato il danno al paziente (verso il quale è esposta per la responsabilità contrattuale - ex art. 1218 c.c.) può rivalersi verso il prestatore d'opera professionale, materiale esecutore della pratica clinica che abbia innescato l'errore clinico, ai sensi degli artt. 1298 e 2055 del codice civile.

Quello che rimane controverso nel nostro sistema oggi è proprio la misura di questo meccanismo di distribuzione del carico economico del risarcimento, secondo profili di colpa distinti: l'azienda per la propria organizzazione ed il medico per la commissione materiale dell'errore fatale.

È in questo solco che si è inserita la decisione in commento, prendendo proprio spunto da altre importanti e recenti sentenze della stessa Corte (n. 16488 del 5 luglio 2017 e n. 24167 del 27 settembre 2019) le quali avevano aperto questo scenario, affermando come l'accertamento del fatto imputato al sanitario non faccia venire meno i presupposti della responsabilità della struttura ne' ai sensi dell'art. 1228 c.c. (posto che l'illecito dell'ausiliario è requisito costitutivo della responsabilità del debitore), né per effetto dell'art. 1218 c.c. (sia che tale colpa riguardi la prestazione principale sia che essa riguardi l'inadempimento degli altri obblighi derivanti dal contratto di spedalità o di assistenza sanitaria).

In verità, secondo questo orientamento della Corte «l'accettazione del paziente in una struttura pubblica o privata deputata a fornire assistenza sanitaria ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale trova la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive (talvolta definito come contratto di spedalità, talvolta come contratto di assistenza sanitaria) con effetti protettivi nei confronti del terzo. Le Sezioni unite, nel confermare tale ricostruzione, hanno valorizzato la complessità e l'atipicità del legame che si instaura tra struttura e paziente, che va ben oltre la fornitura di prestazioni alberghiere atteso che, in virtù del contratto che si conclude con l'accettazione del paziente in ospedale, la struttura ha l'obbligo di fornire una prestazione assai articolata, definita genericamente di "assistenza sanitaria", che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi cd. di protezione ed accessori».

La responsabilità della struttura risiede dunque in precisi oneri organizzativi e di protezione della utenza che non possono essere allineati (come di fatto avveniva in passato) a mera attività di fornitura di servizi di degenza o accessori alla prestazione medica primaria, divenendo essi stessi parte essenziale della prestazione stessa, così elevando l'apporto della struttura ad esercizio complesso, articolato ed unitario rispetto al contributo del sanitario strutturato al proprio interno.

L'accoglimento di questo principio di collegialità della prestazione – in un'ottica di responsabilità solidale verso il paziente – ha portato quindi la giurisprudenza a ritenere che la presunzione di divisione paritaria pro quota dell'obbligazione solidale dettata dall'art. 1298 c.c. nei rapporti interni l'obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell'interesse esclusivo di alcuno di essi. Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente») debba far ritenere che la colpa vada indagata per tutti i condebitori.

Vale dunque in questi casi sempre il principio che «l'accertamento del fatto di inadempimento imputato al sanitario non fa venire meno i presupposti né della responsabilità della struttura ai sensi dell'articolo 1228 c.c. (posto che l'illecito dell'ausiliario è requisito costitutivo della responsabilità del debitore), ne' della responsabilità della stessa struttura ai sensi dell'articolo 1218 c.c. (sia che tale colpa riguardi la prestazione principale sia che essa riguardi l'inadempimento degli altri obblighi derivanti dal contratto di spedalità o di assistenza sanitaria)».

L'enunciato – che porta dunque ad una diversa distribuzione dei profili di responsabilità verso il paziente, in una offerta sanitaria cumulativa ed integrata quale quella della struttura (pubblica o privata) e del medico – è stato recepito da parte della giurisprudenza di merito più attenta.

Così si è andato ad affermare di recente il principio in base al quale non possa generalmente essere rimessa semplicemente la colpa integrale in capo al sanitario, come avviene di fatto accogliendo la domanda di rivalsa al 100%, dovendo rimanere in capo alla struttura quella quota di responsabilità che si lega tanto ad una propria obbligazione contrattuale verso il paziente, quanto ad un inadempimento degli altri obblighi derivanti dal contratto di spedalità o di assistenza sanitaria, come quello di scegliere i professionisti autorizzati ad operare per proprio conto.

Secondo tale giurisprudenza, inoltre, la struttura risponde in solido ex artt. 1298 e 2055 c.c. con il medico al punto che, se non prova che il fatto dipenda in via esclusiva dalla condotta del sanitario, la responsabilità andrà presuntivamente ripartita al 50% come previsto dagli articoli citati.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte dunque, con la decisone del “decalogo 2019” n. 28987 si uniforma e condivide le ultime pronunce rese di recente dalla stessa sezione, di fatto “sdoganando” un orientamento da tempo pacifico presso una parte della magistratura di merito.

Questo principio distributivo della colpa e dei profili di censurabili della condotta tra azienda ospedaliera e sanitario, infatti, era da tempo approdato presso una certa parte della giurisprudenza del Tribunale di Milano che, a proposito delle azioni di rivalsa/surroga delle strutture nei confronti degli esercenti la professione sanitaria, ha più volte affermato l'onere probatorio della struttura di superare presunzione di responsabilità nella misura del 50%. al fine ridurre il proprio grado di responsabilità, nonché di liberarsi dagli effetti del c.d. rischio d'impresa insita in ogni attività organizzata e, quindi, nella stessa strutture sanitaria (vedi Trib. Milano, Sez. I civ., Dott.ssa Miccicchè, sent. 20 settembre 2018 – rg 5321/2014; Trib. Milano, Sez. I civ., Dott.ssa Flamini 14 giugno 2018 n. 6743; Trib. Milano, Sez. I civ., Dott.ssa Boroni – r.g. n. 16679/2013 e Trib. Milano, Sez. I civ., 18 giugno 2019 n. 5923).

La Suprema Corte infatti afferma: «l'impredicabilità di un diritto di rivalsa integrale della struttura nei confronti del medico, in quanto, diversamente opinando, l'assunzione del rischio d'impresa per la struttura si sostanzierebbe, in definitiva, nel solo rischio d'insolvibilità del medico così convenuto dalla stessa; tale soluzione deve incontrare un limite laddove si manifesti un evidente iato tra (grave e straordinaria) "malpractice" e (fisiologica) attività economica dell'impresa, che si risolva in vera e propria interruzione del nesso causale tra condotta del debitore (in parola) e danno lamentato dal paziente; per ritenere superata la presunzione di divisione paritaria "pro quota" dell'obbligazione solidale evincibile, quale principio generale, dagli artt. 1298 e 2055, cod. civ., non basta, pertanto, escludere la corresponsabilità della struttura sanitaria sulla base della considerazione che l'inadempimento fosse ascrivibile alla condotta del medico, ma occorre considerare il duplice titolo in ragione del quale la struttura risponde solidalmente del proprio operato, sicché sarà onere del "solvens" dimostrare non soltanto la colpa esclusiva del medico ma la derivazione causale dell'evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell'ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un'ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni».

Ed ancora: «in assenza di prova (il cui onere grava sulla struttura sanitaria adempiente) in ordine all'assorbente responsabilità del medico intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile "malpractice", dovrà, pertanto, farsi applicazione del principio presuntivo di cui sono speculare espressione l'art. 1298, secondo comma, c.c. e l'art. 2055, terzo comma, cod. civ.».

In definitiva, laddove le strutture non forniscano la prova in ordine all'assorbente responsabilità del medico intesa come “grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile "malpractice" i danni riconoscibili ai pazienti dovranno essere ripartiti al 50% (in misura paritaria).

Degna di nota è anche l'affermazione che l'art. 9 della Legge n. 24/2017 non sia retroattivo («la menzionata riforma del 2017 non prevede peraltro effetti retroattivi»).

Osservazioni

Proprio in quest'ambito si cala dunque la recente decisione del “decalogo 2019” della Corte di Cassazione, qui analizzata, secondo la quale laddove la struttura sanitaria, correttamente evocata in giudizio dal paziente che si sia sottoposto ad un intervento chirurgico all'interno della struttura stessa, sostenga che l'esclusiva responsabilità dell'accaduto non sia imputabile a sue mancanze tecnico-organizzative, ma esclusivamente alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l'operazione, è sulla stessa struttura (attrice nell'azione di regresso) che grava l'onere di provare l'esclusiva responsabilità del medico .

Inutile dire che questo aspetto –fatto proprio dalla applicazione giurisprudenziale pratica – sta spostando il carico economico del risarcimento del danno da errore sanitario, ampliando al tempo stesso (secondo proprio la “ratio legis” della Legge “Gelli – Bianco”, improntata ad una tutela accresciuta del paziente) la platea dei soggetti obbligati sui quali riversare la partita economica del danno avvenuto all'interno della organizzazione sanitaria.

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