La rinuncia da parte dei soci ai loro crediti di qualsiasi natura dovrebbe rilevare ai fini ACE

Fabio Gallio
02 Marzo 2020

La patrimonializzazione non necessariamente si traduce in maggior disponibilità monetaria. Di conseguenza, non possono dirsi indebiti i vantaggi fiscali conseguiti dai contribuenti che, rispondendo alla finalità propria della disciplina Ace, diano corso ad operazioni dirette a realizzare un effettivo incremento patrimoniale...
Massima

La patrimonializzazione non necessariamente si traduce in maggior disponibilità monetaria. Di conseguenza, non possono dirsi indebiti i vantaggi fiscali conseguiti dai contribuenti che, rispondendo alla finalità propria della disciplina Ace, diano corso ad operazioni dirette a realizzare un effettivo incremento patrimoniale. Addirittura, non potrebbero essere considerati indebiti i vantaggi fiscali conseguiti dai contribuenti che abbiano effettivamente incrementato il proprio patrimonio al solo fine di beneficiare dell'agevolazione Ace

Il caso

A seguito del ripristino della normativa ACE da parte dell'art. 1 comma 287 della L. 160/2019, la quale era stata abrogata dall'art. 1 comma 1080 della L. 145/2018, ritornano di attualità alcune problematiche che erano sorte in passato per la determinazione della relativa agevolazione.

In particolare, ci si riferisce alla possibilità da parte di una società di fare concorrere alla determinazione dell'incremento di patrimonio le rinunce ai crediti di natura commerciale effettuate dai soci.

Infatti, come si avrò modo di esporre, l'Agenzia delle Entrate ritiene che possono essere rilevanti solo gli incrementi di patrimonio collegati a remissione di importi relativi crediti di natura finanziaria.

Prima, però, di verificare se tale conclusione sia condivisibile, è opportuno soffermarsi brevemente sulla normativa ACE.

Le questioni giuridiche

E' necessario ricordare che l'ACE (aiuto alla crescita economica) è un incentivo alla capitalizzazione delle imprese, finalizzato a riequilibrare il trattamento fiscale tra le imprese che si finanziano con debito e quelle che si finanziano con capitale proprio.

La normativa è disciplinata dall'art. 1 del D.L. 201/2011 e dal D.M. 3.8.2017 (che ha sostituito il D.M. 14.03.2012), e prevede la detassazione di una parte del reddito proporzionale agli incrementi del patrimonio netto.

La platea soggettiva dell'agevolazione include sia i soggetti IRES residenti che le società di persone e le persone fisiche che dichiarano redditi di impresa.

L'agevolazione spetta alle imprese il cui capitale proprio viene incrementato mediante conferimenti in denaro e accantonamenti di utili a riserva.

In particolare, gli elementi che concorrono all'incremento della base imponibile sono:

  • conferimenti in denaro versati dai soci o partecipanti nonché quelli versati per acquisire la qualificazione di soci o partecipanti; si considera conferimento in denaro la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti verso la società nonché la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale.
    I conferimenti eseguiti in attuazione di una delibera di aumento di capitale rilevano se tale delibera è assunta successivamente all'esercizio di riferimento (cioè all'esercizio precedente quello in cui si registra la variazione in aumento rilevante ai fini ACE);
  • utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili.

La base imponibile viene decrementata, invece, oltre per le riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti, anche per altre operazioni, quali, ad esempio, i conferimenti in denaro a favore delle controllate, o le operazioni effettuate con soggetti del medesimo gruppo aventi ad oggetto l'acquisto di partecipazioni in società controllate o di rami d'azienda, ovvero l'incremento dei finanziamenti nei confronti delle società del gruppo.

La variazione in aumento (incrementi – decrementi) del capitale proprio non può essere superiore al patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, ad esclusione delle riserve per acquisto di azioni proprie.

In generale, l'agevolazione consente alle imprese di dedurre dal reddito imponibile il componente negativo derivante dal rendimento nozionale (per l'anno 2019 è stato fissato in data del 1,3%) attribuito al finanziamento delle imprese mediante capitale proprio.

L'art. 5, comma 2, del Decreto ACE del 14.03.2012, tra l'altro riproposto anche dal D.M. del 3.8.17, dispone che rileva come elemento positivo della variazione del capitale proprio, tra l'altro, "(…) la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti verso la società (…)".

In merito alla questione della natura dei crediti, la cui rinuncia permette di godere dell'agevolazione,

la relazione illustrativa del Decreto Ace del 2012 di cui sopra ha chiarito che, in coerenza con il dettato normativo, la rinuncia ai crediti o la loro compensazione riguarderebbe esclusivamente i crediti aventi natura finanziaria, cioè derivanti da precedenti finanziamenti in denaro.

L'Agenzia delle Entrate, nel paragrafo 3.12. della Circolare del 3.6.2015 n. 21, ha sostenuto che il chiarimento contenuto nella relazione illustrativa integrerebbe il dettato normativo, il quale si è limitato a stabilire le tipologie di elementi da considerare come variazioni positive del capitale proprio, escludendo qualunque tipologia di credito avente natura commerciale, cioè non derivante da precedenti finanziamenti in denaro, sia in caso di rinuncia da parte dei soci sia in caso di loro compensazione.

Pertanto, in considerazione dell'esigenza di conciliare gli aspetti fiscali, le cui motivazioni sono state chiarite dalla relazione illustrativa del Decreto Ace, e gli aspetti contabili, disciplinati dall'aggiornamento del citato principio contabile OIC n. 28, su cui ci si soffermerà successivamente, l'Agenzia ritiene che l'apporto che origina dalla rinuncia ai crediti (o la loro compensazione) rileva, ai fini ACE, solo nell'ipotesi in cui il credito rinunciato (compensato) deriva da un precedente finanziamento in denaro.

Pertanto, secondo la tesi erariale, il legislatore avrebbe voluto dare rilievo alla circostanza che all'origine del diritto di credito ci sia un flusso di denaro per evitare che, ammettendo la rilevanza delle rinunce e delle compensazioni di tutte le tipologie dei crediti, la disciplina ACE sia esposta a facili arbitraggi volti a trasformare gli apporti in natura in apporti di capitale.

Tale conclusioni non sono condivisibili per i seguenti motivi.

Le soluzioni

Come si ha avuto modo di esporre, l'ACE ha lo scopo di favorire le società che sono patrimonializzate attraverso, sia l'inserimento di nuova liquidità (conferimenti di denaro, penalizzando la loro restituzione), sia il trattenimento di risorse al loro interno (accantonamento di utili, penalizzato la loro distribuzione).

Come si evince chiaramente dal dettato normativo, concorrono a formare la base imponibile dell'agevolazione anche le rinunce ai crediti da parte dei soci, che secondo il principio contabile OIC 28, vanno ad incrementare il patrimonio della società partecipata.

Infatti, il par. 36 di tale OIC prescrive che: “La rinuncia del credito da parte del socio – se dalle evidenze disponibili è desumibile che la natura della transazione è il rafforzamento patrimoniale della società – è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio a prescindere dalla natura originaria del credito”.

Pertanto, la rinuncia del socio al proprio credito trasforma il valore contabile del debito della società in una posta di patrimonio netto, salvo il caso in cui la rinuncia abbia origine per tutt'altra ragione rispetto al rafforzamento patrimoniale della partecipata, come, ad esempio, ove questa avvenga nell'ambito di una ordinaria negoziazione conseguente ad una lite commerciale fra le parti; fattispecie, tuttavia, piuttosto inusuale nell'ambito dei rapporti infragruppo.

Come si evince dal principio contabile appena citato, ogni tipologia di credito, che sia finanziario o commerciale, porta al medesimo risultato: la capitalizzazione della società partecipata.

L'Agenzia delle Entrate, come sopra verificato, asserisce che solo i crediti finanziari possono essere oggetto di una rinuncia valevole ai fini ACE.

Tale interpretazione non sarebbe coerente con l'intento del legislatore, dal momento che anche la remissione dei crediti commerciali comporta, in ogni caso, una patrimonializzazione della società, evitando alla società debitrice di trasferire liquidità al socio creditore.

Del resto, l'agevolazione viene concessa alle società che trattengono risorse, incrementando, così, il loro patrimonio. E questo risultato può essere raggiunto anche attraverso la mancata uscita dei denari necessari per pagare un credito commerciale, il cui importo, attraverso la remissione del socio creditore, incrementa il patrimonio della società debitrice.

Ad ogni modo, il dettato letterale della normativa ACE, l'attuale D.M. 03 agosto 2017, così come la versione del 2012, non prevedono una distinzione tra crediti commerciali e quelli finanziari.

Tale impostazione è mantenuta anche per altri istituti contenuti nella normativa tributaria valevole ai fini delle imposte dirette, che cercano di favorire la capitalizzazione delle società.

Si pensi, ad esempio, a quanto previsto dall'art. 88, comma 4-bis, del TUIR, il quale disciplina la tassazione delle sopravvenienze attive generate da una rinuncia del credito da parte del socio, prevedendo generalmente la non tassazione di tali componenti positivi. Anche in questo caso il regime di favore vinee concesso in quanto viene patrimonializzata la società partecipata. In tale disposizione, come nella normativa ACE, non viene effettuata nessuna distinzione tra credito commerciale e quello finanziario, e non risulta che la rinuncia di un credito commerciale possa comportare il venire meno del suddetto regime.

Con riferimento a tale normativa, autorevole dottrina (Leo, Le imposte sui redditi, edizione 2018) ha ricordato, che: “Per effetto delle modifiche apportate dal decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557 all'art. 55, comma 4 del vecchio T.U.I.R. [ora art. 88, comma 4 del T.U.I.R.] la disciplina della detassazione delle rinunce ai soci si applica a tutte le tipologie di crediti di natura sia finanziaria che commerciale. Si tratta di un'impostazione coerente con quella prevista dai principi contabili; infatti, il principio OIC 28 precisa che la rinuncia del credito da parte del socio – che si concretizza in un atto formale effettuato esplicitamente nella prospettiva del rafforzamento patrimoniale della società – è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio a prescindere dalla natura originaria del credito”.

Pertanto, tale interpretazione contabile dovrebbe valere anche ai fini ACE, malgrado l'Agenzia delle Entrate non sia concorde.

E' necessario, a questo punto, sottolineare, che la distinzione tra crediti commerciali e quelli finanziari è stata riportata solamente dalla relazione al D.M. del 2012, mentre in quella del D.M. del 2017 non viene più rimarcata. Pertanto, si potrebbe sostenere che l'affermazione del 2012 sia stata superata, tenendo conto dei nuovi principi contabili.

Del resto non va dimenticato, che la relazione illustrativa del 2012 è stata redata quando il principio contabile prevedeva una netta distinzione tra rinunce di crediti commerciali e quelle di poste finanziarie: solo quest'ultime venivano portate direttamente ad aumento di patrimonio netto.

Osservazioni

A favore della tesi diversa da quella dell'Agenzia delle Entrate, si è espressa la giurisprudenza di merito.

In particolare la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza in commento, ha stabilito che l'interpretazione erariale non è corretta, in quanto pone alla norma un limite non espressamente previsto, nemmeno dalla normativa di attuazione.

Tale decisione è stata presa a seguito di un ricorso presentato contro un accertamento con il quale l'ufficio avrebbe interpretato la norma agevolativa (confortato dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 12/E/2014) nel senso che incrementi rilevanti ai fini della agevolazione sarebbero solo, quanto ai conferimenti in danaro dei soci, crediti derivanti da precedenti finanziamenti in danaro.

La Commissione del Lazio, ha osservato che includere tra i "conferimenti in danaro" le rinunzie dei soci a crediti pecuniari, anche non originati da finanziamenti alla società ai sensi dell'art. 2467 c.c., risulta del tutto coerente con la ratio della norma agevolativa, che è quella di favorire l'autofinanziamento delle società in crisi, mediante ricorso a risorse proprie, conferite a capitale per rafforzare la struttura patrimoniale della società stessa.

Rispetto a tale finalità, dichiarata dallo stesso legislatore, la distinzione operata con propria interpretazione dall'Agenzia delle entrate, tra crediti originati o meno da finanziamento alla società, oltre a porre un limite non previsto dalla legge, risulta invece restrittiva dell'ambito di operatività della norma, non conserva alcun senso nel nuovo contesto contabile, né può trovare la sua giustificazione nella tutela della sfera dei diritti dei terzi creditori della società, atteso che, come ha rilevato la Corte di cassazione, la trasformazione dei crediti commerciali in capitale a rischio non pregiudica i diritti di terzi (Cass. n. 3946/2018 che ammette la compensazione di crediti anche commerciali dei soci con debiti da aumento di capitale della società) ed anzi amplia la garanzia generica del creditore.

Di conseguenza la tesi erariale è stata respinta.

Anche la Commissione Tributaria Provinciale di Milano sembra confermare il principio secondo il quale è rilevante la patrimonializzazione della società, anche se non vi è stato un movimento di denaro, purchè, ovviamente, non si rientri nelle fattispecie espressamente escluse, quali i conferimenti in natura che non rilevano ai fini ACE.

Con sentenza del 29 novembre 2019, n. 5116/16/19, infatti, i giudici di Milano si sono è occupati di una causa relativa ad una contestazione sull'abuso di diritto in relazione alla violazione della normativa sull'ACE.

In particolare, è stato contestato ad una società di avere rimborsato un finanziamento erogato da società controllante della propria controllante per beneficiarie dell'agevolazione ACE.

Il rilievo si baserebbe sul fatto che, attraverso un'operazione circolare, la società ricorrente sarebbe stata capitalizzata con l'utilizzo dei medesimi denari che la stessa avrebbe fornito alle proprie controllanti a seguito del rimborso di cui sopra.

Da quanto si legge nella motivazione, infatti, la società aveva in essere un debito nei confronti della propria “nonna” (la controllante della propria controllante), la quale, dopo avere ricevuto i denari, gli avrebbe riversati alla propria controllata, che, a sua volta, gli avrebbe versati in conto capitale alla ricorrente.

Pertanto, secondo i verificatori, l'operazione sarebbe stata portata a termine per permettere alla società accertata di usufruire indebitamente dall'agevolazione ACE.

La CTP, accogliendo il ricorso, ha sancito che: “La patrimonializzazione non necessariamente si traduce in maggior disponibilità monetaria. Di conseguenza, non possono dirsi indebiti i vantaggi fiscali conseguiti dai contribuenti che, rispondendo alla finalità propria della disciplina Ace, diano corso ad operazioni dirette a realizzare un effettivo incremento patrimoniale. Addirittura, non potrebbero essere considerati indebiti i vantaggi fiscali conseguiti dai contribuenti che abbiano effettivamente incrementato il proprio patrimonio al solo fine di beneficiare dell'agevolazione Ace”.

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