Illegittima l'ipoteca su fondo patrimoniale per debiti tributari scaturenti da una partecipazione societaria

13 Maggio 2020

L'Agenzia delle Entrate e Riscossione non può iscrivere ipoteca sui beni del fondo patrimoniale se il debito del contribuente deriva dalla sua partecipazione societaria e non è stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.
Massima

L'Agenzia delle Entrate e Riscossione non può iscrivere ipoteca sui beni del fondo patrimoniale se il debito del contribuente deriva dalla sua partecipazione societaria e non è stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.

Il caso

Confermato dunque l'esito della CTR Puglia secondo cui l'ipoteca sui beni del fondo patrimoniale non può essere iscritta per debiti contratti per scopi estranei ai bisogni familiari, e nella specie di trattava di debiti tributari per attività di impresa i cui proventi non sono destinati ai bisogni della famiglia.

La questione

La questione fondamentale trattata dalla possibilità da parte dell'ente di riscossione di iscrivere ipoteca sui beni costituiti in un fondo patrimoniale.

Le soluzioni giuridiche

Due sono i principi stabiliti dalla Cassazione con la pronuncia in commento:

  1. l'art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell'esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all'iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all'art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973, sicché l'esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero - nell'ipotesi contraria - purché il titolare del credito, per il quale l'esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l'eventuale iscrizione comunque effettuata (cfr. Cass. 20998/2018);
  2. grava in capo al debitore opponente l'onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell'obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa.

Nel caso di specie il debitore aveva dimostrato non solo la circostanza della estraneità dei debiti alle esigenze della famiglia, ma anche che l'amministrazione finanziaria era in condizioni di rendersi conto di tale estraneità, poiché desumibile dal fatto stesso che si tratta di debiti derivanti dalla partecipazione quale mero socio di capitali ad una certa società, investimenti distinti dalla attività lavorativa, svolta nell'ambito di altra e diversa ditta che è invece quella da cui la famiglia trae sostentamento.

Sul punto si ricorda la recentissima ordinanza n. 5017/2020 con cui la Cassazione ha stabilito che non possono essere sottratti all'azione esecutiva dei creditori i beni costituiti per bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione del tenore di vita familiare, così da ricomprendere anche i debiti derivanti dall'attività professionale o di impresa di uno dei coniugi qualora il fatto generatore dell'obbligazione sia stato il soddisfacimento di tali bisogni, da intendersi in senso ampio (cfr. Cass. 3738/2015, 22761/2016 e 1806/2018).

Nel caso di specie la circostanza che il contribuente percepisse altri redditi da lavoro che, sommati a quelli del coniuge, erano "sufficienti" a soddisfare le esigenze della famiglia, è stata ritenuta affermazione tautologica e non provata da parte del debitore opponente.

Osservazioni

L'inserimento di beni in un fondo patrimoniale non osta, in generale, all'iscrizione sugli stessi dell'ipoteca da parte di Equitalia: ciò in quanto le preclusioni previste dall'art. 170 c.c. (che prevede il divieto di esecuzione sui beni del fondo tranne che per obbligazioni contratte per soddisfare i bisogni della famiglia) attengono solo all'esecuzione vera e propria, rappresentando l'ipoteca iscritta da Equitalia un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria (cfr., Cass. n. 10794/2016).

Come risulta dall'art. 167 c.c., l'istituto del fondo patrimoniale consiste nel vincolo posto su determinati beni (mobili iscritti in pubblici registri, immobili e titoli di credito) finalizzato alla soddisfazione degli interessi familiari; in sostanza viene creato un patrimonio separato (con limitazione della responsabilità patrimoniale generica prevista dall'art. 2740 c.c.) garantito dal contenimento dei poteri dispositivi in capo ai costituenti. La ratio dell'istituto del fondo patrimoniale non risiede nel porre uno o più beni, costituiti in patrimonio separato, al riparo dai rischi dell'attività economica svolta da uno o da entrambi i coniugi, ma nel vincolare i beni stessi al soddisfacimento dei bisogni famiglia intesa nella sua accezione di comunità nucleare.

Il vincolo dei beni è finalizzato a destinare gli stessi all'esclusivo soddisfacimento delle finalità familiari (di mantenimento, assistenza e contribuzione ai bisogni della famiglia) e giustifica il divieto di esecuzione sui beni destinati al fondo (e sui relativi frutti) che rispondono soltanto per le obbligazioni assunte nell'interesse della famiglia. E' irrilevante a tal proposito il momento della nascita dell'obbligazione, visto che il divieto in parola opera non solo per i crediti sorti successivamente alla costituzione del fondo ma anche per i crediti antecedenti, salva la possibilità per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in revocatoria ordinaria: a tal fine la costituzione del fondo si considera atto a titolo gratuito (Cass. sent. n. 3251/1996 e 4933/2005).

I beni inseriti nel fondo patrimoniale potranno, quindi, essere oggetto di esecuzione sia laddove il debito tributario possa essere comunque ricondotto a interessi familiari (in tal caso il divieto non sarebbe opponibile all'Amministrazione) sia, comunque, a prescindere dalla finalità dell'obbligazione contratta, con la revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.

Compete al giudice del merito accertare se il debito per il quale l'agente della riscossione intende agire esecutivamente sui beni del contribuente soggetti alla costituzione di fondo patrimoniale ex art. 170 c.c. sia riconducibile alle necessità della famiglia.

Quanto poi ai criteri cui tale accertamento deve conformarsi, i giudici di legittimità ricordano che sono ricompresi nei detti bisogni familiari, anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (Cass. n. 5684/06), laddove peraltro anche operazioni meramente speculative possono essere ricondotte ai bisogni della famiglia, allorché appaia certo, in punto di fatto, che esse siano state poste in essere al solo fine di impedire un danno sicuro al nucleo familiare.

Va precisato che è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia (Cass. 8991/03, 12998/06), per cui risultano erronee le sentenze che ritengano di eludere il divieto di esecuzione sui beni del fondo di cui all'art. 170 c.c. sulla base della natura legale e non contrattuale dell'obbligazione tributaria azionata in via esecutiva.

L'accertamento della finalità del debito (ovvero se il debito possa dirsi contratto o meno per soddisfare i bisogni della famiglia) è una tipica quaestio facti rimessa al giudice di merito (Cass. 11683/01, 12730/07).

Secondo i giudici di legittimità, quindi, se è vero che tale finalità (n.b. di natura familiare) non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell'esercizio dell'impresa, è evidente tuttavia che la richiamata circostanza non è, a contrario, nemmeno idonea ad escludere in via di principio che il debito possa dirsi contratto per soddisfare detti bisogni.

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