Si può provare con presunzioni la condominialità di un bene comune?
30 Marzo 2020
Massima
In tema di condominio, l'occupazione sine titulo di un bene comune (sottotetto) da parte di un condomino comporta il rilascio immediato in favore del condominio (proprietario). Comunque, il condominio può provare la condominialità del bene comune anche con presunzioni. Il caso
Un condominio, con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., conveniva in giudizio un condomino al fine di accertare l'occupazione illegittima di un locale (sottotetto) detenuto sine titolo dal componente della compagine condominiale, nonostante la presenza di un pregresso contratto di locazione. Si costituiva il resistente-condomino, nei termini di legge, il quale eccepiva l'infondatezza dell'assunto di parte ricorrente in virtù dell'inesistenza di qualsivoglia rapporto locatizio (mai stipulato alcun contratto) e di aver sempre posseduto (usucapione) tale locale contestato considerandolo pertinenza del proprio appartamento ed utilizzandolo per il deposito di oggetti di proprietà. Il resistente eccepiva, altresì, l'inapplicabilità del rito locatizio alla fattispecie posto al vaglio del giudice adito. Il giudicante, in via preliminare, mutava il rito locatizio con il rito ordinario, ex art. 427 c.p.c. (passaggio da rito speciale a rito ordinario). La causa veniva istruita sia con prove orali (escutendo un teste) che con prove documentali prodotte dalle parti. Il magistrato riteneva il giudizio maturo per la decisione e lo rinviava per la precisazione delle conclusioni. A tale udienza il giudicante introitava la causa per la decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Il Tribunale laziale accoglieva la domanda dell'attore, condannando il convenuto al rilascio immediato del locale, oltre che a rifondere le spese sempre in favore dell'attore. La questione
Si trattava di accertare e verificare se fossero presenti, al caso posto all'attenzione del Tribunale competente, i presupposti per il rilascio immediato in favore dell'istante dell'unità immobiliare contestata (locale-sottotetto). Tale aspetto è stato esaminato dal giudicante, il quale ha rilevato e verificato la presenza dei presupposti di legge per la riconsegna immediata dell'immobile oggetto di causa in favore del condominio per occupazione illegittima del detentore-condomino, rigettando tutte le eccezioni sollevate da quest'ultimo in ordine al possesso decorso ed all'usucapione concretizzatasi. Dunque, la pronuncia risultava favorevole all'istante per le ragioni ut supra nonché la condanna del convenuto-condomino a rifondere le spese processuali in favore dell'attore, alla luce della fondatezza del suo assunto. Le soluzioni giuridiche
In linea di principio, è stata ritenuta corretta l'affermazione contenuta nella pronuncia del Tribunale romano, in sede monocratica, secondo cui è stato condannato il convenuto-condomino al rilascio immediato di un locale in favore del condominio con regolazione delle spese processuale in favore dell'attore. Infatti, il giudice adito, da un attento esame della documentazione in atti e della prova orale assunta, ha rilevato la fondatezza della domanda proposta dall'istante. In primo luogo, ha ritenuto legittima e fondata l'azione di rilascio (restituzione) dell'immobile oggetto di causa (locale-sottotetto) intentata dalla compagine condominiale-attrice, ove rilevava che per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza di un titolo, doveva farsi riferimento alla caratteristiche strutturali e funzionali, sicchè, quando il detto sottotetto fosse oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune, poteva applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117, comma 1, c.c. (Cass.civ.,sez. lav., 18 gennaio 2017, n. 11184). Dunque, il condominio, nel corso del giudizio intentato contro illegittimo detentore ha provato l'appartenenza del bene comune (sottotetto) facendo ricorso a presunzioni. Le presunzioni si suddividono in legali e semplici a seconda che siano stabilite a priori ex lege, opure vengano lasciate alla libera valutazione del giudice (art. 2729 c.c.): a loro volta, le prime si distinguono in presunzioni assolute, anche dette iuris et de jure, che ammettono alcuna prova contraria e relative, juris tantum, che determinano l'inversione degli oneri probatori senza tuttavia escludere la prova contraria. In tal senso, in tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli elencati dall'art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con rigore richiesto per le rivendicazioni di proprietà del medesimo bene, essendo sufficiente, per presumere la natura condominiale, che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo (Cass. civ., sez. VI, 15 marzo 2019, n.7483; Cass.civ., sez.II, 5 febbraio 2019, n. 3310; Cass.civ., sez.II,7 agosto 2018,n. 20593). Va precisato che l'art. 1117 c.c. presume la condominialità di alcune parti dell'edificio, però tale presunzione ha effetto “se non risulta il contrario dal titolo”. Il titolo ai sensi dell'art. 1117 c.c. consente di escludere la comunione delle parti dell'edificio indicate dalla stessa norma. La riserva di proprietà esclusiva può riguardare ogni parte del palazzo condominiale senza limitazione alcuna. Il titolo non può che essere rappresentato dall'atto costitutivo del condominio e, quindi, dal primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto (Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2002, n.12340; Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2011, n. 11812). Per completezza, giustamente Il Tribunale capitolino ha ritenuto infondata l'eccezione di usucapione sollevata dal condomino-convenuto poiché non provata e non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per la usucapione è idoneo soltanto un atto un comportamento il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l'impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocabilmente l'intenzione di possedere bene in maniera esclusiva (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2015, n. 11903). Osservazioni
Va osservato che l'occupazione abusiva o sine titulo è la condizione di chi si trova, in conseguenza di fatti di diversa natura, nel possesso o nella detenzione di un bene immobile altrui senza averne alcun titolo giustificativo opponibile, di regola, al proprietario, e quindi in difetto di jus possidendi o del diritto a detenere il bene. Sul punto, va precisato che, a determinate condizioni, può essere oggetto di tutela anche lo jus possessionis e cioè il diritto a mantenere, in via cautelare, il possesso a prescindere dalla sua origine, in forza del tradizionale principio secondo il quale spoliatus ante omnia restituendus. In ogni caso, stabilire quale sia l'origine di tale condizione di occupazione abusiva è necessario al fine di individuare quali siano le conseguenze giuridiche e l'ambito della tutela del diritto a ottenere la disponibilità del bene. Le fattispecie vanno dalla condizione di chi si introduce all'interno di un immobile altrui con o senza violenza su cose e persone ma senza il consenso di colui che può disporne, al caso del conduttore o del comodatario o (detentore illegittimo) che non intendano rilasciare l'appartamento in cui abitano nonostante la cessazione del rapporto locativo o di comodato o di altra natura. L'argomento dell'occupazione sine titulo afferisce alla compressione del godimento del bene in capo al legittimo proprietario, in virtù di comportamenti illeciti compiuti dal detentore senza titolo (come il caso esaminato). Tale comportamento è in evidente violazione con i principi del nostro ordinamento. In tale situazione è possibile richiedere la restituzione dell'immobile, con l'accertamento del diritto ed azione di rilascio, con susseguente riconoscimento di un risarcimento del danno, individuato nell'indennità di occupazione. Ne consegue che, stabilire quale sia l'origine di tale condizione di occupazione abusiva è necessario al fine di individuare quali siano le conseguenze giuridiche e l'ambito della tutela del diritto a ottenere la disponibilità del bene. Si distingue l'occupazione abusiva in senso stretto che difetta di titolo giuridico fin dall'inizio, dall'occupazione abusiva in senso più ampio che si verifica nel caso di sopravvenuta cessazione di efficacia del titolo (al possesso o alla detenzione) esistente ab origine. La prima categoria (“in senso stretto”) comprende le situazioni in cui sia inesistente ab origine un titolo giustificativo della detenzione o del possesso, sono effetto di impossessamento dell'immobile, non necessariamente clandestino o violento, in assenza del consenso, espresso o tacito di chi può disporne, come il proprietario. In tale condizione si trovano a titolo di esempio, oltre alle occupazioni realizzate con la materiale apprensione dell'immobile e quindi con comportamenti violenti, intimidatori o clandestini, gli eredi non conviventi del defunto conduttore che mantenessero la disponibilità dell'immobile contro la volontà del locatore, pur non succedendo de jure nel rapporto locativo (art. 6, l. n. 392/1978); ovvero colui che intendesse avvalersi della cessione, non consentita, di un rapporto di locazione da parte del conduttore, anche in questo caso in assenza del consenso del locatore (art. 1406 c.c.), così come colui che si trovasse a disporre di un immobile in assenza e prima della stipulazione del contratto di locazione, poi non avvenuta per mancato accordo. Alla seconda categoria di occupazioni (“in senso lato”) appartengono gli occupanti il cui titolo di detenzione o di possesso, medio tempore, è venuto meno, come accade quando il conduttore, il comodatario, il portiere del fabbricato per quanto concerne l'appartamento di servizio, si rifiutino di lasciare l'immobile dopo la scadenza pattuita nel contratto di locazione (o di comodato) e contro la volontà del proprietario. Nel caso di occupazioni fin dall'inizio sine titulo, al proprietario dell'immobile sono concessi, oltre le tradizionali azioni possessorie (ai sensi degli artt. 1168 ss. c.c. e 703 ss. c.p.c.) quando ne sussistano i presupposti e alle quali è legittimato anche il detentore qualificato come il conduttore (Cass. civ.,sez. II, 29 aprile 2002, n. 6221; Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1997, n. 2028), due rimedi processuali ordinari, potendo agire in rivendicazione ex art. 948 c.c., facendo valere in tal caso il suo jus possidendi, oppure procedendo con un'azione di rilascio, o restituzione. Le due azioni hanno natura e presupposti diversi: ● con la prima, di carattere reale, l'attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà o di usufrutto dal quale discende il diritto a possedere (c.d. jus possidendi); ● con la seconda azione, di natura personale, l'attore mira a ottenere il riconoscimento del suo diritto al possesso o alla detenzione della cosa, e quindi ad ottenere la riconsegna del bene a tutela del suo jus possessionis, a seguito alla dimostrazione della sua relazione con la cosa e della negazione di qualsiasi titolo dell'occupante al mantenimento della disponibilità del bene occupato (Cass. civ., sez. II, 24 giugno 2014, n. 14325; Cass. civ.,sez. II, 23 dicembre 2010, n. 26003). L'azione dovrà essere proposta secondo il rito ordinario (ex art. 163 c.p.c.) o sommario di cognizione (ex artt. 702-bis ss. c.p.c.). In particolari fattispecie (esistenza di un contratto preliminare di locazione) si è ritenuto applicabile l'art. 447-bis c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 6 gennaio 2003, n. 581) e quindi il rito in materia di locazioni che richiama il processo in materia di lavoro e previdenza, più celere e concentrato del rito ordinario. Infine, le due azioni si distinguono dunque per petitum e per la causa petendi, e diverso è il regime quanto alla mediazione obbligatoria, alla competenza e al riparto degli oneri probatori. |