I riflessi della natura esecutiva del giudizio di ottemperanza sui poteri del giudice tributario
17 Febbraio 2020
Massima
Il giudice dell'ottemperanza si deve muovere entro i confini posti dalla sentenza di cui si chiede l'esecuzione specificandone i contenuti, ma senza attribuire alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli affermati nella sentenza di merito. Il caso
La Commissione Tributaria Provinciale aveva condannato l'Ufficio a rimborsare le ritenute operate negli anni 2005, 2006 e 2007 su una pensione militare tabellare per infermità contratta durante il servizio di leva a causa della natura non reddituale di tale pensione. La sentenza passava in giudicato e l'Ufficio rimborsava le ritenute operate per gli anni 2005 - 2007. Il contribuente adiva la medesima Commissione Tributaria Provinciale in sede di ottemperanza chiedendo la condanna dell'Amministrazione al rimborso delle ritenute operate successivamente al 2007. La Commissione adita accoglieva il ricorso del contribuente osservando che, nonostante la sentenza passata in giudicato avesse disposto il rimborso solo delle ritenute operate negli anni 2005, 2006 e 2007, la statuizione giurisdizionale aveva effetti anche per gli anni successivi, sussistendo la medesima ragione che aveva giustificato il rimborso per gli anni precedenti, ossia la natura non reddituale della pensione privilegiata ordinaria. L'Ufficio proponeva ricorso per cassazione adducendo che la Commissione Provinciale in sede di ottemperanza aveva riconosciuto al contribuente un diritto che non era stato oggetto di domanda nel giudizio di merito. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19165/2019, accoglieva il ricorso dell'Ufficio affermando che il giudice dell'ottemperanza si deve muovere entro i confini posti dalla sentenza di cui si chiede l'esecuzione specificandone i contenuti, ma senza attribuire alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli affermati nella sentenza di merito. La questione
Il giudizio di ottemperanza è uno strumento processuale volto alla piena attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale in quanto permette al soggetto vittorioso in un giudizio di merito di conseguire il medesimo bene della vita riconosciutogli in sentenza, tramite la sostituzione dell'organo giudicante all'Amministrazione inadempiente. La previsione di una misura a carattere sostitutorio è fortemente all'avanguardia e contraddistingue il nostro ordinamento da quelli d'oltralpe, nei quali, invece, sono previste solo misure a carattere compulsivo, volte a sollecitare un adempimento spontaneo da parte dell'ente pubblico (sul punto si veda, in giurisprudenza, Cons. Stato, n. 2183/2013; in dottrina, Spadaro N., “L'esecuzione della sentenza amministrativa in Italia e in Francia”, in Dir. Proc. Amm., 2015, 1460). Fino alla riforma intervenuta con il D.Lgs. n. 156/2015 (in attuazione della Legge Delega n. 23/2014), in materia di esecuzione delle sentenze tributarie permaneva una forte diversità di trattamento tra Fisco e contribuente. Quest'ultimo, al fine di ottenere tutela, avrebbe dovuto attendere il giudicato, mentre l'Amministrazione finanziaria avrebbe potuto, ai sensi dell'art. 68, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, riscuotere provvisoriamente il tributo a seguito di una sentenza non ancora definitiva a lei favorevole. Essendo venuta meno l'idea che il giudizio tributario costituisca una prosecuzione del procedimento amministrativo (sul punto si veda in dottrina Allorio E., “Diritto processuale tributario”, Milano, 1962; Glendi C., “L'oggetto del processo tributario”, Padova, 1985; Tesauro F., “Il rimborso dell'imposta”, Torino, 1975; in giurisprudenza Cass. Civ., SS.UU. 3 febbraio 1986 n. 661; Cass., Sez. V, sent. 16 dicembre 2011 n. 27164) ed essendosi pienamente affermato il principio costituzionale di parità delle parti anche nel processo tributario (sul punto si veda Manzon E., “Processo tributario e Costituzione. Riflessioni circa l'incidenza della novella dell'art. 111 Cost., sul diritto processuale tributario”, in Riv. dir. Trib., 2001, 1095; Petrillo G., “Brevi note sui profili applicativo dell'art. 111 Cost. (giusto processo) al processo tributario”, in Giust. Civ., 2006, 547), i tempi erano maturi per modificare la disciplina dell'esecuzione delle sentenze tributarie. Il legislatore, all'art. 10, comma 1, lettera b), della legge n. 23/2014, indicava tra i criteri direttivi indirizzati al Governo per incrementare la giurisdizione tributaria “la previsione dell'immediata esecutività, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle commissioni tributarie”. In attuazione della delega, il Governo ha introdotto l'art. 67-bis al D.Lgs. n. 546/1992, rubricato “esecuzione provvisoria”, secondo cui “le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo”, e ha modificato gli artt. 68, 69 e 70 del D.Lgs. n. 546/1992. All'esito della riforma, il contribuente vittorioso nel merito, in caso di inadempimento dell'Amministrazione finanziaria, può adire il giudice dell'ottemperanza al fine di dare esecuzione, non più solo alle sentenze passate in giudicato, ma anche alle sentenze provvisoriamente esecutive relative o all'impugnazione di un atto impositivo, o alla condanna del Fisco a seguito di un infondato diniego espresso o tacito alla restituzione di tributi, o all'accoglimento del ricorso in materia catastale. Il legislatore della riforma ha così voluto attribuire un ruolo centrale al giudizio di ottemperanza eliminando la possibilità per il contribuente vittorioso nel merito di adire il giudice ordinario in sede di esecuzione forzata. Attualmente, dunque, l'unico strumento offerto al contribuente per portare ad esecuzione la sentenza di merito a lui favorevole, in caso di inerzia del Fisco, è il giudizio di ottemperanza dinnanzi al giudice tributario.
Nonostante che tale eliminazione appaia in contrasto sia con la direttiva espressa all'art. 10, comma 1, della Legge n. 23/2014, volta ad un “rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente”, sia con i principi di uguaglianza e ragionevolezza, in quanto tutte le sentenze, siano esse emesse dal giudice ordinario o amministrativo, possono essere attuate mediante esecuzione forzata, nella pratica ha effetti modesti (sulle perplessità sollevate dalla dottrina si veda Glendi C., “Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di Decreto delegato sul contenzioso”, in Corr. Trib., 2015, 2467; Cicala M., Genise A.A., “Osservazioni critiche sulle misure per la revisione della disciplina del contenzioso tributario”, in Il Fisco, 2015, 3355). Spesso, infatti, era molto difficoltoso per il contribuente ottenere tutela in sede di esecuzione forzata; da un lato, perché le sentenze emesse da parte delle Commissioni Tributarie o erano prive di un'espressa condanna al pagamento, o comunque, dell'esatta quantificazione delle somme e, pertanto, non erano idonee a costituire un valido titolo esecutivo, dall'altro lato, perché, anche nei rari casi in cui fossero state dei validi titoli esecutivi, l'esecuzione forzata sarebbe stata resa disagevole dalla difficile individuazione dei beni pignorabili dello Stato.
Il legislatore tributario, nonostante che sia intervenuto sul giudizio di ottemperanza dopo la riforma sull'omonimo istituto amministrativo del 2010, non ne ha ricalcato la normativa in quanto i due istituti, pur condividendo la medesima finalità, hanno una natura diversa, esecutiva quello tributario e di cognizione quello amministrativo (come vedremo infra). La sentenza n. 19165/2019 della Corte Suprema, sopra ricordata, offre l'occasione per riflettere sui poteri del giudice dell'ottemperanza nell'ambito del giudizio tributario, alla luce della natura del giudizio stesso. Le soluzioni giuridiche
Al fine di poter comprendere i poteri del giudice nell'ambito del giudizio di ottemperanza tributario appare necessario analizzare la natura di tale strumento effettuando un confronto con l'omonimo istituto amministrativo. La causa della diversa natura del giudizio di ottemperanza amministrativo e tributario è da rinvenire nella discrezionalità dell'Amministrazione. La Pubblica Amministrazione è dotata di una forte discrezionalità che le permette di effettuare un autonomo bilanciamento di interessi al fine di emettere un provvedimento amministrativo. Nel caso in cui tale provvedimento venga impugnato da parte di un privato che si ritenga leso da tale atto, il giudice che accolga la domanda, non si limiterà ad annullare il provvedimento lesivo, ma individuerà le modalità di riesercizio del potere. In tale contesto, è corretto ritenere che il giudice dell'ottemperanza possa svolgere un'attività di cognizione che gli permetta di sostituirsi all'Amministrazione stessa nel compimento di atti di natura discrezionale (sul punto si veda Buonauro C., “Il giudizio di ottemperanza: ambito di operatività e questioni problematiche”, in Esecuz. Forz., 2017, 27; Matteucci C., “Il giudizio di ottemperanza: ius superveniens e giudicato amministrativo a formazione progressiva”, in Foro Amm., 2018, 2109). L'Amministrazione finanziaria, invece, nell'applicazione del prelievo impositivo non ha margini di discrezionalità in quanto è vincolata ad attuare quanto stabilito dalla legge (sul punto si veda Perrone A, “Art. 6 della Cedu, diritti fondamentali e processo tributario: una riflessione teorica”, in Riv. Dir. Trib., 2013, 919; Del Federico L. “I principi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo in materia tributaria”, in Riv. Dir. Fin. sc. Fin., 2010, 206). Anche il giudice, pertanto, in caso di accoglimento del ricorso proposto da parte del contribuente avverso un atto impositivo, sarà totalmente vincolato a quanto stabilito dalla legge d'imposta. Conseguentemente, in sede di ottemperanza il giudice dovrà limitarsi a dare piena attuazione a quanto statuito nella sentenza di merito, senza alcuna possibilità di effettuare un bilanciamento degli interessi in gioco, impedito anche alla stessa Amministrazione finanziaria, data la natura indisponibile dell'obbligazione tributaria. Numerosi elementi della disciplina del giudizio di ottemperanza tributario danno prova della natura esecutiva di tale istituto. In primo luogo, l'esigenza del contraddittorio appare fortemente sacrificata di fronte alla necessità di speditezza dell'esecuzione. Infatti, il contribuente depositerà il ricorso in doppio originale presso la segreteria del giudice competente, a conferma del fatto che il dialogo processuale si svilupperà principalmente tra l'organo giudicante e il ricorrente, e l'Ufficio verrà portato a conoscenza del ricorso stesso tramite una comunicazione da parte della segreteria. In secondo luogo, avverso la sentenza emessa ai sensi del comma settimo dell'art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992 sarà possibile adire la Corte di Cassazione solo per far valere l'inosservanza delle norme sul procedimento, a dimostrazione del fatto che il giudice dell'ottemperanza avrà solo il potere di dare esecuzione alla sentenza di merito, senza alcuna possibilità di svolgere attività cognitiva. Infine, la scelta stessa del provvedimento di chiusura del giudizio di ottemperanza, ovvero un'ordinanza, e il suo carattere irretrattabile, tranne casi eccezionali, confermano l'intento del legislatore di voler attribuire al giudizio di ottemperanza natura esecutiva. Alla natura esecutiva del giudizio di ottemperanza consegue che il giudice al fine di dare esecuzione alla sentenza di merito sarà tenuto ad adottare i provvedimenti esecutivi più idonei a soddisfare le pretese della parte vittoriosa ma sempre entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita con il provvedimento di cui si chiede l'esecuzione. Come emerge dal settimo comma dell'art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992, infatti, il giudice dell'ottemperanza dovrà analizzare la sentenza di merito, sia nel dispositivo che nella parte motiva, al fine di ben determinare il diritto enunciato e, conseguentemente, individuare gli obblighi non adempiuti da parte dell'Amministrazione finanziaria (sul punto si veda Azzoni V., “Riflessioni a margine della impugnazione dell'atto conseguenziale per mancata notifica dell'atto presupposto e dei confini del giudizio di ottemperanza”, commento a Cass. Ord. n. 11518/2018, in Boll. Trib., 2019, 211; Azzoni V., “L'oggetto “blindato” del giudizio di ottemperanza in materia tributaria”, commento a Comm. Trib. Reg. Lombardia sent. n. 3253/2017, in Boll. Trib., 2017, 1525). Correttamente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19165/2019, ha affermato che il potere del giudice dell'ottemperanza sul comando inevaso deve esercitarsi entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita con giudicato non potendo attribuirsi alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire. Il contribuente nel proprio ricorso, pertanto, dovrà limitarsi a richiedere al giudice di portare ad esecuzione la sentenza di merito senza alcuna possibilità di proporre domande nuove, ad eccezione degli interessi anatocistici maturati prima del D.L. n. 223/2006 e la rivalutazione monetaria, ma sempre che tali domande siano già state presentate nel giudizio di merito. Data la natura esecutiva del giudizio di ottemperanza tributario, è condivisibile la scelta del legislatore della riforma di non richiamare istituti propri del giudizio di ottemperanza amministrativa di diretta espressione della natura di cognizione dello stesso, quali l'azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione del provvedimento di merito o l'applicabilità di una penalità di mora in caso di inadempimento da parte dell'Amministrazione in quanto tali previsioni presuppongono un'indagine da parte del giudice dell'ottemperanza che travalica i confini del provvedimento di merito. Osservazioni
Il giudice in sede di ottemperanza dovrà limitarsi a portare ad esecuzione la sentenza di merito, dapprima analizzando il dispositivo e la motivazione e, successivamente, adottando i provvedimenti più idonei per attribuire al contribuente il medesimo bene della vita riconosciutogli dal provvedimento di cui è stata chiesta l'esecuzione. Per tale motivo è indubbio che il soggetto più idoneo ad impartire le giuste direttive per dare piena attuazione alla sentenza di merito sia proprio colui che l'ha emessa. Ai sensi dell'art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992, infatti, il giudice competente a pronunciarsi sull'ottemperanza di sentenze passate in giudicato è, di regola, il medesimo giudice che ha emesso la sentenza di merito. Con la riforma intervenuta ad opera del D.Lgs. n. 156/2015, come abbiamo visto, è adesso possibile proporre il giudizio di ottemperanza anche per dare esecuzione a sentenze non ancora passate in giudicato. Però, in tal caso, il legislatore ha previsto un criterio di attribuzione della competenza connesso alla pendenza del giudizio. In particolare, l'art. 68, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, in relazione alle sentenze di accoglimento del ricorso comportanti la restituzione di somme indebitamente versate da parte del contribuente in corso di giudizio, prevede che, decorsi novanta giorni dalla notifica della sentenza, il contribuente possa richiedere l'ottemperanza alla Commissione Tributaria Provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla Commissione Tributaria Regionale. Analogo criterio è stato indicato al comma 5 del successivo art. 69, in relazione alle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e quelle emesse in materia di atti catastali. Tale criterio di riparto della competenza appare criticabile. Infatti, come anticipato poc'anzi, il giudice più idoneo ad impartire le giuste direttive per dare attuazione pratica alla sentenza è sicuramente colui che ha emesso il provvedimento stesso e non il giudice chiamato a pronunciarsi sulla relativa impugnazione. A ben vedere, sussistono due ipotesi in cui potrà essere competente la Commissione Tributaria Provinciale per l'ottemperanza a sentenze non ancora passate in giudicato. La prima riguarda il caso in cui l'ente impositore in primo grado si sia fatto assistere da un difensore abilitato e, dunque, al fine di proporre il giudizio di ottemperanza dovrà essere notificata la sentenza all'ente stesso; diversamente, per far decorrere il termine breve per impugnare, la sentenza dovrà essere notificata al difensore. Pertanto, potrà accadere che – entro il termine lungo di proposizione dell'appello – il giudizio di ottemperanza si svolga dinanzi al giudice di primo grado. Il secondo caso riguarda l'eventualità in cui la Commissione Tributaria Provinciale, allo scopo di conferire la provvisoria esecutività della sentenza di condanna al pagamento di somme superiori a diecimila euro diverse dalle spese di lite, abbia ritenuto necessario il rilascio di un'idonea garanzia da parte del contribuente; qui, il termine dei novanta giorni per proporre l'ottemperanza decorrerà dalla prestazione dell'idonea garanzia e nessuna sentenza dovrà essere notificata all'ente impositore, con la conseguenza che, in caso di mancata notifica, decorrerà il termine lungo per impugnare e il giudice competente per l'ottemperanza potrà, pertanto, essere la Commissione Tributaria Provinciale che si è pronunciata nel merito. Insomma, sarebbe stato preferibile adottare una soluzione analoga a quella prevista nell'ambito del giudizio di ottemperanza amministrativo. Il primo comma dell'art. 113 del D.Lgs. n. 104/2010 afferma, invero, che, in relazione ai provvedimenti emessi da parte del giudice amministrativo, siano essi o meno passati in giudicato, sarà competente il giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratti.
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