RC Sanitaria: l'accesso agli atti del Comitato Valutazione Sinistri (CVS)

Giuseppe Chiriatti
18 Marzo 2020

Ammettendo il pieno accesso agli atti del CVS con esclusione delle sole parti contenenti valutazioni di carattere difensivo e fermo il divieto di utilizzazione in giudizio dei documenti esibiti, il Consiglio di Stato perviene ad un equo contemperamento tra l'interesse della P.A. e quello del paziente. D'altro canto, la pronuncia in commento denuncia un vuoto normativo particolarmente grave, che riduce la disposizione di cui al primo comma dell'art. 4 Legge Gelli (“ … le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private sono soggette all'obbligo di trasparenza … ") ad una mera petizione programmatica.
Massima

Gli atti del CVS, pur non essendo direttamente funzionali alla difesa in giudizio dell'Amministrazione, possono contenere valutazioni di ordine strategico-difensivo ulteriori rispetto a quelle di carattere strettamente ricognitivo (della dinamica degli eventi) o valutativo (dei profili medico-legali della vicenda). Per l'effetto, fermo il divieto di utilizzazione di cui all'art. 16 l. 24/2017 (Legge Gelli), l'esibizione di tali documenti dovrà avvenire mediante l'impiego degli opportuni accorgimenti (stralcio, omissis ecc.), atti ad assicurare la salvaguardia del diritto di difesa dell'Amministrazione appellante, accompagnati dalla attestazione da parte del responsabile del procedimento che le parti omesse o stralciate contengono effettivamente valutazioni di carattere difensivo dell'Amministrazione elaborate infunzione del contenzioso instaurato in sede civile.

Il caso

L'erede di una paziente deceduta presso una struttura sanitaria pubblica formulava richiesta risarcitoria nei confronti di quest'ultima e richiedeva l'esibizione degli atti assunti dal Comitato Valutazione Sinistri (CVS), ovvero dall'organismo multidisciplinare istituito all'interno della struttura sanitaria e deputato a istruire i sinistri denunciati dai pazienti al fine di eventualmente pervenire ad una definizione della controversia.

La struttura, nondimeno, respingeva l'istanza di accesso, deducendo che i documenti richiesti risultavano connessi ad una lite in potenza e che la loro esibizione avrebbe potuto pregiudicare il diritto di difesa dell'amministrazione.

La richiedente adiva, dunque, il TAR, che accoglieva il ricorso e ordinava alla struttura di esibire i verbali del CVS.

In particolare, rilevava il Tribunale Amministrativo Regionale, gli atti adottati nell'ambito dell'attività istruttoria svolta dal CVS hanno come scopo quello di accertare se, nel caso di specie, la struttura ha correttamente applicato le regole della scienza medica. Non vi è dunque ragione per negarne l'accesso al paziente o ai suoi eredi, i quali hanno interesse a prendere conoscenza di questi documenti al fine di verificare se le cure erogate dalla struttura medica siano state appropriate eper eventualmente esercitare il proprio diritto di difesa.

Contro tale pronuncia ricorreva a sua volta la struttura sanitaria, insistendo per la natura “difensiva” delle deliberazioni del CVS e sulla loro conseguente esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina sull'accesso. In ogni caso, la struttura deduceva che la suindicata attività di valutazione dei sinistri dev'essere comunque ricondotta alla più generale funzione di gestione del rischio sanitario così come richiamata dall'art. 1 comma 538 l. 208/2015 e che, per l'effetto, i relativi atti e verbali non potrebbero comunque essere acquisiti o utilizzati nell'ambito di procedimenti giudiziari ai sensi dal successivo comma 539, così come modificato dall'art. 16 l. 24/2017 (c.d. Legge Gelli).

La questione

L'art. 1 comma 539 l. 208/2015 impone alle strutture sanitarie di dotarsi di una specifica funzione di risk management col compito, tra gli altri, di attivare «percorsi di audit o altre metodologie finalizzati allo studio dei processi interni e delle criticità più frequenti, con segnalazione anonima del quasi-errore e analisi delle possibili attività finalizzate alla messa in sicurezza dei percorsi sanitari» (lett. a); e ancora, di «rilevazione del rischio di inappropriatezza nei percorsidiagnostici e terapeutici e facilitazione dell'emersione di eventualiattività di medicina difensiva attiva e passiva» (lett. b).

Ebbene, non vi è dubbio che l'attività istruttoria svolta dal CVS consenta di raccogliere informazioni alquanto dettagliate con riguardo ai sinistri denunciati dai pazienti e, dunque, utili per un più ampio monitoraggio del rischio sanitario all'interno della struttura.

Occorre nondimeno comprendere se, anche alla luce dei principi già espressi dalla giurisprudenza amministrativa in tema di accesso, il divieto di acquisizione/utilizzazione invocato dalla struttura possa ritenersi esteso a tutti gli atti assunti dal CVS.

Le soluzioni giuridiche

Le ragioni poste a sostegno della pronuncia in commento

Il Consiglio di Stato risponde al quesito affermativamente, riconoscendo che «il CVS assolve anche funzioni propriamente riconducibili alla funzione di risk management (come quella intesa, nella valutazione dei casi, ad evidenziare gli aspetti salienti di prevenzione e riduzione del rischio clinico), soggetta quindi al divieto di acquisizione o utilizzazione dei relativi atti e verbali nell'ambito di procedimenti giudiziari” di cui all'art. 16, comma 1, l. n. 24/2017».

D'altro canto, sottolinea il Collegio, «l'accesso soddisfa una finalità più ampia rispetto a quella consistente nella produzione e/o utilizzazione in giudizio dei documenti de quibus, il cui divieto, quindi, non è idoneo ad elidere l'utilità dell'acquisizione per la parte richiedente».

In altri termini, secondo il Consiglio di Stato, occorrerebbe intanto distinguere tra accesso agli atti ed utilizzazione degli stessi, atteso che il divieto introdotto dall'art. 16 Legge Gelli riguarderebbe esclusivamente tale ultima fattispecie.

Fatta questa premessa di ordine generale, il Consiglio di Statotiene però a rilevare come gli atti del CVS possano comunquecontenere «valutazioni di ordine strategico-difensivo», che, in quanto tali, devono ritenersi sottratte all'accesso e ciò sulla scorta di quanto espresso dalla pressoché unanime giurisprudenza amministrativa secondo cui non possono essere esibiti «i pareri legali rilasciati all'amministrazione al fine di definire una strategia una volta insorto un determinato contenzioso, ovvero una volta iniziate situazioni potenzialmente idonee a sfociare in un giudizio» (così Cons. St., ord., sez. VI, 24 agosto 2011, n. 4798).

L'accesso agli atti del CVS, conclude il Consiglio, dev'essere dunque pienamente garantito, ma deve avvenire «mediante l'impiego degli opportuni accorgimenti (stralcio, omissis ecc.), atti ad assicurare la salvaguardia del diritto di difesa dell'Amministrazione appellante, accompagnati dalla attestazione da parte del responsabile del procedimento che le parti omesse o stralciate contengono effettivamente valutazioni di carattere difensivo dell'Amministrazione elaborate in funzione del contenzioso instaurato in sede civile».

In definitiva, la pronuncia del Consiglio di Stato può essere così sintetizzata: gli atti del CVS devono sempre essere esibiti al paziente, fatta eccezione per quelle parti contenenti valutazioni di carattere difensivo e fermo il divieto, per il paziente medesimo,di utilizzare tale documentazione nel processo avente ad oggetto il risarcimento dei danni.

Osservazioni

Guardando alla questione dalla prospettiva del paziente, potrebbe obiettarsi come l'accesso agli atti del CVS sia finalizzato proprio all'utilizzazione di tali documenti in un eventuale giudizio (ovviamente nei limiti in cui gli stessi possano risultare sfavorevoli alla struttura); per l'effetto, la conclusione cui giunge la sentenza in commento rischia di risultare gravemente insoddisfacente per le ragioni del soggetto istante.

Il fatto, poi, che le informazioni raccolte in fase di istruzione del sinistrorisultino utili anche per il più ampio monitoraggio del rischio clinico non consente di per sé di estendere a tutti gli atti del CVS il divieto di utilizzazione espressamente previsto con riguardo a quelli assunti nell'esercizio dell'attività di risk management. Proprio in tal senso, nella sentenza impugnata avanti al Consiglio di Stato, il TAR aveva avuto modo di rilevare: «non vale richiamare l'art. 1, comma 539, lett. a), della legge n. 208 del 2015, in forza del quale “i verbali e gli atti conseguenti all'attività di gestione del rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell'ambito di procedimenti giudiziari”. I verbali e gli atti cui fa riferimento questa norma sono, a parere del Collegio, quelli afferenti all'attività di risk management, e cioè all'attività generale di raccolta delle informazioni effettuata allo scopo di prevenire l'evoluzione del contenzioso e di valutarne gli impatti legali ed assicurativi. Si tratta dunque di atti diversi da quelli presi in considerazione in questa sede i quali, come detto, sono adottati nell'ambito dell'attività istruttoria relativa a specifici sinistri in concreto verificatisi ed hanno come scopo quello di accertare se, nel caso concreto, la struttura abbia applicato correttamente le regole della scienza medica» (così TAR Lombardia, 12 novembre 2019 n. 2396).

D'altro canto, volendo e dovendo guardare al tema anche dalla prospettiva della struttura, non potremmo omettere di considerare come quest'ultima, una volta convenuta nel giudizio di responsabilità, si ritrovi esposta ad un regime processuale particolarmente sfavorevole, atteso che l'eventuale concorso di c.d. cause ignote - alla cui individuazione è finalizzata proprio l'attività di risk management - non sempre consente alla struttura medesima di fornire la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c.

Pertanto, l'applicazione del divieto di utilizzazione a tutti gli atti assunti dal CVS parrebbe rispondere, in termini sistematici,all'esigenza di non mortificare eccessivamente la posizione della struttura, escludendo l'utilizzazione, contro quest'ultima, di atti che vengono assunti anche al fine di meglio individuare e governare i fattori di rischio clinico.

Oltretutto, la soluzione ermeneutica espressa dal Consiglio di Stato fa comunque salvo il diritto di accedere agli del CVS e non vi è dubbio che la disponibilità di tali documenti possa quantomeno consentire al paziente di meglio orientare la propria iniziativa oppure, al contrario, di rinunciarvi (nell'ipotesi in cui non emergano elementi sufficienti a sostenere la domanda giudiziale); ed anzi, proprio in tal senso, può certamente condividersi l'assunto fatto proprio dal Consiglio di Stato, secondo cui l'accesso svolge una propria utilità anche a prescindere dalla successiva utilizzazione dell'atto in giudizio.

Invero, e qui parrebbe emergere un'ulteriore criticità, potrebbe obiettarsi che il principio di diritto pronunciato dal Consiglio, pur salvaguardando il diritto di accesso del paziente, ponga di fatto l'amministrazione nella condizione di poter arbitrariamente “scegliere” le parti da esibire e, dunque, di rendere inaccessibili tutte le informazioni che possano risultare ad essa sfavorevoli. Il che potrebbe apparire ancora più iniquo, ove si consideri come anche la cartella clinica - questa sì pienamente utilizzabile in giudizio - sia essa stessa “precostituita” dalla medesima struttura sanitaria (sul punto sia consentito richiamare CHIRIATTI G., La cartella clinica, Milano 2019, pagg e ss. 24).

In altri termini, il paziente non solo non potrebbe utilizzare in giudizio gli atti del CVS, ma si ritroverebbe altresì esposto al rischio di vedersi opposta una grave limitazione del diritto di accesso, senza poter verificare se le parti stralciate contengano effettivamente valutazioni difensive in favore della struttura medesima.

D'altro canto, a fronte di tale obiezione dovremmo rilevare come, a stretto rigore, l'amministrazione possa omettere di esibire parti “sconvenienti” del documento anche nell'ipotesi in cui sia tenuta ad esibirlo integralmente; e ancora, che un simile scenario attiene ad una fase patologica che risulta comunque presidiata dalle norme penali in materia di falsità (materiale o ideologica) nonché da quelle che sanzionano i delitti dei pubblici ufficiali.

Alla luce di quanto sopra, par dunque di poter affermare che la soluzione ermeneutica espressa dal Consiglio di Stato pervenga ad un equo e ragionevole contemperamento tra l'interesse della P.A. e quello del paziente.

Nondimeno, la questione sottoposta ai Giudici di Palazzo Spada denuncia un vuoto normativo particolarmente grave, che riduce la disposizione di cui al comma 1 dell'art. 4 Legge Gelli (« …le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private sono soggette all'obbligo di trasparenza … ») ad una mera petizione programmatica.

Oltretutto, è noto come la Legge Gelli abbia inteso mutuare in ambito sanitario l'impianto dell'assicurazione obbligatoria per la circolazione dei veicoli, introducendo all'art. 12 l'azione diretta nei confronti della compagnia assicurativa del responsabile; per l'effetto, una volta che tale disposizione diverrà vigente (in forza dei decreti attuativi di cui ancora si attende l'adozione), la questione relativa ai limiti del diritto di accesso dovrà essere affrontata anche con riguardo agli atti del fascicolo tenuto dall'assicuratore della struttura (che, peraltro, già siede in seno al CVS per il tramite di un proprio rappresentante). E proprio in tale prospettiva non sarebbe poi peregrino attendersi un intervento normativo che - sulla falsariga di quanto disposto dall'art. 146 CAP (e dal D.M. 191/2008) nel ramo RC Auto - introduca una disciplina organica ed esaustiva del diritto accesso anche in ambito sanitario.

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