Lista Falciani e onere della prova: quando la palla passa al contribuente

Giancarlo Marzo
21 Maggio 2020

L'Amministrazione Finanziaria rimane legittimata a contestare l'omessa dichiarazione di attività finanziarie detenute in Paesi a regime fiscale privilegiato sulla sola base dei dati riportati nella cd. Lista Falciani, senza necessità che ricorrano ulteriori elementi a supporto. Ciò in quanto anche un unico indizio può risultare di per sé idoneo a fondare la pretesa erariale, purché dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Massima

L'Amministrazione Finanziaria rimane legittimata a contestare l'omessa dichiarazione di attività finanziarie detenute in Paesi a regime fiscale privilegiato sulla sola base dei dati riportati nella cd. Lista Falciani, senza necessità che ricorrano ulteriori elementi a supporto. Ciò in quanto anche un unico indizio può risultare di per sé idoneo a fondare la pretesa erariale, purché dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Tuttavia, avendo la Lista contenuto meramente indiziario, il contribuente è libero di offrire elementi che ne superino l'elevata valenza probabilistica. Sarà quindi suo onere, laddove opponga, con riferimento alle medesime disponibilità, l'efficacia preclusiva di uno scudo fiscale, fornire elementi contrari da cui desumere una ricostruzione dei fatti difforme dai dati ricavabili dalla Lista, sia in termini di riconducibilità ad esso delle somme imputate che di entità delle somme medesime.

Il caso

La vicenda in esameorigina da un atto di contestazione e irrogazione di sanzioni, notificato nel 2012 al Sig. T. per omessa compilazione del quadro RW. In particolare, il contribuente aveva mancato di indicare, nella dichiarazione reddituale relativa all'anno di imposta 2005, le attività finanziarie detenute in Svizzera e quantificate dall'Agenzia delle Entrate in oltre due milioni di euro. Con la conseguenza che l'Ufficio aveva applicato la cd. presunzione legale di evasione per equivalente di cui all'art. 12 del D.L. n.78 del 1° luglio 2009, convertito in Legge n. 102 del 3 agosto 2009, a mente del quale i capitali detenuti in territori a regime fiscale privilegiato, in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale (art. 4 D.L. n. 167/1990), vengono equiparati, salvo prova contraria, a redditi sottratti a tassazione.

In effetti, il nominativo del contribuente rientrava tra quello dei sette mila italiani individuati come potenziali evasori grazie alla cd. Lista Falciani. Parliamo dei correntisti della Banca ginevrina HSBC che, dopo l'operazione di spionaggio economico realizzata dal dipendente italo-francese Hervè Falciani, approfittando dello scudo fiscale nel 2009, si affrettavano a chiudere o svuotare i suddetti conti offshore, già utilizzati presumibilmente per il deposito di denaro da occultare al Fisco.

La sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, che rigettava il ricorso interposto dal contribuente avverso l'atto impositivo, veniva riformata in secondo grado dalla Commissione Tributaria Regionale. Quest'ultima, in accoglimento della doglianza avanzata dal contribuente nell'atto di gravame, decretava precluso l'accertamento fiscale in virtù del perfezionamento del rimpatrio in Italia della somma di 329.372 euro, quale valore di mercato di 290.000 azioni Telecom; importo, questo, assai inferiore rispetto a quello accertato dall'Ufficio, a detta del contribuente a causa del deprezzamento subito dalle medesime azioni al momento del rimpatrio.

L'Agenzia delle Entrate proponeva, quindi, ricorso per Cassazione, chiedendo l'integrale riforma della sentenza di II grado.

Ebbene, la Corte di Cassazione- con la pronuncia in commento - ha ritenuto fondata l'impugnazione dell'Ufficio e, per l'effetto, ha cassato la sentenza impugnata, rinviando alla C.T.R. in diversa composizione per un nuovo esame della questione.

La questione

Diverse sono le questioni sviscerate dalla Corte di Cassazione nella sentenza in esame.

Dopo essersi espressa con riferimento all'operatività, sotto il profilo temporale, della presunzione legale di evasione per equivalente, ex art. art. 12, comma 2, del D.L. n. 78/2009, la Corte di legittimità si è concentrata, ancora una volta, sul rilievo probatorio della Lista Falciani e sulla conseguente ripartizione dell'onere probatorio all'interno del processo tributario.

Due, in particolare, le censure prospettate dall'Agenzia delle Entrate su cui la Corte si è espressa. La prima è l'asserita violazione e falsa applicazione, da parte della C.T.R., degli art. 12, comma 2, 13 bis e 14 del D.L. n. 78/2009, avendo illegittimamente addossato all'Ufficio l'onere di provare che le predette disponibilità finanziarie - ove davvero riconducibili al contribuente in virtù della Lista Falciani- rimanessero scoperte dagli effetti benefici dello scudo fiscale.

La seconda è la pretesa contraddittorietà della motivazione in quanto, a detta dell'Ufficio, il Collegio di secondo grado avrebbe, da un lato, affermato l'utilizzabilità della Lista Falciani ai fini della decisione, sulla scia di alcuni precedenti giurisprudenziali della stessa Corte di Cassazione; dall'altro, però, avrebbe poi ritenuto insufficienti gli elementi probatori attinti dalla Lista medesima quanto alla riferibilità degli importi oggetto di contestazione ai capitali scudati e, quindi, alla loro sicura quantificazione.

La soluzione giuridica

Nel ritenere fondata la prima delle due eccezioni, gli Ermellini hanno innanzitutto ribadito l'orientamento già precedentemente espresso in ordine all'impossibilità di applicare, in via retroattiva, l'art. 12, comma 2, del D.L. n. 78/2009. Dal momento che la norma in parola ha natura sostanziale, bisogna escludere che la stessa possa operare con riferimento a periodi di imposta precedenti alla propria entrata in vigore (2009).

Nonostante l'inapplicabilità della presunzione legale di evasione per equivalente all'atto impugnato dal contribuente, in quanto riferito all'anno 2005, la Corte è giunta comunque a cassare la sentenza di II grado, ritenendo erroneo il ragionamento seguito dai Giudici di merito rispetto alla ripartizione dell'onere della prova tra le parti.

Vero è che la Corte di Cassazione ha escluso l'esistenza di un contrasto irriducibile tra l'astratta utilizzabilità della Lista Falciani e la valutazione, realizzata dalla C.T.R. in concreto, circa l'insufficienza degli elementi dalla stessa Lista tratti dall'Ufficio relativamente all'entità delle attività estere accertate. Ma è altrettanto vero che, ad avviso degli Ermellini, l'onere di giustificare l'incoerenza tra l'ammontare delle disponibilità facenti capo al contribuente sulla base della Lista Falciani e l'entità delle somme oggetto di scudo fiscale rimane in capo al contribuente. In altre parole, per godere dell'effetto preclusivo all'accertamento derivante dall'art. 14, comma 1, lett. a) del D.L. n. 350/2001, convertito con modificazioni dalla Legge 23 novembre 2001, n. 409, è il contribuente che deve offrire elementi idonei a superare le risultanze della Lista Falciani e che, comunque, non possono esaurirsi nell'addotto deprezzamento delle azioni Telecom o in presunti errori di calcolo commessi dai verificatori, stante il consistente divario tra i rispettivi importi.

Previo esplicito riferimento alle precedenti sentenze nn. 8605 e 8606 del 2015, la Corte ha infatti rinnovato le argomentazioni concernenti la possibilità, per l'Amministrazione finanziaria, di fondare la pretesa fiscale anche su un solo elemento probatorio, purché dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Questo significa che l'indizio deve consentire di trarre, da un fatto noto che sia ben determinato nella sua realtà storica, un fatto ignoto che sia altamente probabile secondo l'id quod plerumque accidit e che possa eventualmente trovare conforto in una pluralità di indizi altrettanto gravi e precisi.

E tale è, secondo la Corte, la Lista Falciani. Come già ricordato, infatti, con l'ordinanza n. 9760 del 13 maggio 2015 che la stessa Corte cita, la scheda clienti tratta dalla Lista Falciani non può dirsi priva di valore probatorio, sol perché la Lista medesima non risulta riprodotta su carta intestata della Banca HSBC o non v'è certezza circa il suo effettivo autore. Al contrario, per gli Ermellini, l'attendibilità di tale Lista viene indirettamente confermata dalla natura illecita della sua provenienza, essendo pacifico che i dati che la compongono siano stati trafugati dall'archivio informatico della Banca HSBC da un dipendente dell'istituto stesso, Hervé Falciani, in violazione dei suoi doveri nei confronti del datore di lavoro. Con la conseguenza che, visto l'alto tasso di probabilità che i dati di cui si discute siano conformi al vero, la scheda clienti tratta dalla Lista Falciani non può essere considerata alla stessa stregua di un foglio anonimo, a meno di violare l'art. 2729 c.c.

Ciò non toglie però, che la Lista rimanga un elemento indiziario, come tale non vincolante per il Giudice, il quale è sempre libero di fondare il proprio convincimento sulla base di una valutazione complessiva del materiale probatorio in atti. Per dirla diversamente, l'indizio in parola può sempre essere smentito nel suo risultato dimostrativo, purché di ciò si faccia carico il contribuente, offrendo elementi ulteriori e tali da fornire una ricostruzione dei fatti difforme dai dati ricavati dalla Lista. In questo senso, quindi, è onere del contribuente, ex art. 2697 c.c., fornire allegazioni adeguate a contraddire le risultanze della Lista stessa, affievolendone così il valore probatorio.

Osservazioni

La soluzione prospettata dalla Cassazione si pone in perfetta linea con la passata giurisprudenza e non lascia ormai alcun dubbio in ordine all'utilizzabilità, a fini accertativi, dei dati contenuti nella Lista Falciani, seppur trafugati ed acquisiti illegittimamente.

Ma è proprio questo ciò che più lascia perplessi.

A ben guardare, infatti, la valenza probatoria della Lista Falciani va inquadrata nel più ampio problema del travaso delle prove aliunde ottenute nel processo tributario, ivi incluse quelle formate illecitamente. In altre parole, ammettere con facilità - come sembra ormai orientata la Giurisprudenza di legittimità - la trasmigrazione di prove tra plessi giurisdizionali diversi o, comunque, l'utilizzabilità ai fini probatori di elementi formati al di fuori delle garanzie pensate a tutela del contribuente, rischia di compromettere definitivamente il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. Non basta cioè escludere un automatismo nel giudizio, rendendo il giudice libero di apprezzare l'efficacia dimostrativa della Lista senza alcun vincolo, se poi la si ritiene di per sé sufficiente a determinare un'inversione dell'onere della prova in capo al contribuente, ancor più considerandone la provenienza illecita. L'unico modo per depurarla di questo suo “peccato originale”, sarebbe forse ammetterne l'utilizzo soltanto in concomitanza con altri mezzi di prova eventualmente disponibili purché gravi, precisi e concordanti, nel loro insieme valutati criticamente e autonomamente ai fini della risoluzione della controversia. Com'è, d'altronde, per tutte le prove provenienti da un processo penale o aliunde formate. Pretendere che il contenuto della Lista sia corroborato da ulteriori evidenze a supporto sembra l'unico compromesso possibile tra l'esigenza del Fisco di recuperare i capitali evasi utilizzando fonti comunque raccolte e l'inalienabile diritto di difesa del contribuente.

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