Sinistri cagionati dalla fauna selvatica e responsabilità della Regione Lazio
02 Aprile 2020
Sinistri causati da fauna selvatica. Oltre ad individuare la fonte della responsabilità e la sua natura, gli operatori devono capire quale sia il soggetto responsabile all'interno delle singole regioni. In alcune regioni la responsabilità e, conseguentemente, l'obbligo risarcitorio è della regione stessa, mentre in altre l'effettivo potere di controllo e prevenzione viene demandato alle singole regioni. Nella Regione Lazio quale è il soggetto responsabile del sinistro stradale causato dalla fauna selvatica?
Il quadro normativo Nel 1942, quando è entrato in vigore il Codice Civile, gli animali selvatici erano considerati res nullius, quindi suscettibili di essere acquistati per occupazione e, di conseguenza, nessuno avrebbe dovuto rispondere dei danni da essi cagionati. Il quadro è radicalmente mutato con l'entrata in vigore della l.27 dicembre 1977, n. 968 (ora abrogata dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157), che, all'art. 1, stabiliva che la fauna selvatica «costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale». Attribuendo la proprietà degli animali selvatici allo Stato, si è, così, iniziata a delineare la possibilità di domandare un risarcimento del danno da questi cagionato. La legge 11 febbraio 1992, n. 157, oggi vigente, nel confermare l'impostazione del 1977, ha attribuito alle Regioni le funzioni di controllo, gestione e tutela degli animali selvatici. L'attuazione della normativa è, poi, stata demandata alle Province (art. 1, comma 3). In particolare, il citato art. 1, comma 3 legge n. 157/1992 prevede che «Le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti. Le province attuano la disciplina regionale ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera f), della legge 8 giugno 1990, n. 142». Ne deriva una disciplina nella quale sono coinvolti una molteplicità di soggetti: la proprietà della fauna selvatica è statale; essa, però, è amministrata dalle Regioni che hanno una funzione essenzialmente normativa; spetta, poi, alle città metropolitane (istituite con legge 7 aprile 2014, n. 56) o alle province attuare le concrete funzioni di gestione sul territorio.
La natura della responsabilità Secondo la prevalente giurisprudenza, i danni cagionati da animali selvatici vanno esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 2052 c.c., dovendo essere ricondotti, in assenza di specifiche disposizioni, all'art. 2043 c.c., con conseguente onere in capo al danneggiato di dimostrare, oltre al nesso di causalità e all'evento dannoso, il comportamento colposo, attivo o omissivo, ascrivibile all'ente pubblico (Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2010, n. 20758; Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2010, n. 12437; Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2010, n. 5202; Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24547). A seguito dell'entrata in vigore della legge quadro sulla caccia (l. n. 968/1977), la dottrina maggioritaria ha sostenuto l'applicabilità della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., in capo alla P.A. per gli incidenti stradali causati da animali selvatici. A fondamento di tale affermazione è stato posto il principio del cuius commoda eius et incommoda, al fine di assicurare sia la corretta composizione degli interessi confliggenti (per cui la scelta costituzionalmente rilevante della protezione della natura non può ricadere, nelle sue conseguenze dannose, solo su singoli danneggiati), sia la realizzazione del criterio della gestione economicamente razionale del rischio (che richiede l'adozione di una regola di responsabilità capace di minimizzare i costi dell'evento dannoso; in tal senso, l'applicazione dell'art. 2052 c.c., predisporrebbe un sistema efficiente di assicurazione sociale del rischio creato). Tuttavia, tale tesi dottrinale è fortemente contrastata dalla giurisprudenza di legittimità, che, come si è detto, ha riconosciuto l'applicabilità in queste fattispecie dell'art. 2043 c.c., a causa della difficoltà di ravvisare i presupposti della sorveglianza nonché del rischio legato al vantaggio dato dall'uso dell'animale caratterizzanti l'art. 2052 c.c. Infatti, in relazione alla fauna selvatica, stante lo stato di completa libertà in cui si trova, non è ipotizzabile una potestà di governo sugli animali. Ne consegue che la P.A., a cui non è riconosciuto il potere-dovere di inibire il libero spostamento della fauna selvatica, non assume la veste di dominus in senso tecnico e non può, quindi, essere assoggettata a responsabilità secondo i criteri previsti dall'art. 2052 c.c. L'applicazione dell'art. 2043 c.c. comporta la conseguente complessità probatoria legata alla necessità di dimostrare la colpa della P.A. nella causazione del danno (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2010, n. 5202). Il differente regime di responsabilità dei danni cagionati dalla fauna selvatica rispetto a quelli causati dagli animali domestici è stato ritenuto costituzionalmente legittimo dalla Corte Costituzionale, la quale ha affermato che «nel caso in cui il danno è arrecato da un animale domestico (o in cattività), è naturale conseguenza che il soggetto nella cui sfera giuridica rientra la disponibilità e la custodia di questo si faccia carico dei pregiudizi subiti da terzi secondo il criterio di imputazione ex art. 2052 c.c., laddove i danni prodotti dalla fauna selvatica, e quindi da animali che soddisfano il godimento dell'intera collettività, costituiscono un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario e solidaristico di imputazione della responsabilità civile ex art. 2043 c.c. » (Corte Cost., 4 gennaio 2001, n. 4). Con particolare riferimento alla fattispecie di danno cagionato dall'improvviso attraversamento della strada da parte di un animale selvatico, la giurisprudenza ha affermato che la società di gestione autostradale, titolare del potere di custodia della cosa, per vincere la presunzione di responsabilità dalla quale è gravata ex art. 2051 c.c., deve dare la prova positiva che la presenza dell'animale è stata determinata da un fatto imprevedibile ed inevitabile, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra l'evento dannoso e la cosa in custodia (Cass. civ., sez. 3, 12 maggio 2017, n. 11785 e, da ultimo, Trib Milano (G.I. dr. D. Spera), sent. n. 413-2020 del 16 gennaio 2020). È stato, in proposito, valorizzato il dettato dell'art. 2, n. 3, lett. a), del d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285, il quale prescrive che l'autostrada sia “dotata di recinzione”. Tale norma pone a carico del gestore del tratto autostradale uno specifico dovere di sistemare lungo lo stesso una rete di recinzione e di provvedere alla relativa manutenzione; in ipotesi di rottura di essa, il gestore è tenuto a segnalare la situazione di pericolo, ponendovi sollecito riparo; la recinzione deve avere, in ogni caso, doti di robustezza adeguate alle circostanze, anche sopravvenute, e specie al tipo di fauna presente nella zona, della quale è principalmente destinata a impedire l'ingresso (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2008, n. 27673; Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2006, n. 7080; Cass. civ., sez. III, 25 novembre 2005, n. 24895).
La legittimazione passiva In forza della legge n. 157/1992, i danni cagionati dagli animali selvatici a persone e a cose sono imputati, previo giudizio di colpevolezza, alle Regioni, alle quali sono state trasferite le funzioni concernenti la tutela della fauna e la disciplina della caccia. Depone in tal senso un indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l'ente preposto alla tutela risarcitoria dei terzi danneggiati dagli animali selvatici è la Regione, in quanto - come titolare del potere di controllo e gestione della fauna selvatica - è obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la stessa arrechi danni a persone o cose e, in caso di violazione di tale obbligo, diventa responsabile, ex art. 2043 c.c., dei pregiudizi che ne sono derivati in capo a terzi, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme (Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1638; Cass. civ., Sez. III, 13.12.1999, n. 13956) Tale conclusione muove dall'assunto che, sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge n. 157/1992 attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3, l. n. 157/1992) e affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna selvatica ad esse delegate ai sensi della l. 8 giugno 1990, n. 142 (Cass. civ., sez. III, 16 novembre 2010, n. 23095; Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2009, n. 467). In ogni caso, non sarebbe mai configurabile una responsabilità concorrente o esclusiva dell'ente provinciale, poiché, quand'anche la regione avesse delegato i relativi poteri e funzioni alla Provincia, essa rimarrebbe responsabile in quanto «la delega non fa venir meno la titolarità dei poteri di gestione e deve essere esercitata nell'ambito delle direttive dell'ente delegante» (Cass. civ., sez. III, 1 agosto 1991, n. 8470). Secondo altro orientamento, sostenuto da una parte della giurisprudenza di merito, la responsabilità aquiliana per danni da fauna selvatica andrebbe ascritta esclusivamente alle Province, sul rilievo che ad esse spetta l'esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione della fauna, nell'ambito del loro territorio, in forza dei compiti rilevanti di volta in volta attribuiti dalle singole leggi regionali. Il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità si pone in una linea mediana rispetto alle posizioni suesposte, ritenendo che la responsabilità extracontrattuale debba essere imputata all'ente — sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione — a cui siano stati concretamente affidati, anche in attuazione della legge n. 157/1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione, tutela e controllo della fauna ivi insediata. Tale soggetto è, infatti, meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta (Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2010, n. 20758; Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 2010, n. 80). In proposito, è stato affermato che «la responsabilità aquiliana per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che derivino da delega o concessione di altro ente (nella specie della Regione). In quest'ultimo caso, sempre che sia conferita al gestore autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l'attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all'esercizio dell'attività, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni» (Cass. civ., n. 80/2010). Tale impostazione è stata, di recente, ribadita dalla Suprema Corte, secondo cui la responsabilità extracontrattuale per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della legge n. 157/1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che trovino la fonte in una delega o concessione di altro ente. Ove, in particolare, la delega per la gestione della fauna selvatica risulti concretamente attuata in favore delle singole Province, i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province espongono queste ultime a una responsabilità per i danni cagionati dagli animali selvatici, atteso che l'esercizio di tali poteri è indirizzato sia alla tutela del complessivo equilibrio dell'ecosistema sia alla sicurezza dei soggetti potenzialmente esposti ai danni derivanti dagli imprevedibili comportamenti della fauna (Cass. Civ., Sez. III, 28 febbraio 2020, n. 4004).
La disciplina regionale nel Lazio La materia è disciplinata dalla legge regionale 16 Marzo 2015, n. 4 (“Interventi regionali per la conservazione, la gestione, il controllo della fauna selvatica, la prevenzione e l'indennizzo dei danni causati dalla stessa nonché per una corretta regolamentazione dell'attività faunistico-venatoria. Soppressione dell'osservatorio faunistico-venatorio regionale”). In particolare, l'art. 2, comma 1, lett. l) stabilisce che «per il perseguimento delle finalità di cui all'articolo 1, la Regione promuove, favorisce o realizza, in particolare, il seguente sistema di interventi: (…) l'indennizzo dei danni causati dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria»; L'art. 4, comma 3 prevede, poi, che «la gestione dei danni sia sul territorio a caccia programmata così come previsto dalla legge regionale 2 maggio 1995, n. 17 (Norme per la tutela della fauna selvatica e la gestione programmata dell'esercizio venatorio) e successive modifiche, sia negli istituti previsti dalla medesima norma, è di competenza della struttura che si avvale delle aree decentrate dell'agricoltura (ADA)». La “struttura” in questione è la “struttura organizzativa regionale”, di cui all'art. 3, comma 1 della medesima legge. L'art. 5 dispone, altresì, che «1. Ai fini della prevenzione dei danni causati dalla fauna selvatica alle attività agricole, zootecniche o ad altre attività umane ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera e), la Regione promuove e finanzia le misure individuate con il programma operativo annuale di cui all'articolo 8. 2. Tra le misure di cui al comma 1, rientrano in particolare: a) la realizzazione e la manutenzione di opere, quali le recinzioni, dirette alla difesa delle colture agricole e degli allevamenti; b) la realizzazione di sistemi di alimentazione complementare, quali le coltivazioni a perdere e il foraggiamento dissuasivo». Importante è, poi, l'art. 7, comma 1, secondo cui «Oltre quanto previsto in materia di indennizzo all' articolo 4, l'indennizzo dei danni causati dalla fauna selvatica alle attività agricole è a carico dei: a) titolari di aziende faunistiche-venatorie, aziende agro-turistico-venatorie, centri privati di produzione della fauna selvatica, allevamenti di fauna selvatica e zone addestramento cani, qualora i danni si siano verificati nei fondi inclusi nelle medesime strutture; b) titolari delle zone per le prove cinofile, qualora i danni si siano verificati nei fondi ricompresi in tali zone; c) proprietari o conduttori dei fondi di cui all'articolo 15, commi 3 e 8 della l. 157/1992 e successive modifiche, qualora i danni si siano verificati nei fondi medesimi”. Infine, l'art. 10 comma 3 dispone che “Nelle more dell'esecutività della deliberazione di approvazione del primo programma, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 42 e 42 bis della l.r. 17/1995 e successive modifiche, dell'articolo 1, comma 18, della legge regionale 11 agosto 2008, n. 14, relativo al fondo per la prevenzione dei danni provocati dalla fauna selvatica nelle aree naturali protette regionali e dell'articolo 35 della legge regionale 24 dicembre 2008, n. 31, relativo al fondo per l'indennizzo dei danni provocati dalla fauna selvatica nelle aree naturali protette regionali». Con l'entrata in vigore della Delibera di Giunta Regionale 19 luglio 2016, n. 413, di approvazione del Programma Operativo annuale, è divenuta efficace, a far data dal 9 agosto 2016, l'abrogazione degli artt. 42 e 42-bis della legge regionale 2 maggio 1995, n. 17 (“Norme per la tutela della fauna selvatica e la gestione programmata dell'esercizio venatorio”). In particolare, l'art. 42-bis, nel prevedere l'istituzione di un «Fondo regionale per la prevenzione ed il risarcimento dei danni a persone o a cose, causati dalla fauna selvatica”, al comma 2 disponeva che “La Giunta regionale con propria deliberazione, adottata ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo), definisce i criteri e le modalità per l'accertamento dei danni e la concessione dei relativi risarcimenti da parte delle province». Con la successiva Delibera della Giunta Regionale 27 luglio 2009, n. 599, erano stati definiti i criteri e le modalità per l'accertamento dei danni causati a persone o cose dalla fauna selvatica e la concessione dei relativi risarcimenti da parte delle Province. Per effetto dell'abrogazione del citato art. 42-bis, i sinistri avvenuti successivamente alla data di esecutività della citata delibera (pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 63 del 9 agosto 2016), non saranno più oggetto dell'istruttoria amministrativa e della relativa liquidazione da parte delle Province.
Conclusioni. Volendo, dunque, rispondere sinteticamente al quesito in oggetto, si può affermare che, sulla base della vigente normativa, in caso di sinistri stradali cagionati da animali selvatici, la Regione Lazio è il soggetto legittimato a risponderne, in quanto titolare dei relativi poteri di controllo, prevenzione e indennizzo. La responsabilità della Regione Lazio potrà, a seconda dei casi, concorrere con altri soggetti, come, ad esempio, il gestore del tratto stradale, laddove si riscontrino delle carenze manutentive, ovvero lo stesso danneggiato, in ipotesi di sua corresponsabilità nella causazione dell'evento lesivo.
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