Il conferimento di denaro utilizzato per rimborsare i debiti sorti nei confronti della capogruppo è rilevante ai fini ACE
03 Febbraio 2020
Massima
La patrimonializzazione agevolabile non necessariamente si traduce in maggior disponibilità monetaria. Pertanto, anche in tutti i casi in cui non vi è una movimentazione di denaro, è possibile godere dell'ACE. Il caso
Con sentenza del 29 novembre 2019, n. 5116/16/19, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano si è occupata di una causa relativa ad un contestazione sull'abuso di diritto in relazione alla violazione della normativa sull'ACE. In particolare, è stato contestato ad una società di avere rimborsato un finanziamento erogato da società controllante della propria controllante per beneficiarie dell'agevolazione ACE. Il rilievo si baserebbe sul fatto che, attraverso un'operazione circolare, la società ricorrente sarebbe stata capitalizzata con l'utilizzo dei medesimi denari che la stessa avrebbe fornito alle proprie controllanti a seguito del rimborso di cui sopra. Da quanto si legge nella motivazione, infatti, la società aveva in essere un debito nei confronti della propria “nonna” (la controllante della propria controllante), la quale, dopo avere ricevuto i denari, gli avrebbe riversati alla propria controllata, che, a sua volta, gli avrebbe versati in conto capitale alla ricorrente. Pertanto, secondo i verificatori, l'operazione sarebbe stata portata a termine per permettere alla società accertata di usufruire indebitamente dall'agevolazione ACE. Prima, però, di procedere ad analizzare la sentenza, è opportuno soffermarsi brevemente sulla normativa ACE.
È necessario ricordare che l'ACE (aiuto alla crescita economica) è un incentivo alla capitalizzazione delle imprese, finalizzato a riequilibrare il trattamento fiscale tra le imprese che si finanziano con debito e quelle che si finanziano con capitale proprio. La normativa è disciplinata dall'art. 1 del D.L. 201/2011 e dal D.M.3.8.2017 (che ha sostituito il DM 14.03.2012), consiste nella detassazione di una parte del reddito proporzionale agli incrementi del patrimonio netto.L'agevolazione, abrogata dall' art. 1 co. 1080 dellaL. n. 145/2018 , è stata poi ripristinata dall'art. 1 co. 287 dellaL. n. 160/2019 già dal periodo d'imposta 2019.La platea soggettiva dell'agevolazione include sia i soggetti IRES residenti che le società di persone e le persone fisiche che dichiarano redditi di impresa. L'agevolazione spetta alle imprese il cui capitale proprio viene incrementato mediante conferimenti in denaro e accantonamenti di utili a riserva. In particolare, gli elementi che concorrono all'incremento della base imponibile sono:
La base imponibile viene decrementata, invece, oltre per le riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti, anche per altre operazioni, quali, ad esempio, i conferimenti in denaro a favore delle controllate, o le operazioni effettuate con soggetti del medesimo gruppo aventi ad oggetto l' acquisto di partecipazioni in società controllate o di rami d'azienda, ovvero l'incremento dei finanziamenti nei confronti delle società del gruppo. La variazione in aumento (incrementi – decrementi) del capitale proprio non può essere superiore al patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, ad esclusione delle riserve per acquisto di azioni proprie. In generale, l'agevolazione consente alle imprese di dedurre dal reddito imponibile il componente negativo derivante dal rendimento nozionale (per l'anno 2019 è stato fissato in data del 1,3%) attribuito al finanziamento delle imprese mediante capitale proprio.
La questione
Dopo avere riassunto la normativa ACE, è possibile a questo punto esaminare la sentenza in esame. L'Agenzia delle Entrate, come sopra esposto, ha ritenuto illegittimo il risparmio d'imposta ottenuto dalla società per avere agevolato il conferimento in denaro effettuato da parte della propria controllante. Per questo motivo, è stato invocato l'abuso del diritto ai sensi dell'art. 10-bis della L. n. 212/2000 (statuto del contribuente).
Si deve sottolineare che tale norma prevede che, affinché un'operazione possa essere considerata abusiva, l'Amministrazione Finanziaria deve identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi presupposti costitutivi: a) la realizzazione di un vantaggio fiscale "indebito", costituito da "benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario"; b) l'assenza di "sostanza economica" dell'operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in "fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali"; c) l'essenzialità del conseguimento di un "vantaggio fiscale".
Si deve ricordare che, come ricordato da alcuni giudici di merito (cfr. sentenza dell'11 febbraio 2019, n. 185/2019, della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte), con tale norma, il legislatore delegato ha inteso recepire la delega contenuta nell'art. 5 Legge 23/2014 e, in particolare, le lettere a) e b) le quali dispongono: «a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione; b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carica fiscale e, a tal fine: 1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell'operazione abusiva; 2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l'operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell'operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda del contribuente». Pertanto, l'Agenzia delle Entrate dovrebbe porre la verifica di questi elementi in ordine logico-cronologico (così anche Assonime nella propria Circolare 21/2016.), sicchè l'assenza di uno dei tre presupposti costitutivi dell'abuso determina un giudizio di assenza di abusività. Se, tuttavia, un'operazione presenta i tre elementi sopra indicati, non può comunque considerarsi abusiva (ai sensi del successivo comma 3) se sia giustificata da valide ragioni extrafiscali non marginali (anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa o dell'attività professionale). La soluzione giuridica
La Commissione di Milano ha ritenuto non sussistente tale abuso di diritto nell'operazione in esame. Infatti, la società ricorrente ha dimostrato che la realizzazione del proprio piano di sviluppo richiedeva l'investimento di ingenti risorse finanziarie atte a supportare gli investimenti previsti. Da qui l'esigenza di trasformare i debiti in capitale proprio, certamente operazione più idonea a supportare un piano di sviluppo di lungo periodo. Infatti, è chiaro che il capitale acquisito a titolo di finanziamento soggiace necessariamente all'obbligo restitutorio, mentre, in caso di conferimento del denaro in conto capitale, la società conferitaria non è tenuta a restituire quanto acquisito a titolo di conferimento, che diviene capitale proprio della società e, dunque, liberamente utilizzabile. Pertanto, secondo i giudici milanesi, discende la preferenza del capitale proprio (in quanto non soggetto ad obblighi restitutori) rispetto al capitale di debito (che, invece soggiace all'obbligo restitutorio) per un finanziamento di un piano di sviluppo di lungo periodo Inoltre, l'operazione in esame non avrebbe modificato la struttura del gruppo societario, che, invece, si sarebbe verificata, in caso di rinuncia del credito da parte della creditrice, la quale non controllava direttamente la ricorrente, ma era la “nonna” della stessa, non avendo il controllo diretto. La sentenza della CTP di Milano in esame è condivisibile per i seguenti motivi. In primo luogo, l'operazione contestata non è dissimile a quella esaminata dall'Agenzia delle Entrate, in una risposta ad un'istanza di interpello (la n. 21 del 2019), laddove è stato chiarito che l'utilizzo di risorse finanziarie per rimborsare un finanziamento precedentemente erogato e il loro successivo conferimento per incrementare la base ACE, non possono essere considerate di per sè operazioni elusive. Inoltre, non va dimenticato, che la Corte di Cassazione, riferendosi alla normativa relativa alla DIT, ha ritenuto non corretta la tesi dell'Amministrazione finanziaria (contenuta nella circolare del 18.1.2002 n. 4), stabilendo la legittimità dei comportamenti delle società che, anche nei periodi d'imposta successivi all'abrogazione della DIT abbiano incrementato la base di calcolo dell'agevolazione a seguito dei rimborsi dei finanziamenti (cfr. sentenza 13.9.2017 n. 21241). Conseguentemente, il rimborso di un finanziamento per utilizzare le relative risorse al fine di ottenere un'agevolazione è lecita. In conclusione, non possono dirsi indebiti i vantaggi fiscali conseguiti dai contribuenti che, rispondendo alla finalità propria della disciplina Ace, diano corso ad operazioni dirette a realizzare un effettivo incremento patrimoniale. Addirittura, non potrebbero essere considerati indebiti i vantaggi fiscali conseguiti dai contribuenti che abbiano effettivamente incrementato il proprio patrimonio al solo fine di beneficiare dell'agevolazione Ace. Osservazioni
I giudici milanesi sostengono che la patrimonializzazione agevolabile non necessariamente si traduce in maggior disponibilità monetaria. Pertanto, anche in tutti i casi in cui non vi è una movimentazione di denaro, è possibile godere dell'ACE. Tale principio è molto importante per tutti i gruppi societari che utilizzano dei conti inter-societari, dove vengono rilevati dei crediti e debiti finanziari (così OIC 14, al paragrafo 11), i quali, in caso di necessità possono essere utilizzati per incrementare il patrimonio della debitrice. Infatti, in caso di una loro rinuncia da parte del socio creditore, questi vengono iscritti tra le riserve di capitale, con rilevanza ai fini ACE, anche se di fatto non vi è stata una movimentazione di denaro nel momento della rilevazione del debito in capo alla partecipata. La suddetta tesi è confermata dalla Circolare dell' Agenzia Entrate 17.3.2005 n. 11, paragrafo, 3.3.2.1., avente per oggetto chiarimenti in merito al contrasto all'utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione. D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, dove è stato stabilito che, nei rapporti inter-societario, non è necessario un trasferimento di denaro per definire di finanziamento un debito nei confronti di un'altra società del gruppo, ma è sufficiente che il proprio conto risulti a debito, usufruendo nella sostanza di una forma di finanziamento, ancorchè indiretta. Del resto, come rilevato nel paragrafo 3.7 della Circolare Agenzia Entrate 3.6.2015 n. 21, i conti intersocietari, che non abbiano le caratteristiche dello “zero balance”, devono essere ricondotti alla categoria dei crediti da finanziamento. Conseguentemente, una loro remissione da parte del socio deve essere considerato rilevante ai fini ACE. |