Antieconomicità, incongruenza tra costi e ricavi e presupposti per accertamento analitico induttivo
09 Marzo 2020
Massima
La presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l'antieconomicità del comportamento del contribuente, consente di desumere, in via induttiva, ai sensi dell' articolo 39, comma 1 lett. d), d.P.R.. n. 600/1973 , il reddito del contribuente, anche attraverso il confronto delle incongruenze tra i ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati, e quelli che invece sono desumibili dagli studi di settore relativi alla specifica attività svolta, incombendo sullo stesso l'onere della prova contraria.Il caso
La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 568 del 15/01/2020, ha chiarito i presupposti per procedere ad accertamento analitico induttivo, in particolare in presenza di condizioni di antieconomicità e incongruenza tra costi e ricavi. Nel caso di specie, l'Ufficio rideterminava la posizione reddituale del contribuente, avendo rilevato maggiori ricavi del reddito d'impresa sulla base dello scostamento degli indici risultanti dall'applicazione degli studi di settore. Il contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, deducendo l'illegittimità e l'erroneità dell'avviso, in quanto basato su di una serie di presunzioni e prove a suo avviso illogiche e infondate. La Commissione di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando in minus i maggiori ricavi del reddito di impresa. La Commissione Tributaria Regionale respingeva poi l'appello del contribuente, confermando integralmente la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale. La contribuente proponeva infine ricorso per Cassazione, deducendo, con un primo motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione dell'art. 6 della legge n. 177 del 2000, dell'art 10, comma 3 bis, della legge n. 146 del 1998 e dell'art. 5 del Dlgs. n. 218 del 1997, non avendo la CTR rilevato la nullità dell'accertamento per mancato invito al contraddittorio endoprocedimentale. La ricorrente censurava poi la violazione degli artt. 62-sexies del D.L. n. 331/1993, conv. in L. 427/1993, in relazione all'art. 39, comma 1, lett. d), del Dpr. 29/09/1973 n. 600 e 54 del d.P.R. n. 633/1972, per non aver la Commissione di secondo grado fondato la sua decisione sulla verifica della sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, sulle quali, poi, avvalorare i parametri di cui agli studi di settore. Con altra censura la ricorrente deduceva infine la violazione e falsa applicazione dell'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.r. n. 600 del 29/09/1973 nella parte in cui i giudici di merito non avevano considerato che l'accertamento induttivo è consentito solo laddove dalle ispezioni e dalle verifiche effettuate a carico del contribuente emerga l'irregolarità della contabilità, cosa che non era avvenuta nella fattispecie in esame.
La questione
L'accertamento fiscale da cui muoveva la controversia era dunque un accertamento di tipo analitico-induttivo, che originava dall'analisi dei costi sostenuti ed esposti in contabilità dall'impresa, per giungere a ritenere insufficienti i ricavi dichiarati e ciò anche sulla base dei ricavi e delle spese applicati in esercizi consimili, relativi a diverse annualità. Quanto alla verifica della contabilità e all'applicabilità del metodo analitico-induttivo, la giurisprudenza di legittimità ha peraltro già affermato che, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, i ricavi possono essere ritenuti falsi anche in base alla loro sproporzione, per difetto, rispetto ai costi. In tale contesto, è quindi possibile un accertamento analitico-induttivo, il quale tenga conto delle poste passive indicate dal contribuente per ricostruire i ricavi effettivi (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20422 del 21/10/2005), essendo stato in particolare chiarito che «l'accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell'art. 39, primo comma, lett. d), del Dpr. del 29/09/1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata» (cfr., ex plurimis, Cass. Civ., Sez. 5, Sentenza n. 20060 del 24/09/2014). E, allo stesso modo, in materia di IVA, «l'Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l'antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633/1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest'ultimo l'onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni» (cfr., Cass., Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015; Cass., Ordinanza n. 25217 del 11/10//2018).
La soluzione giuridica
Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato. Applicando i principi richiamati alla fattispecie in esame, secondo la Corte, non v'era dubbio che la CTR ne avesse fatto buon governo, avendo, da una parte, escluso l'obbligatorietà del contraddittorio e, dall'altra, nel merito, avendo fondato il suo ragionamento sulla prova logica afferente al tipo di accertamento analitico-induttivo, ritenendo, in base agli elementi acquisti, che il contribuente non avesse fornito la prova contraria alla tesi dell'Ufficio, così consentendo la legittimità della rideterminazione, per scostamento rispetto ai parametri di cui agli studi di settore, del reddito di impresa. In particolare, poi, quanto alla censura di violazione di legge di cui al primo motivo di ricorso, questa, alla luce dei principi su richiamati, secondo la Corte, era infondata, in quanto, a prescindere dal fatto che l'Agenzia delle Entrate ha l'obbligo del preventivo contraddittorio quanto ai tributi armonizzati, non essendovi, invece, un obbligo generalizzato per quelli di natura diversa (cfr., ex plurimis, Cass., Ordinanza n. 6219 del 14/03/2018), anche nel caso in cui tale obbligo fosse previsto dalla legge, affinché la sua violazione comporti l'invalidità dell'accertamento erano comunque necessarie due condizioni: da un lato, che il contribuente avesse dimostrato che, in caso di contraddittorio, avrebbe fatto valere ragioni da opporre all'accertamento (cfr., Cass., Sez. U. n. 24823 del 2015) e, dall'altro, che il rispetto del contraddittorio avrebbe potuto portare ad un risultato diverso (cfr., ex plurimis, Cass., Sentenza n. 18450 del 21/09/2016).
E nella specie non era stata allegata (e tanto meno provata) alcuna delle due condizioni.
Del resto, aggiunge la Corte, nel caso in esame, si trattava di un normale accertamento analitico induttivo e non di un accertamento standardizzato per studi di settore, laddove, peraltro, nel caso in cui gli studi settore siano utilizzati nell'ambito inferenziale dell'accertamento analitico induttivo, non scatta alcun obbligo di contraddittorio preventivo (cfr., Cass., ordinanza n. 16191/2017; Cass., Ordinanza n. 15344/2019). Anche gli altri due motivi di ricorso, secondo la Cassazione, erano poi infondati, come ricavabile dai principi giurisprudenziali su esposti, secondo cui la presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l'antieconomicità del comportamento del contribuente, consente di desumere il reddito del contribuente, in via induttiva, ai sensi dell'articolo 39, comma 1 lett. d), Dpr. cit., attraverso il confronto delle incongruenze tra i ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati, e quelli che invece sono desumibili dagli studi di settore relativi alla specifica attività svolta, incombendo sullo stesso l'onere della prova contraria. Osservazioni
Tanto premesso sul caso processuale in esame, in termini più generali, si può anche evidenziare quanto segue. Non contestabile, ormai, che il ricorso all'accertamento analitico-induttivo del reddito d'impresa, ex art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è legittimo anche in presenza di una contabilità formalmente corretta, ma complessivamente inattendibile, potendosi, in tale ipotesi, evincere l'esistenza di maggiori ricavi, o minori costi, in base a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, con conseguente spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente, in base all'orientamento di legittimità prevalente (tra le molte Cass. Civ., sentenza n. 23550 del 5/11/2014), una volta contestata dall'Erario l'antieconomicità di un'operazione posta in essere dal contribuente imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del medesimo contribuente dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea (cfr., Cass,. Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017).
L'analisi della economicità o meno della gestione di impresa può essere, in sostanza, utilizzata dall'Amministrazione Finanziaria per riscontrare la congruenza del reddito dichiarato. Con l'accertamento "analitico- induttivo" il fisco fonda infatti la sua pretesa sulla valorizzazione di elementi coi quali, mediante ragionamento logico-deduttivo, tenta di ricostruire un volume d'affari diverso e superiore da quello dichiarato. La prova presuntiva di maggiori entrate, per essere idonea a fondare l'accertamento con il metodo "analitico-induttivo", deve però essere comunque desunta, quanto meno, da una condotta commerciale anomala (Cass., Sent., n. 15038/2014). In proposito, del resto, al fine di valutare la corretta applicazione dell'art. 2729 c.c., occorre sempre verificare che il giudice di merito abbia valutato i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza degli elementi offerti in giudizio, posto che la scorretta valutazione di essi non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità (Cass., n. 9760/2015; Cass., SS.UU., n. 8054/2014). L'Amministrazione finanziaria, peraltro, può procedere, alla determinazione induttiva dei ricavi anche sulla scorta delle percentuali di ricarico, le quali costituiscono tuttavia presunzioni semplici, che debbono essere assistite dai requisiti di cui all'art. 2729 c.c. e desunte da dati di comune esperienza, oltreché da concreti e significativi elementi desunti dalla singola fattispecie.
In presenza di scritture contabili formalmente non contestate non sarà quindi sufficiente, ai fini dell'accertamento di maggiori ricavi, il solo rilievo dell'applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico aritmeticamente diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, ovvero nel campione rilevato dai verificatori. Infatti, le medie matematiche, ponderate o no, non costituiscono un "fatto noto", cioè storicamente provato, dai quale argomentare, con giudizio critico, il fatto ignoto da provare, ma soltanto il risultato di un'estrapolazione ragionata di dati. Pertanto, tali percentuali sono di per sé sole inidonee a integrare gli estremi di una prova per presunzioni, occorrendo quantomeno che emerga, quale elemento ulteriore, l'abnormità o l'irragionevolezza della percentuale (cfr., Cass., n.20201 del 2010, n. 12032 del 2009, n.26388 del 2005), laddove l'abnormità e l'irragionevolezza della difformità è esclusa nel caso di scostamenti di pochi punti percentuali (es., sulla irrilevanza di uno scostamento di quattro e sette punti, v. Cass. n.26007 del 2014 e n.12032 del 2009). In proposito, si ricorda del resto che le Sezioni Unite della Corte hanno da tempo stabilito che: "Il procedimento che deve necessariamente seguirsi in tema di prova per presunzioni si articola in due momenti valutativi; in primo luogo, occorre che il Giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi. È pertanto viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimità - a tale sindacato sottraendosi l'apprezzamento circa l'esistenza degli elementi assunti a fonte di presunzione e la loro concreta rispondenza ai requisiti di legge soltanto se il relativo giudizio non risulti viziato da illogicità o da erronei criteri giuridici - la decisione in cui il Giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento" (sentenza n. 584 del 2008). È dunque fondamentale non solo valutare i singoli elementi di fatto, ma soprattutto considerarli nella loro valenza complessiva. E, ancora, nel caso della legittima applicazione delle percentuali di ricarico, la Corte di Cassazione ha per esempio stabilito che, nel caso in cui il metodo del ricarico medio non discenda da mere elaborazioni statistiche ricavate dal settore merceologico, ma dalle rilevazioni effettuate in sede di verifica, lo stesso è legittimo, a condizione però che sia operato su un inventario generale delle merci, o comunque su un campione di merci rappresentativo ed adeguato per qualità e quantità rispetto al fatturato complessivo e a condizione, infine, che, quando tra i vari tipi di merce esista una significativa differenza di valore, corrisponda alla media ponderale (Cfr., Cass., Sent. n. 7863 del 17 aprile 2015). Ciò che rileva è dunque che non sia un mero dato numerico privo di riscontro oggettivo.
In conclusione, la possibilità di procedere con accertamento analitico-induttivo, sulla base di presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, può essere quindi senz'altro innescata dal riscontro di inesattezze contabili gravi, o dal rilevamento di situazioni di infedeltà. E uno di questi elementi presuntivi, di conferma della irragionevolezza dei dati dichiarati, può ben essere rappresentato anche dalla ricostruzione della corretta percentuale di ricarico. La percentuale di ricarico non potrà però essere utilizzata solo come metodo di quantificazione dei maggiori ricavi, ma dovrà essere precisamente ricostruita e dovrà essere grave, nel senso di indicare uno scostamento rilevante, dovendo infine anche concordare con altri elementi di sospetto, come, per l'appunto, può essere considerata la situazione di antieconomicità, la quale, da sola, non potrebbe invece rappresentare una presunzione grave, precisa e concordante, laddove la Cassazione, in un caso di insufficienza dei ricavi a coprire i costi di gestione, ha inoltre evidenziato come “non appare inutile osservare che la misura di ricarico applicata, svincolata da studi di settore mirati, e tesa soltanto a portare in lieve avanzo il bilancio … è del tutto arbitraria, in quanto la mera enunciazione dello scopo prefisso non può certo sostituire un criterio razionale di determinazione della entità della variazione, che deve preesistere alla stessa e prescindere dall'effetto della medesima sul bilancio della società” (Cass., Sent. n. 26341 del 16 dicembre 2009).
Si conferma, infine, che sussisteassoluta discrezionalità in capo agli Uffici dell'Amministrazione finanziaria nell'utilizzo delle diverse metodologie di controllo fiscale previste dal Dpr. 600/73, nonché dei criteri concreti di rilevazione degli elementi più significativi della contabilità, laddove il limite intrinseco a tale discrezionalità, e che consente alla stessa di non tramutarsi in arbitrio, è rappresentato dal rispetto del principio della riserva di legge in materia tributaria, nonché dal suo principale corollario, ossia il principio del contraddittorio. In questo senso, è dato ritenere che l'Ufficio possa far uso del tipo di controllo che ritiene più adatto in sede di accesso/verifica, purché metta il contribuente in condizione di interagire e difendersi in ordine alle singole contestazioni mosse, seppur invertendo l'onere della prova a suo carico per esigenze di ordine imperativo, connesse alla fondamentale funzione di accertamento e riscossione dei tributi svolta dall'Agenzia delle Entrate.
La legittimità della contestazione dipenderà comunque anche dal tipo di accertamento prescelto dall'Ufficio accertatore, potendosi in casi del genere procedere sia ad un accertamento induttivo “puro”, che ad un accertamento analitico induttivo. L'ufficio potrà infatti determinare il reddito d'impresa anche con accertamento induttivo “puro”, prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili ed avvalendosi di presunzioni semplici, anche non gravi, precise e concordanti
La differenza tra l'utilizzo di un metodo o l'altro di accertamento risiede, sostanzialmente, nella diversa forza delle presunzioni richieste a sostenerne la legittimità (e poi la fondatezza probatoria), laddove, come visto, l'accertamento analitico-induttivo può essere esperito soltanto attraverso l'impiego di presunzioni c.d. “qualificate”, ovvero dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, mentre l'accertamento induttivo puro, in presenza dei presupposti che lo consentono, può essere invece fondato anche su presunzioni sprovviste dei predetti requisiti, ovvero su quelle generalmente indicate come presunzioni “semplicissime” o “supersemplici”. Sarà dunque il supporto probatorio a determinare, di fatto, ma anche di diritto, il sistema accertativo adottabile.
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