Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte: integra il reato anche il trasferimento all'estero di fondi

08 Maggio 2020

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, previsto dall'art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è configurabile anche quando l'attività fraudolenta, finalizzata a sottrarre al pagamento debiti tributari relativi alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero ad interessi o sanzioni relativi a dette imposte...
Massima

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, previsto dall'art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n.74, è configurabile anche quando l'attività fraudolenta, finalizzata a sottrarre al pagamento debiti tributari relativi alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero ad interessi o sanzioni relativi a dette imposte, consiste nel trasferimento all'estero di fondi e, pertanto, nel loro occultamento all'azione di accertamento svolta dagli organi dell'amministrazione fiscale.

Il caso

L'indagato, cittadino di origine cinese, nel corso di un controllo valutario, verosimilmente compiuto all'atto di partire verso il Paese estero di origine, veniva trovato in possesso della somma di € 9750,00.

Il giudice per le indagini preliminari adottava nei suoi confronti decreto di sequestro preventivo di questa somma, ravvisando la sussistenza del fumus del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte previsto dall'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000.

Il Tribunale di Bari rigettava la richiesta di riesame presentata dall'indagato avverso il provvedimento di sequestro. In particolare, il collegio non riteneva attendibile la versione difensiva secondo cui le somme sequestrate appartenevano alla figlia, evidenziando, al contrario, che, trattandosi di trasporto di denaro, bene fungibile per eccellenza, per giunta facilmente occultabile, la condotta realizzata era potenzialmente idonea a consentire al debitore di sottrarsi alla responsabilità patrimoniale nei confronti dell'Erario. La circostanza che il denaro trasportato ammontasse ad un importo di poco inferiore al limite massimo trasportabile era ritenuta sintomatica della fraudolenza, elemento costitutivo del reato tributario di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, ritenuto integrato anche in caso di trasferimento clandestino di somme all'estero. Il sequestro preventivo, pertanto, è stata ritenuta una misura congrua a evitare la protrazione del reato e delle sue conseguenze.

Avverso l'ordinanza del tribunale, l'imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo che il reato ipotizzato non era configurabile, in quanto egli stesso, nel corso del controllo in materia valutaria, aveva dichiarato di avere con sé la somma sequestrata. Egli, quindi, non avrebbe compiuto alcun atto fraudolento o simulato, presupposto oggettivo necessario perché sia integrato il delitto indicato.

La questione

Un cittadino straniero cercava di lasciare il territorio nazionale portando con sé una somma di poco inferiore a quella limite che deve essere dichiarata. Tale condotta può integrare la sottrazione di beni alla garanzia patrimoniale dell'Erario punita dall'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000?

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha rigettato il ricorso, rilevando che la decisione del tribunale è conforme all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la condotta fraudolenta richiesta dall'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 può essere realizzata anche mediante il trasferimento di soldi all'estero (Cass., Sez. 3, n. 14007 del 25/10/2017, dep. 2018).

Secondo la difesa, invero, la condotta dell'indagato sarebbe pienamente lecita, perché la somma con la quale egli ha tentato di lasciare il territorio nazionale è inferiore, ancorché di poco, alla soglia della valuta da dichiarare. Tale azione, pertanto, non potrebbe essere ritenuta simulatoria o fraudolenta.

La Corte ha ritenuto questo assunto astrattamente corretto, perché non ogni atto dispositivo del debitore vale a integrare il reato previsto dall'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, essendo pur sempre necessario un artificio o un inganno (cfr. Cass., Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012).

La possibilità legale di esportare valuta all'estero in certi limiti, tuttavia, non vale ad escludere che, nel caso concreto, il trasferimento sia avvenuto proprio per sottrarre i beni alla garanzia patrimoniale dell'Erario, in quanto “l'artificio è costituito dal trasporto del denaro verso il paese estero d'origine, occultato sulla propria persona”. Né tale carattere fraudolento può considerarsi di per sé eliso dal fatto che l'indagato ha collaborato con gli agenti operanti, dichiarando, nel corso del controllo – e, dunque, solo dopo essere stato scoperto -, di avere con sé il denaro.

Il periculum per la soddisfazione delle ragioni dell'Erario, inoltre, “è insito nell'atto depauperativo che non consente la soddisfazione delle ragioni del creditore”.

Nel caso di specie, pertanto, non sussiste la violazione di legge prospettata, non ravvisandosi un error in iudicando, né un vizio della motivazione del provvedimento impugnato tanto radicale da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice.

Osservazioni

L'art. 11, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni. Tali atti devono essere idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, applicandosi una pena edittale più elevata laddove l'ammontare delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, sia superiore a duecentomila euro.

La norma incriminatrice, la cui portata applicativa è stata ampliata con l'introduzione al comma 2 di una nuova fattispecie dal d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito dalla l. n. 122 del 30 luglio 2010, ha un suo precedente storico nell'art. 97 del d.P.R. n. 602 del 1973, che, nella versione introdotta dalla legge n. 413 del 1991, puniva, con la reclusione fino a tre anni, il contribuente che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, soprattasse e pene pecuniarie dovuti, aveva compiuto, dopo che erano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o erano stati notificati gli inviti e le richieste previsti dalle singole leggi di imposta, ovvero erano stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti sui propri o su altrui beni che avevano reso in tutto o in parte inefficace la relativa esecuzione esattoriale.

Rispetto alla norma originaria, nella previsione di cui all'art. 11 del d.lgs. 74 del 2000 è scomparso ogni riferimento alla necessità dell'effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale, essendo sufficiente che l'azione sia idonea a rendere inefficace l'esecuzione esattoriale. E' stato configurato, pertanto, un reato di pericolo concreto (Cass. Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2006). Per tale ragione, l'idoneità dell'atto a occultare i propri o altrui beni, va apprezzata secondo un giudizio "ex ante" che tenga conto anche della sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell'Erario, oltre che della capacità di pregiudicare l'attività recuperatoria dell'amministrazione finanziaria (Cass., Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018; Cass., Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, relativa ad una fattispecie di vendita di una particella immobiliare a società svizzera con soci non identificabili, in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione che aveva ritenuto sussistente il "fumus" del reato, senza motivare in ordine all'effettivo carattere simulato della predetta operazione immobiliare e alle conseguenze derivanti dalla stessa sulla capienza del patrimonio complessivo dell'indagata, rispetto alle pretese dell'Erario).

La condotta è integrata tanto da atti fraudolenti, quanto da alienazioni simulate.

L'alienazione può definirsi "simulata" - ossia finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale - quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) all'effettiva volontà dei contraenti (Cass., Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016). La stipulazione di un negozio giuridico simulato rende più difficoltoso il recupero del credito erariale, poiché è necessaria la declaratoria giudiziale della simulazione per superare l'effetto segregativo dell'atto dispositivo (Cass. n. 20862 del 07/11/2017, dep. 2018).

Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, ad esempio, è integrato in caso di trasferimento di un immobile a titolo di mantenimento a seguito di separazione, allorquando sussista una dissociazione tra la realtà documentata nell'atto (inesistenza della comunione di vita materiale e spirituale tra i coniugi) e quella effettiva (persistenza di tale comunione), che può configurare la fraudolenza richiesta dalla norma, essendo indice della divergenza tra la funzione tipica dell'atto e la sua causa concreta (Cass., Sez. 3, n. 32504 del 4/12/2017, dep. 2018).

Il trasferimento effettivo del bene, invece, potrebbe integrare l'atto fraudolento. Tale ultima nozione, secondo un ormai consolidato indirizzo ermeneutico (Cass., Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012), concerne comportamenti, che possono essere anche formalmente leciti, ma che presentino elementi di inganno o di artificio. Può definirsi fraudolento, pertanto, l'atto che si risolve in uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione.

Il presupposto dell'altruità del bene alienato simulatamente o oggetto di atto fraudolento, inoltre, si riferisce non solo ai beni di proprietà del debitore, ma anche a quelli che siano comunque nella sua disponibilità. La Corte, pertanto, ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di aziende detenuto in subaffitto dalla società debitrice (Cass. n. 14606 del 17/11/2017, dep. 2018).

Uno dei profili problematici che l'applicazione della norma presenta è rappresentato dalla qualificazione degli atti dispositivi.

Tali atti sono oggettivamente idonei ad eludere l'esecuzione esattoriale; essi, però, ove determinano un trasferimento effettivo del bene e, dunque, non siano totalmente o parzialmente simulati, non hanno di per sé natura fraudolenta; possono peraltro presentare tale connotazione nel caso in cui ricorrano elementi di inganno o di artificio, cioè costituiscano parte di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione (Cass., Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018).

Non basta dunque, perché sia configurabile il reato, che l'atto costituisca un ostacolo all'azione di recupero del bene da parte dell'Erario. E' invece necessario il compimento di atti che, nell'essere diretti a questo fine, si caratterizzano per la loro natura simulatoria o fraudolenta (Cass., Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018).

Su questo specifico punto, va rilevato che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, seppur nell'ambito di una più ampia riflessione sul concetto di atti simulati o fraudolenti di cui all'art. 388 cod. pen., norma il cui schema risulta richiamato dall'art. 11 d. lgs. n. 74 del 2000, hanno affermato che sarebbe in contrasto con il principio di legalità una lettura della norma che facesse coincidere il requisito della natura fraudolenta degli atti con la loro mera idoneità alla riduzione delle garanzie del credito (Cass., Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017).

Il reato, poi, è configurabile anche nel caso di trasferimento a titolo gratuito di beni immobili o mobili registrati, suscettibili di espropriazione (Cass., Sez. 3, n. 32504 del 04/12/2017, dep. 2018).

Sul piano dell'elemento soggettivo, ai fini della integrazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, presupposto la sussistenza del dolo specifico di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte (Cass., Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015, dep. 2016; Cass., Sez. 3, n. 27143 del 22/04/2015; Cass., Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008).

È stato ritenuto che la costituzione di un fondo patrimoniale non esonera dalla necessità di dimostrare, sia sotto il profilo dell'attitudine della condotta, sia in relazione al dolo, che la creazione del patrimonio separato sia idonea e finalizzata ad evitare il soddisfacimento dell'obbligazione tributaria. Al riguardo, il giudice è tenuto a motivare sulla ragione per cui la segregazione patrimoniale rappresenta, in concreto, uno strumento idoneo a rendere in tutto o in parte inefficace il recupero del credito erariale (Cass., Sez. 3, n. 47827 del 12/07/2017; Cass., Sez. 3, n. 9154 del 19/11/2015, dep. 2016).

La sentenza illustrata, nell'ambito del panorama giurisprudenziale illustrato, si segnala perché ha fatto applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui anche il clandestino trasferimento all'estero di fondi può costituire l'atto fraudolento che integra il reato in esame, in quanto determina l'occultamento delle somme che sono sottratte all'azione di accertamento e alla verifica degli organi dell'amministrazione fiscale (Cass., Sez. 3, n. 14007 del 25/10/2017, dep. 2018). In questo senso, essa riflette un indirizzo giurisprudenziale consolidato.

Suscita qualche perplessità, tuttavia, il fatto che la somma rivenuta nel corso del controllo fosse inferiore, ancorché di poco, alla soglia minima da dichiarare all'atto dell'espatrio.

Come è noto, il trasporto di valuta e titoli al seguito, sia in ingresso, sia in uscita dal territorio italiano, è consentito senza necessità di dichiarazione per importi inferiori a € 10.000,00. Va presentata, invece, apposita dichiarazione se il denaro contante da portare al seguito è di importo pari o superiore a tale limite. La dichiarazione va presentata agli Uffici delle Dogane (art. 3 del d.lgs. 19 novembre 2008, n. 195). Tale obbligo, oltre che nei confronti di tutti i Paesi terzi, vige anche per i trasferimenti tra l'Italia e gli altri Paesi comunitari.

L'indagato, pertanto, non era tenuto a dichiarare la somma detenuta. Ciò nonostante, la Corte ha ritenuto corretto la valutazione del tribunale che ha ravvisato un elemento sintomatico del carattere fraudolento dell'operazione nel fatto che la somma trasportata, verosimilmente proprio per evitare la dichiarazione doganale, fosse di poco inferiore alla soglia massima prevista dalla legge.

A tale profilo, poi, è stato aggiunto il riferimento alla circostanza che il denaro fosse occultato e che sia stato dichiarato dall'indagato solo in occasione del controllo.

Un altro aspetto delicato su cui si deve riflettere concerne il fatto che l'indagato fosse cittadino straniero, nella specie di origine cinese.

E' stato precisato che il reato in esame è un illecito di pericolo, per la cui configurabilità è sufficiente che, verificata ex ante, l'azione sia idonea a vanificare l'esecuzione fiscale. Si tratta però di un reato di pericolo concreto, per cui pare necessario che sussista almeno la dimostrazione, anche solo indiziaria, che l'indagato fosse tenuto ad adempiere obblighi fiscali nel nostro Stato.

Il reato, inoltre, presuppone la dimostrazione della sussistenza del dolo di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte. Anche in questa prospettiva parrebbe necessario ravvisare la dimostrazione della sussistenza di obblighi fiscali nel nostro Paese.

Deve rilevarsi, peraltro, che la sentenza in esame è stata emessa a seguito di impugnazione di un provvedimento cautelare reale.

Il presupposto del sequestro è rappresentato dal mero fumus commissi delicti, che non deve integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273 cod. proc. pen., necessitando soltanto dell'esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l'evento punito dalla norma penale alla condotta dell'indagato (Cass., Sez. 3, n. 3722 del 11/12/2019).

Per mera completezza, appare opportuno segnalare che l'art. 39, comma 1, lett. q), del d.l. n. 124 del 2019 ha inserito nel d.lgs. n. 74 del 2000 l'art. 12-ter, in forza del quale è stata estesa ai reati tributari anche la confisca “in casi particolari” o “allargata”.

Secondo questa nuova disposizione, in caso di condanna o di applicazione della pena per alcuni delitti in materia di imposte sui redditi e IVA, si applica l'istituto di cui all'art. 240-bis cod. pen., con la confisca di denaro, beni o altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito. Tra i reati “presupposto” della confisca vi è anche:

  • la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di cui all'art. 11, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, quando l'ammontare delle imposte, delle sanzioni e degli interessi è superiore ad euro centomila;
  • la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di cui all'art. 11, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, quando l'ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a euro duecentomila.

La nuova norma, con riferimento al reato in esame, fa riferimento a una soglia di “evasione” che rende ammissibile il ricorso alla confisca per sproporzione, la quale è costituita dalla somma di imposta non versata, sanzioni e interessi evasi. In questo modo, evoca l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui il profitto del reato tributario è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito per effetto della consumazione del reato e, dunque, può consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, degli interessi e delle sanzioni dovute a seguito dell'accertamento del debito tributario (Cass., Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013). Tale principio, invero, è stato affermato proprio in relazione alla peculiare figura delittuosa in esame: il profitto, quale risparmio del contribuente, non può che essere calcolato con riferimento alla totalità del credito vantato dall'erario, essendo del tutto indifferente la natura delle voci che lo compongono, dato che la condotta illecita è finalizzata ad evitarne complessivamente il pagamento.

La giurisprudenza ha successivamente precisato che questo principio non può essere esteso alla determinazione del profitto dei reati fiscali dichiarativi ovvero di omesso versamento delle imposte. In questi casi, il profitto è rappresentato dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, che non può avere ad oggetto le sanzioni dovute a seguito dell'accertamento del debito, le quali rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione (Cass., Sez. 3, n. 28047 del 20/01/2017). Con riferimento ai reati dichiarativi, caratterizzati dalla evasione di imposta, in particolare, la sanzione non rientra nel concetto di profitto del reato, costituendo invece il costo originato dalla commissione del reato. La circostanza che il mancato versamento di un tributo determini l'ulteriore obbligo di corrispondere altre somme a titolo di sanzione è una conseguenza prevista dal sistema tributario, sicché l'importo di tale somme non può rientrare nel calcolo del risparmio di spesa, che il contribuente ha ricavato non pagando l'originario importo dovuto a titolo di imposta, ciò che integra il profitto del reato (Cass., Sez. 3, n. 17535 del 6/02/2019, Antonelli, Rv. 275445).

Sul tema della determinazione del profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, la giurisprudenza di legittimità ha poi compiuto una altra precisazione.

È stato affermato, infatti, che il profitto di tale reato, piuttosto che consistere nell'importo delle imposte non pagate, debba essere individuato nell'entità della riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell'amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma (Cass., Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015; Cass., Sez. 3, n. 40534 del 06/05/2015).

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