Omissione di lavori in edifici o costruzioni in rovina che cagionano pericolo e responsabilità penale dei condomini proprietari
10 Febbraio 2020
Massima
Non risponde penalmente l'amministratore che diligentemente si attiva facendo transennare la zona sottostante l'area corrispondente alla parte pericolante dell'edificio in rovina, rimandando all'assemblea condominiale o ai singoli proprietari la decisione sull'intervento risolutore. In queste ipotesi, riemerge in via autonoma la responsabilità esclusiva dei proprietari inerti che negligentemente omettono di intervenire sulle cause del pericolo, che continuano a sussistere ininterrottamente fino alla messa in sicurezza dell'immobile, malgrado gli interventi urgenti posti in essere dall'amministratore, finalizzati a circoscrivere gli effetti del pericolo. Ne consegue, pertanto, che la consumazione del reato de quo a carico dei condomini inerti si compie solo quando sono state effettivamente eseguite le opere di messa in sicurezza dell'immobile, e non al momento in cui l'amministratore aveva provveduto a transennare l'area, trattandosi di misure che incidono solo sugli effetti, ma non sulle cause del pericolo. Il caso
I proprietari condomini di un immobile in rovina e l'amministratore del condominio pro tempore vengono diffidati con ordinanza sindacale alla realizzazione delle opere di manutenzione straordinaria finalizzate al contenimento e gestione del pericolo di crollo di un edificio. In conseguenza di ciò, l'amministratore del condominio, nelle more che venga deliberato dall'assemblea condominiale un intervento risolutore, anche in considerazione del fatto che la rovina coinvolgeva parti comuni e parti di proprietà esclusiva, in virtù dei propri poteri dispone d'urgenza il transennamento dell'area sottostante l'immobile pericolante, in vista di una futura delibera assembleare che disponga opere di manutenzione straordinaria. Passano diversi anni ma l'assemblea dei proprietari condomini non delibera alcuna realizzazione di una messa in sicurezza dell'immobile e neppure a titolo individuale, relativamente alle parti di proprietà esclusiva, i destinatari dell'ordinanza del Sindaco mettono in pratica alcuna azione mirata alla eliminazione dello stato di pericolo. Perciò, il transennamento del perimetro sottostante l'edificio, quale misura temporanea ed urgente disposta dall'amministratore del condominio, finalizzata solo a tenere lontane le persone dai fabbricati, si protrae per anni e anni nell'inerzia dei proprietari-condomini e diviene l'unica misura cautelare adottata. Solo a distanza di diversi anni i proprietari delle singole unità abitative realizzavano finalmente i lavori di messa in sicurezza dell'immobile. La questione
Avverso la sentenza della Corte di Appello di condanna, la difesa degli imputati-condomini eccepisce una erronea interpretazione della legge penale, in quanto l'art. 677, comma 3, c.p. prevede che soggetto attivo del reato sia, in via principale ed esclusiva, l'amministratore del condominio, quale titolare della posizione di garanzia. Pertanto, rileva che, in primis, autore del reato debba essere considerato, a norma dell'art. 677, comma 3, c.p. “colui che è obbligato alla custodia e manutenzione dell'immobile” cioè l'amministratore del condominio, il quale peraltro, diligentemente, aveva provveduto a transennare l'area, adempiendo ai suoi doveri. Se ne desume quindi che nessuna violazione dell'obbligo vi è stata a carico dei proprietari condomini, posto che l'amministratore aveva già adempiuto ai suoi doveri circoscrivendo l'area pericolante. Ne segue quindi che il reato di “omissione di lavori su edifici in rovina che cagionano pericolo” - quale reato permanente che si protrae per tutta la durata della messa in pericolo dell'incolumità pubblica - si sarebbe consumato al momento del transennamento dell'area disposto dall'amministratore. Per tali motivi, la difesa eccepisce l'intervenuta prescrizione del reato, essendo cessato il pericolo già con l'intervento di interclusione dell'area, avvenuta ad opera dell'amministratore del condominio nel 2013, e non con la realizzazione dei lavori di messa in sicurezza, avvenuta successivamente nel 2017. Rileva, in subordine, la difesa dei proprietari che l'amministratore del condominio debba comunque essere considerato l'unico soggetto attivo responsabile dell'ulteriore protrarsi dello stato di pericolo anche successivamente alle opere di transennamento, in quanto la nomina dello stesso comporta un totale trasferimento della responsabilità penale. Si evidenzia, infatti, che i condomini interessati si erano invero attivati inoltrando una pratica al Comune di autorizzazione alla demolizione della struttura di loro proprietà, tuttavia impedita dal fatto che la demolizione coinvolgeva parti private di proprietà di altri condomini, proprietari di altre porzioni dell'edificio anch'esse pericolanti. Le soluzioni giuridiche
Ai motivi di ricorso, la Corte di Cassazione risponde con declaratoria di inammissibilità con vari argomenti. Innanzitutto, afferma che il mero transennamento dell'area non è da considerare misura tale da escludere il pericolo per la pubblica incolumità, limitandosi a tenere lontane le persone dei fabbricati; pertanto, trattandosi di reato permanente a condotta omissiva, lo stato di consumazione del reato perdura finchè il pericolo per la pubblica incolumità non sia del tutto cessato per effetto di un atto volontario dell'obbligato o per altra causa, ovvero con la messa in sicurezza dell'edificio da parte dei proprietari. Rileva, altresì, la Corte che, a prescindere dalle responsabilità di altri comproprietari dell'immobile, l'inerzia dei condomini imputati nel giudizio, peraltro destinatari dell'ordinanza sindacale di diffida alla realizzazione delle opere di manutenzione straordinaria, non può ricadere a carico dell'amministratore del condominio, soprattutto quando il protrarsi dello stato di pericolo è causato dall'omesso stanziamento dei fondi necessari per porre rimedio al degrado e alle condizioni di pericolo. Pertanto, conclude la Corte, non può ipotizzarsi alcuna responsabilità a carico dell'amministratore per non aver effettuato interventi che non era in suo materiale potere disporre, “ricadendo siffatta situazione su ogni singolo proprietario l'obbligo di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall'attribuibilità al medesimo dell'origine della stessa”. Osservazioni
I soggetti attivi del reato (l'amministratore, il proprietario, il conduttore). Il caso in questione concerne l'applicazione dell'art. 677,comma 3, c.p. il quale punisce la omissione di lavori in edifici o costruzioni in rovina che cagionano pericolo. Come è noto, tale norma individua due soggetti attivi del reato, quali autori della condotta omissiva: il proprietario e chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio o della costruzione. Si pone quindi la questione se del reato de quo possano rispondere in via autonoma i proprietari- condomini, qualora sia stato nominato un amministratore di Condominio, il quale abbia provveduto a mettere in atto misure cautelari volte a contenere e delimitare il pericolo, ma non a eliderlo completamente. Secondo la consolidata ricostruzione ermeneutica, l'amministratore è colui che, in prima battuta, se si tratta di beni comuni appartenenti all'intero condominio, è responsabile in base all'art. 677 c.p. per l'omissione di lavori di manutenzione ordinaria indispensabili. L'amministratore di uno stabile, sia che operi per conto di un solo proprietario (persona fisica o giuridica), sia che agisca per conto dell'intero condominio, ha la titolarità dei poteri attinenti alla conservazione ed alla gestione delle cose e comuni fra i quali rientra anche quello di attivarsi per la eliminazione di situazioni che possono potenzialmente causare la violazione del principio del neminem laedere. Si ritiene comunemente, alla stregua delle norme di matrice civilistica, che l'obbligo di attivarsi onde eliminare la riferita situazione di pericolo non sia affatto subordinato alla preventiva deliberazione dell'assemblea condominiale ovvero ad apposita segnalazione di pericolo tale da indurre un intervento di urgenza. Il disposto dell'art. 1130, n. 4, c.c. viene invero interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che sull'amministratore grava il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell'edificio, a prescindere da specifica autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si versi nei caso di atti cautelativi ed urgenti (Cass. pen., sez. IV, n. 3959/2009; Cass. pen., sez. IV, n. 6757/1983). Sul piano penalistico, la sussistenza di un obbligo di fonte legislativa incardina sull'amministratore una posizione di garanzia ex lege, il quale sarà quindi tenuto, in quanto tale, a vigilare sulle cose comuni e ad effettuare i necessari lavori di rimozione del pericolo derivante da minaccia di rovina e più in generale al dovere di effettuare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere di urgenza con specifico obbligo di riferirne ai condomini nella prima assemblea ai sensi dell'art. 1135, comma 2, c.c. In via sussidiaria, nella seconda categoria di soggetti attivi del reato di cui all'art. 677, comma 3, c.p. si collocano i proprietari dell'edificio, anche sui quali grava l'obbligo giuridico di conservazione in buono stato delle parti comuni e l'obbligo di rimuovere ogni situazione di pericolo che discenda dalla rovina di esse. Tale obbligo di cui all'art. 677 c.p. investe direttamente e in via principale il proprietario solo in caso di mancanza di un amministratore dell'edificio condominiale. Inoltre, l'obbligo concerne in via diretta i proprietari relativamente alle parti dell'edificio che non sono comuni ma di proprietà esclusiva. Eccetto queste ipotesi, va però evidenziato che la posizione di garanzia si riespande esclusivamente e direttamente a carico dei singoli condomini in alcuni casi enunciati dalla giurisprudenza. Ad esempio, qualora, per cause accidentali non riconducibili alla sua volontà, l'amministratore non possa adoperarsi allo scopo suindicato con la necessaria urgenza, in quanto non ha avuto tempestiva conoscenza dell'ordinanza comunale di diffida. In proposito, si annovera una recente giurisprudenza di merito, la quale ha affermato che “non risponde della contravvenzione di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina l' amministratore che abbia convocato un'assemblea condominiale straordinaria per l'approvazione di lavori urgenti ed effettui i lavori, anche se in ritardo, rispetto all'ordinanza che gli imponeva di effettuare interventi nel termine di 10 giorni se la raccomandata con la quale si chiedeva di intervenire veniva spedita nella sua residenza e non presso il condominio” (Trib.Napoli, 27 novembre 2018, n. 13613). Ancora, risorge l'obbligo a carico dei proprietari di provvedere eliminando la situazione di pericolo nel caso de quo, in cui l'amministratore abbia già provveduto in via d'urgenza, in virtù dei suoi poteri, disponendo misure cautelari temporanee e improrogabili quali l'interdizione dell'area, in attesa di una delibera assembleare. Infine, per completezza, si fa presente che il reato può essere commesso anche da chi è obbligato, per conto del proprietario, alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio o della costruzione, come ad esempio il conduttore (soprattutto in caso di leasing) se a quest'ultimo sia connaturato un obbligo di ordinaria manutenzione dell'appartamento condotto. Tuttavia, si rileva che l'estensione a carico del conduttore sarebbe in palese contrasto con il tenore letterale dell'art. 677 c.p. che menziona espressamente il solo proprietario tra i soggetti attivi, con il principio di tassatività della fattispecie incriminatrice e con il generale divieto di analogia in malam partem, e ciò anche a titolo di concorso ex art. 110 c.p. con il proprietario. Tale assunto, però, non è del tutto pacifico in giurisprudenza, soprattutto nelle pronunce più recenti che, facendo leva proprio sull'obbligo di provvedere all'ordinaria manutenzione dell'inquilino radicano un dovere di quest'ultimo di collaborare anche in caso di riparazioni urgenti e straordinarie. Il reato si consuma a condizione che dalla situazione di fatto derivi pericolo per l'incolumità delle persone. La giurisprudenza ha avuto occasione di precisare la natura di reato di pericolo concreto, che richiede, a differenza dell'illecito amministrativo previsto nel comma 1, un preciso accertamento da parte del giudice che dall'omissione dei lavori, in edifici o costruzioni che minacciano rovina, derivi il pericolo concreto per l'incolumità delle persone. Occorre precisare che, ai fini della configurazione della fattispecie, non occorre il “pericolo di crollo” dell'intero edificio, bastando il pericolo di distaccamento di una parte non trascurabile dell'edificio. Per fare un esempio, può minacciare rovina un edificio dal quale rischia di distaccarsi un pezzo del cornicione o per gli intonaci pericolanti. Infine, un'ultima notazione merita la distinzione concettuale tra crollo colposo e disastro colposo (artt. 434 - 449 c.p.) sul piano dell'offensività. La Suprema Corte ha, infatti, precisato che non occorre che il crollo assuma la configurazione del disastro colposo, ovvero di un avvenimento che per gravità e complessità possa porre in pericolo la vita e l'incolumità di un numero di persone indeterminatamente considerate, non essendo richiesta, ai fini della sussistenza della fattispecie contravvenzionale de qua, una simile diffusività e neppure che dal crollo derivi un pericolo per un numero indeterminato di persone (Cass pen., sez. IV, 14 novembre 2017, n. 51734). Un punto fondamentale che va evidenziato, anche ai fini della differenziazione dei diversi soggetti attivi del reato e dei loro poteri di intervento, concerne la differenza tra cause e effetti dello stato di pericolo concreto. Infatti, secondo la Cassazione penale l'amministratore di condominio deve “intervenire sugli effetti anziché sulla causa della rovina, ovverosia prevenire la specifica situazione di pericolo prevista dalla norma incriminatrice interdicendo - ove ciò sia possibile - l'accesso o il transito nelle zone pericolanti” (così Cass. pen. sez. IV, 21 maggio 2009, n. 21401). In definitiva, il rappresentante dei condomini non sarà imputabile laddove, pur di fronte all'immobilismo dell'assemblea, si adoperi per impedire che la parte pericolante dell'edificio possa causare un rischio per l'incolumità delle persone. E ciò riflette l'estensione dei suoi autonomi poteri, che concernono solo l'adozione di quei provvedimenti urgenti ed immediati, finalizzati a circoscrivere il pericolo. Così, nel caso de quo, il Supremo Collegio ha ritenuto correttamente che non risponde penalmente l'amministratore che si è attivato, facendo transennare la zona sottostante il cornicione che minaccia di distaccarsi, rimandando all'assemblea condominiale o alla decisione dei singoli proprietari la decisione sull'intervento risolutore, soprattutto in assenza di fondi. Al contrario, in queste ipotesi riemerge in via autonoma la responsabilità esclusiva dei proprietari inerti che negligentemente omettono di stanziare i fondi necessari per intervenire sulle cause del pericolo, che continuano a sussistere ininterrottamente fino alla messa in sicurezza dell'immobile, avvenuta doversi anni dopo. Ne segue, pertanto, che la consumazione del reato in esame a carico dei proprietari condomini è avvenuta solo nel 2017, quando sono state effettivamente eseguite le opere di messa in sicurezza dell'immobile, e non nel 2013, quanto l'amministratore, aveva provveduto a transennare l'area, in quanto la loro condotta omissiva colpevole si è protratta assai oltre le iniziate dell'amministratore. Eventualmente, sul piano soggettivo della colpa, sarebbe stato forse più proficuo valorizzare il (tentativo) di comportamento diligente dei proprietari che avevano avviato la pratica di autorizzazione comunale alla demolizione del manufatto pericolante, provvedimento che, qualora fosse stato intrapreso, certamente avrebbe eliminato del tutto lo stato di pericolo. |