La Cassazione sui poteri e sui limiti del CTU

Ilaria Oberto Tarena
19 Febbraio 2020

La Suprema Corte si pronuncia sui poteri del consulente tecnico d'ufficio, individuando i limiti, le possibili deroghe e le conseguenze processuali della violazione dei poteri in termini di nullità insanabile.
Massima

In tema di consulenza tecnica di ufficio, lo svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al "thema decidendum" della controversia o l'acquisizione ad opera dell'ausiliare di elementi di prova (nella specie, documenti) in violazione del principio dispositivo cagiona la nullità della consulenza tecnica, da qualificare come nullità a carattere assoluto, rilevabile d'ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, in quanto le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti.

Il caso

Con il ricorso per cassazione, la ricorrente sosteneva che, durante le operazioni peritali espletate nel giudizio di appello, il consulente tecnico avesse compiuto una serie di attività al di fuori dai propri poteri.

In particolare, il CTU aveva acquisito direttamente dalla Azienda Ospedaliera convenuta documenti mai allegati agli atti di causa e ciò senza la preventiva autorizzazione da parte della Corte d'Appello.

Inoltre, il CTU non aveva allegato alla consulenza i documenti irregolarmente acquisiti, né aveva mai reso disponibile tale documentazione alle parti.

La ricorrente riferiva peraltro che i documenti acquisiti erano già stata prodotti proprio dalla ricorrente ma che nella versione acquisita dal CTU risultavano difformi rispetto a quelli in possesso della ricorrente.

Sotto altro profilo, con il ricorso per cassazione, la ricorrente lamentava che la Corte d'Appello non aveva concesso alle parti termine per replicare alla consulenza, oltre al termine per il consulente tecnico per replicare a sua volta alle osservazioni delle parti.

Nel giudizio di appello, la ricorrente aveva eccepito la nullità della consulenza tecnica, ma la Corte d'Appello aveva rigettato l'eccezione reputando che la CTU non fosse affetta da nullità. Nel merito, la Corte d'Appello aveva rigettato anche il gravame.

La questione

Quali sono i limiti ai poteri istruttori del consulente tecnico d'ufficio? Sono previste eventuali deroghe a tali poteri?

Le soluzioni giuridiche

Per risolvere tale problematica, la Cassazione ha esaminato i tre diversi orientamenti giurisprudenziali.

Secondo il primo e più risalente orientamento, il consulente tecnico avrebbe il potere di compiere ogni e qualsiasi indagine ritenga utile per lo svolgimento del proprio incarico e potrebbe quindi “accertare i fatti storici prospettati dalle parti (…) assumere di sua iniziativa informazioni ed esaminare documenti non prodotti in causa, anche senza l'espressa autorizzazione del giudice (Cass. civ., sez. L, sent. 7 novembre 1987 n. 8256; Cass. civ., sez. L, sent. 30 maggio 1983 n. 3734).

Questo orientamento è quello maggiormente permissivo, giacché consente al CTU di utilizzare, per rispondere ai quesiti, anche elementi e documenti acquisiti attraverso lo svolgimento di attività non autorizzate, con la sola condizione che tali attività concernano l'oggetto dell'accertamento demandato al CTU. Il CTU potrebbe quindi acquisire documenti dalle parti, ma anche dai terzi, e, inoltre, potrebbe riceverli quando siano già spirati i termini per le parti.

Il secondo orientamento ritiene di poter stabilire quali siano i poteri istruttori del consulente tecnico in base al compito che gli viene demandato da parte del Giudice.

Quando al CTU sia richiesto di valutare i fatti già accertati dal giudice o incontroversi tra le parti (c.d. consulenza “deducente”) i poteri del consulente saranno confinati a quanto è già stato provato.

Quando invece al CTU sia demandato di accertare determinate situazioni di fatto non ancora dimostrate in giudizio e ciò sia possibile accertare solo con l'ausilio di speciali cognizioni tecniche (c.d. consulenza “percipiente”), il consulente tecnico non incontrerebbe alcun limite nell'accertamento dei fatti.

Esiste poi un terzo orientamento giurisprudenziale, quello più rigoroso, secondo il quale il consulente tecnico non potrebbe mai indagare su questioni che non siano state già prospettate dalle partiaccertare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione perché ciò violerebbe il principio che addossa alle parti l'onere della prova.

In tutti e due i casi, sarebbe inoltre violato il principio della parità delle parti, giacché la consulenza tecnica avrebbe l'effetto di aiutare la parte che abbia trascurato di allegare o provare, nei termini di legge, i fatti dimostrativi del proprio diritto o della propria eccezione.

In base a quest'ultimo orientamento, al CTU non spetterebbe quindi alcun potere di supplenza delle parti poiché il CTU non potrebbe mai introdurre nel processo fatti nuovi, o ricercare di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione, per come dedotti dalle parti. Sul punto si veda la sentenza Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2015 n. 12921.

Questo rigoroso orientamento ammette due sole deroghe ai divieti imposti al CTU, sostenendo che, anche in caso di consulenza “percipiente” il CTU potrebbe compiere indagini esplorative e accertare di sua iniziativa fatti materiali soltanto in due casi:

a) quando si tratti di "fatti accessori e rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza", con esclusione quindi dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni (Cass. civ., sez. I, ord. 15 giugno 2018 n. 15774);

b) oppure quando l'indagine officiosa del CTU sia necessaria per riscontrare la veridicità dei fatti allegati dalle parti e l'attendibilità dei mezzi di prova da esse offerti (Cass. civ., sez. II, sent. 14 novembre 2017 n. 26893; Cass. civ., sez. III, sent. 23 giugno 2015 n. 12921).

Il terzo orientamento esclude invece che il consulente possa acquisire documenti mai ritualmente prodotti in causa dalle parti.

Conseguentemente, in base al terzo orientamento, l'accertamento dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni resta sempre compito del giudice, e mai del consulente e le valutazioni conclusive del CTU, pertanto, debbono sempre intendersi soggette alla regola del "rebus sic stantibus" e cioè valide a condizione che anche il giudice, valutato il materiale probatorio utilizzato dal CTU, ritenga condivisibile la ricostruzione dei fatti come compiuta da quest'ultimo, e la faccia propria (Cass. civ., sez. III, sent. 10 maggio 2001 n. 6502).

a) I LIMITI AI POTERI DEL CTU

La Suprema Corte ha ritenuto che l'orientamento preferibile fosse il terzo e ciò per tre motivi.

I) il terzo orientamento è l'unico coerente coi principi costituzionali di parità delle parti di fronte al giudice (perché non attribuisce al CTU poteri istruttori officiosi che altererebbero la parità delle parti) e di ragionevole durata del processo (perché se il CTU potesse compiere un'istruttoria "parallela" rispetto a quella del Giudice, le parti sarebbero costrette a confrontarsi con prove acquisite dopo il maturare delle preclusioni istruttorie, rispetto alle quali non potrebbe negarsi loro il diritto alla controprova, con conseguente allungamento dei tempi del processo).

II)Il terzo orientamento è inoltre preferibile poiché consente di interpretare sistematicamente l'art. 194 c.p.c. che disciplina i poteri del CTU, con le norme e i principi del codice di procedura civile. L'effetto di tale interpretazione sistematica è quello di porre a poteri del CTU due limiti insuperabili e ciò al fine di evitare che le facoltà del CTU sia sconfinate.

In particolare, il CTU si deve attenere a due divieti:

- il divieto di indagare su questioni che non sono state prospettate dalle parte nei propri scritti difensivi e entro i termini preclusivi giacché, diversamente, il CTU amplierebbe il thema decidendum;

- il divieto di compiere atti istruttori ormai preclusi alle parti oppure riservati al giudice

III) Da ultimo, secondo la Suprema Corte, il terzo orientamento è preferibile anche per quanto riguarda l'interpretazione finalistica. Se si concedesse infatti al CTU la possibilità di acquisire documenti dalle parti o da terzi anche dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie, i termini previsti dall'art. 183, comma 6, c.p.c. sarebbero di fatto abrogati.

A fronte di ciò, la Suprema Corte ha ritenuto di interpretare così l'art. 194 c.p.c.:

1) al CTU possono essere demandate soltanto indagini aventi ad oggetto la valutazione (in caso di consulenza deducente) o l'accertamento (in caso di consulenza percipiente) dei fatti materiali dedotti dalle parti;

2) il CTU può richiedere alle parti soltanto i chiarimenti idonei ad chiarire passi oscuri od ambigui degli scritti difensivi, con il divieto di introdurre nel giudizio di nuovi temi di indagine;

3) il CTU può domandare a terzi informazioni solamente su fatti secondari e strettamente tecnici, (senza che le stesse si trasformino in prove testimoniali) e non possono avere ad oggetto documenti che le parti avrebbe potuto depositare in giudizio.

b) LE DEROGHE AI LIMITI DEI POTERI DEL CTU.

La Corte di Cassazione individua due possibili deroghe ai poteri del CTU:

  • possibilità per il CTU di derogare al principio dell'onere della prova indagando su fatti che sarebbe stato teoricamente onere della parte interessata dimostrare, quando per la parte sia assolutamente impossibile provare il fatto costitutivo della sua domanda o della sua eccezione, se non attraverso il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche;

  • possibilità per il CTU di acquisire fatti c.d. "accessori" o "secondari", di rilievo puramente tecnico, quando il loro accertamento sia necessario per una esauriente risposta al quesito o per dare riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti.
Osservazioni

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha posto limiti stringenti ai poteri del CTU al fine di evitare che sia alterata la parità delle parti nel processo e sia posto nel nulla il sistema delle preclusioni previsto dal codice di procedura civile, oltre a garantire il rispetto del principio dispositivo.

Diversamente, infatti, se il CTU potesse introdurre nel processo fatti non allegati dalle parti, lo stesso potrebbe supplire alle loro mancanze, con la conseguenza di ampliare il thema decidendum.

Conseguentemente, nello svolgimento della consulenza tecnica, il CTU deve espletare il suo incarico nel rispetto di tutte le norme ed i principi del codice di procedura civile che gli impongono di: a) non indagare d'ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti; b) non acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione, né acquisire dalle parti o da terzi documenti che forniscano quella prova; c) acquisire dai terzi soltanto la prova di fatti tecnici accessori e secondari, oppure elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti.

A tali divieti non possono derogare né il giudice (per il quale potrebbe comportare un'ipotesi di responsabilità professionale) né le parti prestando acquiescenza.

Coerentemente con questo orientamento rigoroso, la Suprema Corte ha affermato altresì che quando il CTU non rispetti i limiti dei suoi poteri, la conseguenza processuale sia quella della nullità assoluta della consulenza tecnica (e non relativa come sostenuto da un risalente orientamento).

Tale nullità è quindi insanabile e non può essere superata dall'acquiescenza delle parti.

La nullità è rilevabile d'ufficio dal giudice e pertanto non è indispensabile che la parte la eccepisca nella prima difesa successiva al compimento dell'atto nullo.

Nel caso oggetto di sentenza, la Suprema Corte ha rilevato che sussistevano numerose violazioni dei principi espressi e ha pertanto reputato che la Corte d'Appello aveva errato nel ritenere che la consulenza tecnica non fosse nulla.

Da ultimo, la Suprema Corte si è soffermata anche sulla mancata concessione da parte della Corte d'Appello del termine alle parti per l'invio delle osservazioni alla bozza di consulenza e ha ritenuto che la consulenza tecnica fosse nulla anche per tale ragione in quanto la parte era stata privata della possibilità di compiere un atto difensivo.

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