Danni alla singola unità abitativa: natura personale del diritto al risarcimento e intrasmissibilità al nuovo proprietario

07 Febbraio 2020

Chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di restituzione della somma di denaro pagata da un condomino, in forza di una delibera assembleare emessa all'esito di una sentenza con la quale si era condannato il condominio al risarcimento del danno cagionato ai condomini proprietari di una delle unità immobiliare ivi situate, il Tribunale, accertato e dichiarato che i danti causa dell'attore non fossero i proprietari dell'immobile al momento in cui ebbe a verificarsi il fatto illecito causa del danno, ed accertato, di contro, che a detta data la proprietà dell'immobile fosse in capo alla società di leasing, della quale essi erano, in quel momento, meri utilizzatori, previamente dedotta la natura personale del diritto al risarcimento del danno all'immobile, qualificata la domanda come arricchimento senza causa, condannava detta società, quale terza chiamata in causa, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2041 c.c., al pagamento a favore dell'attore della somma da questi corrisposta al condominio, nella misura indicata nella domanda subordinata.
Massima

Nel caso di alienazione di un immobile, l'avente causa non è tenuto, nemmeno in via solidale con il precedente proprietario ex art. 63 disp. att. c.c., al pagamento della quota parte di spese aventi titolo nella sentenza di condanna del condominio al risarcimento del danno a favore di uno o più condomini, avendo detta obbligazione natura personale. Ne consegue che, obbligato al pagamento di quanto sia stato statuito in sentenza, a titolo sia di capitale che di spese legali, è il condomino proprietario dell'immobile all'atto del verificarsi del fatto illecito. Il nuovo proprietario che, purtuttavia, abbia scientemente pagato le spese richiestegli dal condominio in sede di riparto consuntivo, ha titolo alla restituzione delle medesime ad opera di detto soggetto, integrando il caso di specie un'ipotesi di arricchimento senza causa.

Il caso

Con atto di citazione del 12 maggio 2009, parte attrice, nel permettere di essere proprietaria di un'unità immobiliare sita in un condominio di Cagliari, acquistata dai precedenti proprietari in forza di contratto di compravendita immobiliare del 29 gennaio 2004, eccepiva che, per effetto di sentenza non definitiva del 21 aprile 1997 emessa dal Tribunale di Cagliari, che aveva accertato la responsabilità risarcitoria del condominio nei confronti di due condomini (nello specifico due usufruttuari) per danno da mancata disponibilità dell'immobile, aveva corrisposto la somma, poi rimodulata con sent. n. 298/2012 della Corte d'Appello, dovuta quale quota parte in forza di detto titolo, determinata dal condominio in sede di riparto consuntivo secondo i millesimi di proprietà. Concludeva, pertanto, chiedendo, previo accertamento, da un lato dell'obbligo, quale condomino, di corresponsione del risarcimento del danno in forza della sentenza del tribunale di Cagliari, e dall'altro dell'intervenuto versamento del dovuto, la condanna dei convenuti, quali proprietari dell'immobile al momento del fatto produttivo del danno, al pagamento, in via principale della somma di € 12.445,00 o della diversa maggiore o minore accertata in corso di causa, o, in subordine, della somma di € 5.986,36 o della diversa maggiore o minore accertata.

Costituitisi in giudizio, i convenuti chiedevano il rigetto della domanda attorea, sulla base della ritenuta non quantificabilità dell'asserito credito vantato dai condomini nei confronti del condominio, eccependo che al momento del fatto produttivo del danno non fossero proprietari dell'immobile, tale essendo, a detta data, la società di leasing, dalla quale lo avevano riscattato solo in epoca successiva al fatto illecito, ovvero il 22 marzo 2000, con acquisto della piena proprietà sono in tale momento, prima essendo dei meri utilizzatori, formulando, quindi, domanda di chiamata in causa di detta società, affinché venissero manlevati da qualsivoglia conseguenza pregiudizievole. Con vittoria di spese diritti ed onorari.

Autorizzata, nel corso di causa, la chiamata del terzo, si costituiva in giudizio la società di leasing, la quale eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, affermando la responsabilità stesse in capo ai convenuti, in quanto proprietari dell'immobile e che, comunque, la responsabilità fosse da ascrivere ai medesimi in forza del contratto di leasing, a norma del quale l'utilizzatore si era assunto la responsabilità per danni a terzi. Concludeva, pertanto, chiedendo la declaratoria della propria carenza di legittimazione passiva, in quanto estraneo ai fatti, con conseguente propria estromissione, la declaratoria di inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della chiamata in causa notificatale dai convenuti, la condanna dei medesimi per responsabilità aggravata nella misura determinata in corso di causa, con vittoria di spese.

Il Tribunale di Cagliari, dopo aver accertato, in corso di causa, che il fatto produttivo del danno si era verificato dal mese di maggio 1992 al mese di aprile 1997, e che la sentenza di condanna al risarcimento del danno era intervenuta con sentenza del Tribunale di Cagliari del 2007, poi rideterminata nel quantum dalla Corte d'Appello con sentenza n. 292/2012, chiarita, quale primo principio di diritto, la natura personale e non accessoria rispetto al diritto di proprietà del risarcimento del danno cagionato ad un immobile (Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2009, n. 15744), e, quale secondo,quellosecondo cui le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni determinano, in capo a ciascun condomino, l'obbligo di contribuirvi dal momento in cui si rende necessario provvedere ai lavori che giustificano la spesa e non da quando il debito viene determinato in concreto, affermava che, all'esito della pronuncia della sentenza di condanna nei confronti del condominio per inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni, il condomino creditore che intende agire in executiviscontro il singolo partecipante per recuperare il proprio credito, accertato dalla sentenza,deve indirizzare la propria pretesa contro colui il quale “rivestiva la qualità di condomino al momento in cui è insorto l'obbligo di conservazione e non contro colui il quale rivesta tale qualità momento della determinazione giudiziale del debito (Cass. civ., sez. II, 1 luglio2004, n. 12013). Conseguentemente il Tribunale, accertato che al momento del fatto produttivo del danno la proprietà dell'immobile apparteneva al terzo chiamato e che l'attore avesse, scientemente, adempiuto, nel versare la quota indicata nel riparto consuntivo del condominio un debito altrui, qualificata la domanda di rimborso proposta dall'attore come azione generale di arricchimento di cui all'art. 2041 c.c., condannava il legittimato passivo, individuato nel terzo chiamato, società di leasing, a pagare all'attore la somma di € 5.689,36, di cui alla domanda subordinata, con condanna della medesima al pagamento delle spese di lite all'attore ed alla convenuta costituita in riassunzione.

La questione

Nel caso esaminato, il giudice di merito viene chiamato ad affrontare la questione inerente alla natura giuridica dell'obbligazione risarcitoria avente fonte nel fatto illecito, nello specifico costituito dal danno determinato dalle parti comuni condominiali alla proprietà esclusiva di uno o più dei condomini.

Trattandosi, invero, di danno alla realità immobiliare, viene da porsi il quesito del se detta obbligazione rivesta natura personale o reale, diverso essendo, nei due casi, il soggetto legittimato passivo tenuto all'adempimento dell'obbligazione in questione.

Nel caso specifico, si trattava, quindi, di comprendere se l'obbligazione risarcitoria gravasse in capo al condomino proprietario dell'unità immobiliare nel momento in cui il condominio, in adempimento delle statuizioni di cui alla sentenza di condanna al risarcimento del danno (Tribunale di Cagliari in primis e Corte d'Appello di Cagliari a rimodulazione dell'importo di cui alla prima), era tenuto al pagamento, o, piuttosto, se la medesima gravasse su colui il quale ne era proprietario al momento in cui ebbe a verificarsi il fatto causa del danno.

Invero, nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale, l'attore non era proprietario dell'immobile allorquando ebbe a verificarsi il fatto illecito. Riguardo a detto momento si trattava, pertanto, di determinare chi fosse l'obbligato, posto che i convenuti in giudizio a tale momento erano meri utilizzatori del bene di proprietà della società di leasing, la quale, pur essendone proprietaria, invocava la clausola contrattuale che vedeva il conduttore responsabile per danni a terzi. Al fine di dare risposta a detto quesito si trattava, tuttavia, di comprendere in quale momento sorgesse l'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, aventi titolo nella sentenza di condanna risarcimento del danno e, in forza di essa, nel riparto consuntivo. Altro aspetto di non secondaria importanza riguardava la qualificazione giuridica della domanda avanzata dall'attore, considerato che il medesimo, nel chiedere la restituzione di quanto pagato, con la consapevolezza di non essere legittimato passivo della relativa obbligazione, non aveva quantificato la relativa domanda, il che, ingenerava l'ulteriore quesito del se avesse titolo alla restituzione.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza, nel decidere la questione sottoposta al proprio vaglio, analizza, preliminarmente, la questione inerente alla natura giuridica del diritto al risarcimento del danno cagionato dal condominio ad un immobile, richiamando, sul punto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui detto diritto ha “natura personale e non accessoria rispetto al diritto di proprietà” (Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2009, n. 15744),e non costituisce, pertanto, un onere condominiale ex art. 63 disp.att. c.c.

Al fine dell'individuazione dell'obbligato è, pertanto, necessario comprendere in quale momento sorga l'obbligo di pagamento in capo al singolo condomino.

Sul punto, come chiarito dalla Suprema Corte, l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni sorge quando si renda necessario provvedere ai lavori e non quando il debito viene determinato nel proprio esatto ammontare (Cass. civ., sez. II, 1 luglio 2004, n. 12013).

Nel caso di sentenza di condanna al risarcimento del danno, il momento che rileva è, pertanto, il momento in cui si è verificato il fatto illecito produttivo del medesimo.

Ne consegue che, nel caso, come quello affrontato dal tribunale, nel quale il condominio sia debitore di una somma di danaro nei confronti del singolo condomino, avente titolo nella sentenza di condanna al risarcimento del danno, il nuovo proprietario dell'immobile, avente causa da colui il quale era proprietario al momento del verificarsi del fatto dannoso, non è tenuto, evidentemente nemmeno in via solidale con il precedente proprietario, al pagamento della quota di spesa gravante sulla proprietà (Cass. civ., sez. sez. II, 3 luglio 2009, n. 15744).

Evidente corollario dei principi testé enunciati, che, allorquando il condominio sia stato condannato per inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni, il condomino creditore che intenda agire esecutivamente contro il singolo condomino per recuperare il proprio credito deve rivolgere detta pretesa a chi rivestiva detta qualità al momento in cui l'obbligo di conservazione è insorto, e non nei confronti di colui che tale era nel momento in cui il debito è stato determinato giudizialmente (Cass. civ., sez. II, 1 luglio 2004, n. 12013).

Riguardo al pagamento effettuato dall'attore, risultato pacifico in corso di causa che il medesimo nel versare la quota indicata nel riparto consuntivo, ovvero l'importo di € 5.689,36 oggetto della domanda subordinata, avesse adempiuto un debito altrui, elemento di fatto in ordine al quale non parevano esserci dubbi in capo al giudicante, richiamato il disposto di cui all'art. 1180 c.c. in tema di adempimento del terzo, e, rilevata, di contro, l'insussistenza di un automatismo che consenta al terzo la restituzione di quanto pagato, il tribunale concludeva sussumendo la fattispecie nel novero dell'azione generale di arricchimento di cui all'art. 2041 c.c., per effetto della quale condannava il terzo chiamato al pagamento di quanto sborsato dall'attore.

Osservazioni

Nel caso che ci occupa, il giudice del merito, oltre alla questione della qualificazione della natura del risarcimento del danno prodotto dal condominio alle singole unità abitative, si è trovata ad affrontare l'altra questione ad essa intimamente connessa, relativa all'individuazione del soggetto passivo dell'obbligazione, nello specifico il condomino al quale, in forza della sentenza di condanna, indirizzare la richiesta di pagamento in sede di riparto della spesa a consuntivo.

Ed, invero, essendo il danno, nel caso specifico, intimamente connesso alla realità immobiliare, parrebbe potersi ritenere, in primis, che detto esso abbia natura reale e non personale, con la conseguenza che l'obbligazione di pagamento avente fonte nella sentenza, veda, quale soggetto passivo, il condomino proprietario dell'immobile al momento del riparto della spesa.

A smentire l'apparente assunto, è intervenuta la Corte di Cassazione, che ha statuito che: “il diritto al risarcimento dei danni, ancorchè causati ad un immobile, è di natura personale e compete esclusivamente a chi sia proprietario del bene all'epoca dell'evento dannoso, subendo la relativa diminuzione patrimoniale, non costituendo invece, un accessorio del diritto di proprietà, trasmissibile automaticamente con l'alienazione dell'immobile al nuovo proprietario”(Cass. civ, sez. II, 3luglio 2009, n. 15744).

Ciò che rileva è, infatti, la diminuzione patrimoniale subita dal proprietario del bene, con la conseguenza che detto ultimo va individuato in colui il quale rivestiva detta qualifica al momento in cui l'evento dannoso si è verificato.

Detto danno, pertanto, non è qualificabile come onere condominiale, e rifugge, quindi la disciplina di cui all'art. 63 disp. att. c.c., con la conseguenza che, colui che acquista l'immobile in condominio, non è tenuto in solido con il proprio dante causa al pagamento della quota parte di spesa gravante sulla proprietà, avente titolo nella sentenza di condanna del condominio al risarcimento del danno a favore del singolo o di singoli condomini, da imputarsi ai proprietari al momento in cui si è verificato l'evento dannoso.

In linea ed a completamento di detta considerazione, sotto il profilo del diritto, ha da valersi quanto statuito dalla Corte di Cassazione che, affermato il principio di diritto secondo cui “in tema di spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, poiché l'obbligo di ciascun condomino di contribuire insorge nel momento in cui si rende necessario provvedere ai lavori che giustificano la spesa, e non quando il debito viene determinato in concreto” conclude affermando che “qualora sia pronunciata sentenza di condanna nei confronti del condominio per inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni il condomino creditore che intende agire in executivis contro il singolo partecipante per il recupero del proprio credito accertato dalla sentenza, deve rivolgere la propria pretesa, sia per il credito principale, che per quello, accessorio, relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la qualità di condomino al momento in cui l'obbligo di conservazione è insorto, non contro colui che tale qualità riveste nel momento in cui il debito viene giudizialmente determinato”(Cass. civ., sez. II, 1 luglio 2004, n. 12013).

Dall'applicazione dei principi di diritto testé enunciati consegue che, l'obbligazione di pagamento della quota di risarcimento del danno al quale è stato condannato il condominio grava sul soggetto titolare del diritto di proprietà al momento in cui il fatto che vi ha dato causa si è verificato, ergo nel momento in cui si è verificato il fatto illecito.

Ne consegue che il trasferimento dell'immobile non vale a trasmettere l'obbligazione risarcitoria, avente fonte nella sentenza di condanna al risarcimento del danno e nel successivo riparto consuntivo, in capo all'avente causa.

Pertanto, allorché quest'ultimo, vistosi destinatario, in sede di riparto consuntivo condominiale, della richiesta di pagamento in quota parte millesimale del danno a taluna delle proprietà esclusive condominiali, provveda al pagamento di quanto richiesto, pur sapendolo non dovuto, egli avrà titolo a chiedere al proprio dante causa, allorché il medesimo fosse proprietario dell'immobile al momento del fatto illecito, il rimborso della spesa sostenuta.

Trattandosi, tuttavia, di pagamento spontaneo, si pone il problema del se ed in forza di quale istituto giuridico egli abbia diritto alla restituzione di quanto pagato.

Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale, il soggetto passivo è stato individuato nella società di leasing quale proprietaria dell'immobile al momento del verificarsi del fatto illecito. Invero, all'epoca, i convenuti in giudizio erano meri utilizzatori l'immobile in forza del contratto di leasing, essendo divenuti proprietari del bene solo successivamente al riscatto, quindi in epoca posteriore al verificarsi dell'illecito.

Riguardo alla domanda di rimborso proposta in giudizio dall'attore, il Giudice, nel premettere che il pagamento dal medesimo eseguito configurava la fattispecie dell'adempimento del debito altrui di cui all'art. 1180 c.c., in applicazione del principio secondo cui do mihi factum dabo tibi ius, la riconduceva al novero di applicazione della fattispecie dell'azione generale di arricchimento di cui all'art. 2041 c.c.

A detta conclusione, il giudice addiveniva all'esito di una complessa e minuziosa trattazione, posto che, da un lato l'attore non aveva qualificato la domanda proposta in giudizio, dal che l'invocazione dei principi che precedono, dall'altro, che, nel caso di adempimento spontaneo del debito altrui, l'obbligazione si estingue, con la conseguenza che il terzo non ha automaticamente titolo ad agire nei confronti del debitore, stante la mancata configurazione, in detto caso, per carenza dei presupposti giuridici, dell'istituto della surroga, sia essa per volontà del creditore ex art. 1201 c.c., del debitore di cui all'art. 1202 c.c., o legale prevista dall'art. 1203, n. 3, c.c., posto che, da un lato il terzo non era tenuto con alcuno al pagamento del debito e, dall'altro, era consapevole di adempiere un debito altrui, dal che deriva, altresì, l'inapplicabilità dell'Istituto dell'indebito soggettivo di cui all'art. 2036, comma 3, c.c. e, di contro, l'applicabilità della fattispecie dell'arricchimento senza causa di cui all'art. 2041 c.c.

Altra importante questione trattata dal giudicante riguardava il mancato svolgimento, da parte dell'attore di una domanda diretta nei confronti della terza chiamata, con conseguente problema degli effetti giuridici della domanda nei confronti della medesima.

Il quesito trova risposta nel principio di diritto sancito dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo cui, allorquando il convenuto, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami in causa un terzo, indicato quale vero legittimato passivo e ritenuto obbligato in propria vece, si verifica l'estensione automatica della domanda al medesimo (Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2006, n. 254).

Nel caso affrontato dal Tribunale, ancorchè i convenuti non avessero formalmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, constava dagli atti di causa, nello specifico della comparsa di costituzione e risposta con chiamata in causa del terzo, che i medesimi avessero, nella sostanza, negato la propria posizione debitoria attribuendola alla società di leasing, originaria proprietaria dell'immobile, deducendo, ancorché in modo implicito, il proprio difetto di legittimazione passiva, dal che l'automatica estensione della domanda proposta dall'attore nei confronti della terza chiamata (Cass. civ., sez. un., 13 febbraio 2007, n. 3041).

Pertanto, il Tribunale, correttamente individuato il legittimato passivo della domanda proposta dall'attore nella società di leasing, aveva condannato quest'ultima a pagare l'importo corrisposto dall'attore al condominio, a titolo di ingiustificato arricchimento, ai sensi dell'art 2041 c.c., avendo egli scientemente adempiuto ad un debito facente capo a detta società.

Il quantum da restituire veniva determinato nell'importo indicato nella domanda subordinata di parte attrice, essendo l'unico del cui pagamento era stata fornita prova in giudizio.

Guida all'approfondimento

6. Guida all'approfondimento

Palmieri, Guida pratica al nuovo condominio, Milano, 2019, 163

Triola, Il nuovo condominio, Torino, 2013, 985

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