Consenso informato: incombe sul paziente l'onere di provare che avrebbe rifiutato l'intervento

Ilaria Oberto Tarena
09 Luglio 2020

Quali danni conseguono dalla violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente? Qual è l'onere della prova in capo al paziente per ottenere il risarcimento del danno da lesione del consenso informato?
Massima

Al fine di ottenere il risarcimento del danno da lesione del consenso informato, spetta al paziente provare che, se fosse stato correttamente informato, avrebbe rifiutato il trattamento medico. Non è quindi sufficiente allegare la mera omessa informazione, non trattandosi di un'ipotesi di danno in re ipsa.

Il caso

Tizio conveniva in giudizio una struttura sanitaria e un medico lamentando di non essere stato correttamente informato in merito agli esiti di un intervento di "emicarpectomia prossimale polso". Il paziente si era sottoposto a detto intervento al fine di ottenere un miglioramento dell'articolazione e della sintomatologia dolorosa, a fronte del rischio di una perdita di funzionalità dell'articolazione del polso prospettata dal medico nella misura del 30%.

A seguito dell'intervento, il paziente riportava un deficit funzionale del 34% e pertanto lamentava che il medico gli avesse prospettato “una soluzione migliorativa eccessivamente ottimistica” a fronte dell'effettivo esito dell'operazione. L'informazione del medico al paziente era stata quindi "errata, oltremodo ottimistica, e non adeguatamente spiegata".

In primo e in secondo grado, la domanda veniva rigettata. In particolare, la Corte d'Appello di Milano riteneva che l'incremento del deficit funzionale corrispondesse a poco più della riduzione di funzionalità prospettata dal medico in sede di acquisizione del consenso informato e che pertanto il paziente fosse stato correttamente informato.

Inoltre, la Corte d'Appello evidenziava che il paziente soffriva già di un deficit funzionale del 33% e che, a fronte di ciò, riteneva di non poter condividere l'interpretazione data dal paziente secondo cui il medico avrebbe fatto riferimento al 30% quale riduzione massima in assoluto. Secondo l'assunto del paziente, si sarebbe pervenuti al paradosso che il rischio, ove verificatosi, avrebbe comportato addirittura un miglioramento dello stato pregresso del paziente.

Col ricorso per cassazione, Tizio lamentava che la Corte d'Appello non si sarebbe pronunciata in merito alla critica mossa alla decisione di primo grado relativa alla mancanza di "esaustività" del consenso informato. In subordine, Tizio affermava che il Giudice d'Appello avrebbe negato rilevanza all'errore commesso dal medico consistente nel fornire una informazione eccessivamente ottimistica al paziente e avrebbe quindi determinato una violazione del diritto ad ottenere il ristoro per il danno conseguente alla violazione del diritto alla autodeterminazione.

La questione

Quali danni conseguono dalla violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente?

Qual è l'onere della prova in capo al paziente per ottenere il risarcimento del danno da lesione del consenso informato?

Le soluzioni giuridiche

A) QUALI DANNI CONSEGUONO ALLA VIOLAZIONE DEL DOVERE DI INFORMARE IL PAZIENTE

La Cassazione conferma l'orientamento delle ultime pronunce in materia di consenso informato, che distingue il danno alla salute dal danno al diritto all'autodeterminazione (ex multis, Cass. civ., n. 11950/2013; Cass. civ., n.2854/2015; Cass. civ., n.24220/2015; Cass. civ., n. 24074/2017; Cass. civ., n. 16503/2017; Cass. civ. n. 7248/2018; Cass. civ., n. 11749/2018; Cass. civ. n. 19199/2018; Cass. civ., n. 20885/2018, Cass. civ., n. 16892/2019; Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28985).

La Cassazione ha infatti più volte affermato che la manifestazione del consenso da parte del paziente al trattamento medico costituisce esercizio del diritto fondamentale all'autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute. Tale diritto all'autodeterminazione trova fondamento diretto nei principi degli artt. 2 e 13 Cost., e art. 32 Cost., comma 2.

La Cassazione afferma quindi che la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni:

  • un danno alla salute, quando il paziente provi che, qualora fosse stato correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti;
  • un danno al diritto all'autodeterminazione rinvenibile quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio patrimoniale oppure non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla salute.

Secondo l'ordinanza oggetto del presente commento, la lesione al diritto all'autodeterminazione sarà risarcibile quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio patrimoniale oppure non patrimoniale.

Nel caso di pregiudizio non patrimoniale, la Cassazione tiene a sottolineare che in caso di danno non patrimoniale, il pregiudizio, consistente nelle sofferenze soggettive e limitazione della libertà di disporre di sé stessi, deve essere di “apprezzabile gravità” (nello stesso senso si veda anche Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2018, n. 16336).

B) QUAL È L'ONERE DELLA PROVA IN CAPO AL PAZIENTE AI FINI DEL RISARCIMENTO DEL DANNO DA OMESSA INFORMAZIONE

Con l'ordinanza oggetto del presente commento, la Cassazione conferma quell'orientamento secondo cui, per ottenere il risarcimento del danno, non è sufficiente che il paziente alleghi l'omessa informazione.

Sul paziente grava infatti anche l'onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe espresso al medico qualora fosse stato correttamente informato.

Secondo questo orientamento, la lesione del diritto all'autodeterminazione non configura un danno risarcibile "in re ipsa” (Nello stesso senso si veda anche Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28985, Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2018, n. 16336; contra Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2017, n. 16503, Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2018, n. 11749).

Osservazioni

Per quanto concerne i mezzi con cui può essere provato il rifiuto del paziente, in altre pronunce, tra cui in una delle sentenze c.d. di “San Martino 2019”, la Cassazione ha specificato che la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni (cfr. Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n.28985, Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2018, n.16336).

Se sul paziente incombe l'onere di provare il rifiuto che avrebbe prestato, la struttura sanitaria ed il medico dovranno invece provare il corretto adempimento degli obblighi informativi e di acquisizione del consenso (Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2019, n.32124; Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2018, n.7516).

Sui mezzi di prova di cui possono avvalersi medico e struttura, occorre fare prima un passo indietro e rammentare che in base a quanto previsto dall'art. 1, comma 4, l. n. 219 del 22 dicembre 2017, il consenso deve essere documentato in forma scritta.

Tuttavia, si deve segnalare che la Cassazione ha ammesso che la prova della adeguata informazione possa essere fornita anche con mezzi diversi dalla prova documentale, come la prova orale (Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32124) e le presunzioni (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2018, n.7516).

Da ultimo, è indispensabile sottolineare che sull'onere della prova in capo al paziente si registra anche un orientamento differente da quello espresso dalla presente ordinanza che richiede al paziente la prova del rifiuto.

In altre pronunce, la Suprema Corte ha infatti ritenuto che sia sufficiente l'allegazione della omessa informazione per ottenere il risarcimento (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2017, n. 16503 Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2018, n. 11749) e ciò perché il paziente che invoca l'incompletezza del consenso informato e che richiede il risarcimento del danno, allega infatti implicitamente anche il danno alla sua libera e consapevole autodeterminazione.

Non richiedendo la prova del rifiuto del paziente, siffatto orientamento sembra quindi sostenere che la lesione del consenso informato rappresenti un'ipotesi di danno in re ipsa, con la conseguenza che potrebbe essere superflua qualsiasi indagine in merito alla “apprezzabile gravità” del pregiudizio non patrimoniale.

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