Non c'è elusione fiscale in presenza di legittimo risparmio d'imposta e reale obiettivo economico

30 Giugno 2020

In ambito tributario, non assurge ad elusione fiscale, non integrando la fattispecie dell'abuso del diritto, bensì costituisce legittimo risparmio d'imposta quello che origina dalla scelta del contribuente, tra più operazioni volte ad assicurargli una finalità economica, di quella che gli garantisca il trattamento fiscalmente meno oneroso, purché questo non culmini in un risparmio d'imposta illecito.
Massima

In ambito tributario, non assurge ad elusione fiscale, non integrando la fattispecie dell'abuso del diritto, bensì costituisce legittimo risparmio d'imposta quello che origina dalla scelta del contribuente, tra più operazioni volte ad assicurargli una finalità economica, di quella che gli garantisca il trattamento fiscalmente meno oneroso, purché questo non culmini in un risparmio d'imposta illecito. Non può, infatti, impingere in una norma generale di antielusione un comportamento attraverso il quale il soggetto passivo d'imposta abbia pianificato e ottimizzato la sua attività aziendale perseguendo un risparmio d'imposta unitamente ad un reale obiettivo economico.

Il caso

La vicenda in esame trae origine da una verifica fiscale conclusasi con l'emissione di un avviso di accertamento, mediante il quale l'Agenzia delle Entrate contestava alla società Beta S.r.l., tra le altre violazioni, l'elusività di un'operazione di acquisto di una partecipazione totalitaria nella società Gamma S.r.l.

Più precisamente, l'organo accertatore contestava che tale operazione, seguita dalla distribuzione di dividendi in favore della partecipante e dalla svalutazione della partecipazione acquistata per un ammontare corrispondente alla somma dei dividendi in questione, rispondeva alla mera finalità di aggirare le norme sul credito d'imposta sui dividendi.

Tale avviso veniva notificato alla società Beta S.r.l. e, poiché questa faceva parte di un gruppo di imprese, anche alla società capogruppo Alfa S.p.A., in qualità di responsabile in solido.

A seguito di impugnazione ad opera delle predette società, la competente Commissione tributaria provinciale, accogliendo parzialmente alcune delle doglianze proposte, dichiarava anche l'assenza di profili elusivi nell'operazione di acquisto di una partecipazione totalitaria nella società Gamma.

Pertanto, l'Agenzia delle Entrate proponeva appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che respingeva il gravame «sul mancato riconoscimento del credito d'imposta» e dichiarava altresì «inammissibile l'appello incidentale relativo all'elusione respingendolo per i ricavi non dichiarati».

In conseguenza di ciò, l'Ufficio ricorreva in Cassazione sulla base di due motivi, mentre le società Alfa S.p.A. e Beta S.r.l. resistevano con controricorso, avanzando inoltre ricorso incidentale articolato su sette motivi.

La questione

Ai fini che qui interessano, la principale questione giuridica posta all'attenzione della Suprema Corte verteva essenzialmente sul carattere elusivo o meno dell'operazione di acquisto di una partecipazione totalitaria nella società Gamma.

Con il ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate lamentava segnatamente la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 37-bis d.P.R. n. 600/1973 (ovvero del «divieto dell'abuso del diritto in ambito tributario»), ritenendo detta operazione elusiva in quanto, se le partecipazioni nella società Gamma non fossero state acquisite in misura totalitaria dalla società Beta, all'atto della distribuzione dei dividendi sarebbe venuto in rilievo un credito d'imposta di cui i relativi titolari avrebbero potuto far valere il diritto.

Altrimenti detto, l'Ufficio sosteneva che la società Beta, e suo tramite la società capogruppo Alfa, avesse esercitato un diritto di credito, avente ad oggetto l'imposta sui dividendi, che ab origine era nella titolarità dei soci persone fisiche di Gamma, nel senso che questi ultimi, all'atto della dismissione delle proprie quote sociali, beneficiavano già di tale credito, tanto da poterne esercitare il diritto o invocarne il rimborso.

Dunque, secondo la prospettazione erariale, l'operazione di acquisto di una partecipazione totalitaria nella società Gamma sarebbe stata progettata, sin dall'inizio, con l'unico fine di consentire alla capogruppo Alfa di beneficiare del credito d'imposta sui dividendi distribuiti.

Inoltre, si contestava che, ricorrendo a tale operazione, si è finito per agevolare sul piano economico-patrimoniale la società Beta, che di fatto è stata finanziata senza fare accesso al mercato del credito.

Al contrario, i giudici di appello avevano ravvisato la presenza di una valida ragione economica dell'operazione proprio nell'opportunità di finanziare la società Beta, bisognosa di disponibilità liquide funzionali al ripianamento delle esposizioni passive, mediante la traslazione del credito d'imposta sui dividendi; al contempo, questi avevano escluso il conseguimento di vantaggi fiscali indebiti nell'esercizio di un credito d'imposta già effettivo e concretamente adoperabile.

Disciplina applicabile

In materia di elusione fiscale, la disciplina ratione temporis vigente era contenuta segnatamente nell'art. 37-bis d.P.R. 600/1973, il quale prevedeva l'inopponibilità all'Amministrazione finanziaria degli atti, dei fatti e dei negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti.

Quindi, tale norma antielusiva rispondeva essenzialmente allo scopo di contrastare comportamenti posti in essere da società che, pur non violando norme sostanziali tributarie, determinavano una riduzione dell'onere fiscale.

In tale contesto, la Corte di Cassazione, spinta dalla giurisprudenza eurounitaria, inaugurava un nuovo filone giurisprudenziale, affermando l'esistenza di un generale divieto di abuso del diritto, ovvero di un divieto di utilizzo delle norme tributarie al fine di realizzare scopi diversi da quelli per cui tali norme sono state introdotte (cfr., Cass. sentenze nn. 30055 e 30057 del 2008).

Elusione fiscale e abuso del diritto finivano così per coincidere, sanzionando quelle condotte dirette ad aggirare le norme tributarie mediante un uso distorto degli strumenti giuridici a disposizione, al fine di ottenere risparmi d'imposta indebiti, ovvero non coerenti con lo spirito della legge tributaria e con i principi del sistema fiscale.

Dunque, gli elementi costitutivi della condotta abusiva-elusiva venivano individuati nell'assenza di sostanza economica dell'operazione (o delle operazioni combinate) e nel conseguimento di un vantaggio fiscale indebito.

Il fondamento di tale abuso veniva individuato proprio nel principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., il quale, legittimando sia le norme impositive in senso stretto sia quelle che attribuiscono benefici tributari, impedisce al contribuente di trarre vantaggi fiscali indebiti anche dall'uso distorto delle norme di favore del sistema.

La soluzione giuridica

Al fine di risolvere la vexata quaestio posta dalla ricorrente Agenzia delle Entrate, la Corte di Cassazione ha rammentato come, secondo il consolidato orientamento di legittimità (cfr., Cass. sent. n. 4604/2014; Cass. sent. n. 1372/2011), la nozione di “valide ragioni economiche” ricomprenda anche quelle operazioni giustificate da ragioni, non marginali, di carattere organizzativo o gestionale, che assicurino l'obiettivo del miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa.

In tale contesto, d'altronde, la centralità dell'assetto anche finanziario dell'impresa è prevista proprio dallo stesso codice civile, che all'art. 2086 prevede a carico dell'imprenditore il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa.

Sulla scorta di ciò, quindi, la Corte di Cassazione ha osservato come la finalità, perseguita dalla società Beta, di ridurre il proprio carico fiscale fosse legittima, in quanto, tenendo conto del contesto in cui questa operava e delle modalità di realizzazione, non produceva alcun effetto distorsivo sul sistema economico-sociale.

Sotto tale profilo, peraltro, non può sottacersi la libertà del contribuente di scegliere tra varie operazioni possibili anche in ragione del differente carico fiscale che esse comportano, sempreché, beninteso, non sia violata la ratio delle norme tributarie.

Ad adiuvandum, la Suprema Corte ha affermato che la legittimità dell'operazione posta in essere dalla società Beta è suffragata da altre cinque considerazioni.

L'operazione è stata concepita al fine di sostenere economicamente la società Beta e, solo indirettamente, conseguire un vantaggio fiscale, che quindi non ha avuto alcuna valenza assorbente o dirimente.

La realizzazione della stessa non ha consentito di ottenere un risultato economico-sostanziale identico a quello proprio e tipico di un diverso atto o negozio, ma semplicemente ha permesso un risultato fisiologicamente correlato allo strumento adottato, ovvero la traslazione di imposta sui dividendi conseguente alla cessione totalitaria delle partecipazioni.

Peraltro, anche l'obbligo di provvedere al pagamento dell'imposta correlata all'intervenuta manifestazione di capacità contributiva ex art. 53 Cost. non risulta disatteso.

Ancora, non può nemmeno ritenersi che detta operazione abbia sovvertito il senso degli effetti economico-sostanziali assunti a presupposto e giustificazione di quel dato regime fiscale, atteso che il vantaggio fiscale si è semplicemente riallocato sul socio-ente cessionario.

Infine, posto che il citato art. 37-bis mira a far prevalere la sostanza sulla forma, affinché tutti i soggetti passivi d'imposta concorrano alle spese pubbliche sulla base della reale capacità contributiva, appare evidente come la società Beta non abbia conseguito un vantaggio fiscale sconosciuto al sistema né abbia sottratto risorse alle casse erariali, avendo soltanto fatto valere un credito d'imposta che comunque sarebbe stato passato all'incasso da altri.

Osservazioni

Il controllo sull'elusività dell'operazione realizzata dal contribuente non può ridursi sic et simpliciter alla verifica del conseguimento o meno di un vantaggio fiscale, trattandosi di valutazione che attiene ad un piano soggettivo e, comunque, irrilevante per l'ordinamento tributario. Invero, quest'ultimo non impedisce al contribuente di porre in essere quelle operazioni che si rivelano fiscalmente meno onerose, ma sanziona esclusivamente l'abuso di tale libertà che, mediante manipolazioni, scappatoie e stratagemmi, stravolge i canoni regolatori del sistema.

In tale contesto, allora, la modalità di finanziamento adottata dalla società Beta nel quadro dell'operazione più volte descritta, con correlata traslazione del beneficio fiscale, rivela, su un piano strutturale e giuridico, pari dignità rispetto alle altre astrattamente possibili.

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