Sentenza favorevole al contribuente: la compensazione delle spese di lite legittima solo se ben motivata

Francesco Brandi
19 Giugno 2020

La pronuncia che, nonostante la soccombenza totale di una parte, sancisca la compensazione delle spese di giudizio deve essere annullata se la motivazione è incomprensibile. Infatti, in presenza di una parte risultata totalmente vittoriosa, la deroga al criterio della soccombenza è consentita solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente indicate.
Massima

La pronuncia che, nonostante la soccombenza totale di una parte, sancisca la compensazione delle spese di giudizio deve essere annullata se la motivazione è incomprensibile. Infatti, in presenza di una parte risultata totalmente vittoriosa, la deroga al criterio della soccombenza è consentita solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente indicate.

Il caso

La CTR del Lazio aveva riformato la decisione di primo grado, accogliendo l'appello della contribuente ma compensando le spese di lite del doppio grado di giudizio con la motivazione che alla soccombenza non si riteneva di far seguire la condanna al pagamento delle spese, che dovevano pertanto essere integralmente compensate, a motivo dell'instaurazione del giudizio in data antecedente al D.Lgs. n. 156/2015.

La controversia è così giunta in Cassazione dove la ricorrente ha denunciato violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992 deducendo che la motivazione posta a base della compensazione era incomprensibile, rimandando a una disposizione normativa che sarebbe stata applicabile in relazione alla disciplina del tempus regit actum.

Va ricordato che, in virtù del principio tempus regit actum, gli atti processuali sono regolati dalla legge sotto il cui imperlo sono posti in essere (Corte Cost., sent. n. 155/90). Vero è che il principio può trovare eccezioni, nel caso di disposizioni transitorie espresse che prevedano che "i processi già in corso" continuano ad essere disciplinati dal rito vigente alla data di proposizione della domanda (Cass. Civ., n. 13165/2016).

Le questioni

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento è data dalla possibilità per il giudice tributario di disporre la compensazione delle spese di lite anche in caso di soccombenza di una parte del processo. Alla luce del'odierno assetto del giudizio tributario i margini di manovra sembrano molto ridotti.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione con l'ordinanza n. 7489/2020, nell'accogliere la domanda, ha affermato che la sentenza impugnata non consente di individuare le ragioni che hanno indotto il giudicante a compensare le spese del giudizio nel quale è risultata vittoriosa la contribuente. Infatti l'art. 9 del D.Lgs. 156/2015, applicabile dal primo gennaio 2016, prevede che le spese possono essere compensate in presenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono espressamente motivate. Ebbene, ha proseguito la Cassazione, questa disposizione è applicabile anche al caso in esame dal momento che la sentenza della Ctp è intervenuta in epoca successiva al gennaio 2016. Ne consegue, ha concluso il collegio, che la Ctr non si è attenuta al principio indicato in quanto, “pur in presenza di soccombenza totale, ha disposto la compensazione delle spese processuali su presupposti inintelligibili, escludendo di dovere motivare la compensazione ed errando nel ritenere non applicabile la disciplina appena ricordata”.

Sul punto si ricorda che con l'art. 9, comma 1, lettera f) del D.Lgs. n. 156/2015 è stato modificato l'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, in materia di spese di giudizio. La modifica normativa sembra andare nella direzione tracciata dalla Cassazione.

Il principio ispiratore delle modifiche in tema di spese processuali risiede nell'esigenza, da un lato, di scoraggiare l'abuso dello strumento processuale e favorire l'utilizzo degli strumenti deflattivi del contenzioso e, dall'altro, di evitare che la parte sia costretta a sopportare gli oneri del giudizio nel caso di pretesa tributaria infondata.

In ossequio agli indicati principi, con la modifica dell'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, è stato ribadito il criterio secondo cui le spese del giudizio seguono la soccombenza, mentre la possibilità per la commissione tributaria di compensare in tutto o in parte le spese - traslata al comma 2 della norma in esame - è stata consentita solo “in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.

In altri termini, la parte che risulti soccombente nel merito deve essere condannata a rimborsare le spese del giudizio liquidate con la sentenza, salvo compensazione delle medesime che può essere disposta solo qualora siano presenti le condizioni alternative della soccombenza reciproca (cfr, tra le altre, Cassazione 901/2012) o della sussistenza, nel caso concreto, di gravi ed eccezionali ragioni, espressamente motivate dal giudice nel provvedimento che decide sulle spese.

Osservazioni

Con l'art. 9, comma 1, lettera f) del D.Lgs. n. 156/2015 è stato modificato l'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, in materia di spese di giudizio. La modifica normativa sembra andare nella direzione tracciata dalla Cassazione.

Il principio ispiratore delle modifiche in tema di spese processuali risiede nell'esigenza, da un lato, di scoraggiare l'abuso dello strumento processuale e favorire l'utilizzo degli strumenti deflattivi del contenzioso e, dall'altro, di evitare che la parte sia costretta a sopportare gli oneri del giudizio nel caso di pretesa tributaria infondata.

In ossequio agli indicati principi, con la modifica dell'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, è stato ribadito il criterio secondo cui le spese del giudizio seguono la soccombenza, mentre la possibilità per la commissione tributaria di compensare in tutto o in parte le spese - traslata al comma 2 della norma in esame - è stata consentita solo “in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.

In altri termini, la parte che risulti soccombente nel merito deve essere condannata a rimborsare le spese del giudizio liquidate con la sentenza, salvo compensazione delle medesime che può essere disposta solo qualora siano presenti le condizioni alternative della soccombenza reciproca (cfr, tra le altre, Cass. Civ. n. 901/2012) o della sussistenza, nel caso concreto, di gravi ed eccezionali ragioni, espressamente motivate dal giudice nel provvedimento che decide sulle spese.

Ci si è discostati, dunque, dal testo dell'art. 92 c.p.c. - richiamato nella precedente formulazione - secondo cui la compensazione è possibile solo in caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. Si può, tuttavia, ritenere che i criteri offerti dal codice di procedura civile continuino a rilevare, in quanto comunque integranti le eccezionali circostanze richieste dalla nuova formulazione.

La Corte di cassazione ha evidenziato che “L'individuazione del soccombente si fa in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno anticipato nel processo, è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo protrarsi (Cass. Civ., 30 maggio 2000, n. 7182)”. Ha altresì chiarito che “La soccombenza… può essere determinata, anziché da ragioni di merito, per avere l'attore promosso il giudizio con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile e tale dichiarato dal giudice adito con pronunzia che ha definito il giudizio (cfr. Cass. 27 dicembre 1999, n. 14576), essendovi pure in tal caso il mancato accoglimento della domanda, ancorché per un impedimento di carattere processuale” (cfr. Cass. 15 luglio 2008, n. 19456).

La compensazione delle spese è ammissibile solo in caso di soccombenza reciproca o qualora concorrano altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate dal Giudice nella motivazione della pronuncia.

Tale impianto normativo è teso a tenere indenne la parte vittoriosa delle spese sostenute, ma anche a scoraggiare l'instaurazione e la prosecuzione di controversie che non abbiano un sufficiente grado di sostenibilità.

Per quanto concerne la definizione della nozione di soccombenza reciproca, significativa è la pronuncia della Cassazione n. 901/2012 che, secondo cui “la nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92 c.p.c., comma 2), sottende - anche in relazione al principio di causalità - una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero anche l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo” (cfr. anche Sez. 3, Ordinanza n. 22381 del 21/10/2009; Sez. 1, Sentenza n. 1906 del 26/05/1976)”.

Per il principio di soccombenza “virtuale” la condanna alle spese dovrebbe essere disposta anche ion caso di annullamento dell'atto impugnato per autotutela: ove così non fosse, vi sarebbe un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento (il ritiro dell'atto, nel caso dell'amministrazione, o l'acquiescenza alla pretesa tributaria, nel caso del contribuente) di regola determinato dal riconoscimento delle altrui ragioni cui corrisponde un altrettanto ingiustificato pregiudizio per la parte che subisce tale comportamento (nel caso concreto il contribuente che si è trovato costretto a impugnare l'atto viziato).

Non sempre però è legittimo disporre la condanna alle spese, dovendosi verificare caso per caso il comportamento tenuto dalle parti processuali: in questo contesto la compensazione delle spese potrebbe essere ragionevole nel caso in cui l'Ufficio dimostri in giudizio che i motivi di autotutela sono emersi soltanto a seguito dell'esame della documentazione esibita e/o dalle argomentazioni esposte soltanto in sede contenziosa o che l'annullamento dell'atto è stato disposto in ritardo a causa della oggettiva incertezza, a livello normativo o giurisprudenziale, delle questioni di fatto o di diritto oppure in virtù dello jus superveniens. (cfr. Cass. Civ., 19947/2010 e 15767/2017).

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