Il riparto tra la giurisdizione ordinaria e tributaria nell’esecuzione esattoriale e la prescrizione dei tributi erariali

Jacopo Lorenzi
13 Luglio 2020

Il criterio che fonda il riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella tributaria è dato dalla tipologia dei crediti posti alla base delle cartelle su cui si fonda l'iscrizione ipotecaria esattoriale.I tributi erariali si prescrivono in dieci anni ex art. 2946, cod. civ., perché la prestazione tributaria, attesa l'autonomia dei singoli periodi d'imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi.
Massima

Il criterio che fonda il riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella tributaria è dato dalla tipologia dei crediti posti alla base delle cartelle su cui si fonda l'iscrizione ipotecaria esattoriale.

I tributi erariali si prescrivono in dieci anni ex art. 2946, cod. civ., perché la prestazione tributaria, attesa l'autonomia dei singoli periodi d'imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi.

Il caso

Per quanto è dato comprendere dal breve riepilogo dei fatti di causa contenuto nell'ordinanza che si commenta, trattasi dell'intervenuta notifica del provvedimento di iscrizione ipotecaria esattoriale di cui all'art. 77, d.P.R. n. 602/1973, fondato su alcune cartelle di pagamento con cui erano stati portati a riscossione dei ruoli di origine “mista”, cioè di natura tributaria e non.

Avverso tale provvedimento è stata proposta l'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615, c.p.c. innanzi alla giurisdizione ordinaria e non il ricorso di cui all'art. 18, D.Lgs. n. 546/1992, innanzi alla giurisdizione (speciale) tributaria: il destinatario dell'iscrizione ipotecaria esattoriale ha adito il Tribunale e non la Commissione tributaria provinciale, sostenendo sussistente la giurisdizione civile ed eccependo, tra l'altro, l'intervenuta prescrizione del credito delle Amministrazioni procedenti (cioè dei titolari dei crediti contenuti nei ruoli portati a riscossione con le cartelle sottese all'ipoteca esattoriale).

Le questioni

Le questioni sollevate dall'ordinanza in commento sono molteplici e non è possibile analizzarle tutte in questa sede. Nonostante ciò, ve ne sono due di particolare importanza ed interesse, che saranno oggetto di questa trattazione.

La prima questione affrontata dal Tribunale di Lucca riguarda la giurisdizione, in particolare i criteri che la ripartiscono tra ordinaria e speciale-tributaria.

La questione si è posta perché il destinatario della notifica dell'iscrizione ipotecaria ha proposto opposizione ex art. 615, c.p.c., e non ricorso ex art. 18, D.Lgs. n. 546/1992, innanzi al giudice tributario.

La seconda questione affrontata e che qui interessa è relativa alla prescrizione in ambito tributario, segnatamente in ordine al termine di prescrizione di Irpef, Irap e Iva; per quanto la questione sia stata affronta sotto forma di obiter dictum, il Tribunale ha espresso la propria posizione sue tematiche rilevanti, cioè la prescrizione derivante dalla definitività della pretesa tributaria per mancata impugnazione del provvedimento amministrativo e l'effetto del giudicato sulle prescrizioni brevi, cioè la c.d. conversione del termine di prescrizione “breve” in “lungo” per intervenuto giudicato.

La questione sulla prescrizione si è posta perché l'opponente aveva ritenuto prescritto il credito portato a riscossione dalle cartelle sottese all'iscrizione ipotecaria e, in dettaglio, aveva ritenuto che i tributi quali l'Irpef, l'Irap e l'Iva si prescrivessero nel termine quinquennale di cui all'art. 2948, n. 4, cod. civ.

Le soluzioni giuridiche

Relativamente alla prima questione, cioè quella relativa alla giurisdizione, il Tribunale di Lucca ha stabilito che il criterio di riparto della stessa è da ricercarsi nella tipologia di credito posto alla base della cartella di pagamento su cui si fonda l'iscrizione ipotecaria; per questo motivo è da predicarsi la sussistenza della giurisdizione tributaria in luogo di quella ordinaria, in base a quanto disposto dall'art. 19, comma 1, lett. e-bis, D.Lgs. n. 546/1992, a mente del quale il provvedimento d'iscrizione di ipoteca esattoriale è atto impugnabile innanzi alla commissione tributaria provinciale.

Del resto, sempre in tema di giurisdizione, secondo il giudice lucchese non poteva trovare applicazione, al caso di specie, quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 24 dicembre 2019, n. 34447, dov'era stato deciso che spettava al giudice del fallimento la giurisdizione relativa all'eccezione di prescrizione, avanzata dal curatore, quando maturata successivamente alla rituale notifica di un atto divenuto definitivo e posto alla base della domanda di ammissione al passivo fallimentare.

Quanto alla seconda questione che qui interessa, cioè quella relativa alla prescrizione dell'Irpef, dell'Irap e dell'Iva, posto che l'ordinanza in commento sviluppa tre sotto-questioni che si analizzeranno nel successivo paragrafo, si ricorda che la statuizione sulla prescrizione appare un obiter dictum, visto che il Tribunale ha ritenuto sussistente la giurisdizione tributaria (nell'ordinanza si legge, infatti, “ritenuto che peraltro, anche a ritenere sussistente la giurisdizione ordinaria, l'eccezione di prescrizione si rilevi infondata…”).

Il giudice lucchese ha esordito rammentando che, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23397/2016, rimane ferma la non applicabilità dell'art. 2953, c.c., a mente del quale “I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”.

Prosegue poi il Tribunale di Lucca affermando che, da un lato, il credito iscritto a ruolo non è diverso dalla pretesa originariamente fatta valere e, dall'altro, che nell'ordinamento manca una disposizione legislativa inequivoca che disciplini compiutamente l'istituto della prescrizione in ambito tributario (sul punto vengono richiamate Cass., nn. 10797/2019 e 10595/2019).

Per questi motivi, i crediti tributari relativi ad Irpef, Irap ed Iva, una volta divenuti definitivi per mancata impugnazione dell'atto impositivo, sono soggetti all'ordinario termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2946, c.c., non già al termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 2948, n. 4, c.c., perché la prestazione tributaria, attesa l'autonomia dei singoli periodi d'imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi prestazione periodica, così come indicato dalle richiamate Cass., nn. 33266/2019 e 32308/2019.

Osservazioni

Il risultato a cui giunge il Tribunale di Lucca risulta condivisibile.

Le osservazioni non possono che iniziare soffermandosi sulla questione relativa alla giurisdizione, soprattutto per il richiamo effettuato all'importante sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 24 dicembre 2019, n. 34447, dall'ordinanza de qua correttamente ritenuta irrilevante per la decisione.

Come detto, siccome parte dei crediti oggetto delle cartelle esattoriali sulla cui base è stata iscritta l'ipoteca avevano natura tributaria, il Tribunale di Lucca ha ritenuto sussistente la giurisdizione speciale in base a quando disposto dall'art. 19, comma 1, lett. e-bis, D.Lgs. n. 546/1992, a mente del quale- sotto la rubrica di “Atti impugnabili e oggetto del ricorso”- “Il ricorso può essere proposto avverso … l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

La giurisdizione delle commissioni tributarie è disciplinata dall'art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, e riguarda tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, tra cui ricadono i tributi regionali, provinciali e comunali, le addizionali, le sanzioni amministrative, gli interessi ed altri accessori. Inoltre, siccome il processo tributario è un processo di impugnazione, per instaurarlo è necessaria- tranne il particolare caso delle azioni di rimborso- la notifica al contribuente di uno degli atti indicati dall'art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, per il quale “Il ricorso può essere proposto avverso …” e segue la lista degli atti impugnabili innanzi la C.T.P.

Per quanto interessa, completa lo scenario di riferimento l'art. 57, d.P.R. n. 602/1973, per il quale “Non sono ammesse:

a) le opposizioni regolate dall'art. 615 del c.p.c., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni;

b) le opposizioni regolate dall'art. 617 del c.p.c. relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo” (per la cui applicazione si rimanda a Corte Cost., n. 114/2018).

Orbene, il fatto che il ricorso possa essere proposto avverso il provvedimento di cui all'art. 77, d.P.R. n. 602/1973 non significa che la facoltà rimessa al contribuente concerna il tipo di giudice innanzi al quale si può richiedere tutela: poter proporre ricorso significa essere gravati dell'onere di impugnare l'atto per non farlo diventare definitivo, non potere di scegliere la giurisdizione da adire.

In altri e più semplici termini, qualora il contribuente voglia impugnare uno degli atti indicati nell'art. 19, D.lgs. n. 546/1992, deve necessariamente farlo davanti alla commissione tributaria provinciale.

Ecco perché il Tribunale di Lucca ha ritenuto non pertinente quanto disposto dalle Sezioni Unite con la sent. n. 34447/2019, perché tale decisione riguardava una fattispecie diversa da quella decisa, cioè l'eccezione di prescrizione, avanzata dal curatore, relativamente a una voce di credito che costituiva il fondamento dell'insinuazione al passivo nella procedura fallimentare: le SS.UU. hanno correttamente confermato la giurisdizione ordinaria perché non si era di fronte all'emissione di un atto da impugnare innanzi alla C.T.P., bensì si trattava semplicemente di valutare l'intervenuta prescrizione, al fine di decidere sull'insinuazione al passivo.

Il caso che ci occupa, lo si ripete, è relativo alla notifica di un atto che la legge qualifica come impugnabile innanzi la giurisdizione tributaria e la circostanza che si discuta anche della prescrizione del credito è, dunque, irrilevante: se il credito che il contribuente ritiene prescritto viene avanzato tramite la notifica di un atto che la legge qualifica come impugnabile innanzi il giudice tributario, tale prescrizione si traduce obbligatoriamente in un vizio dell'atto da evidenziare con apposito motivo di ricorso, ovviamente davanti alla commissione tributaria provinciale competente.

Ferme restando ipotesi più o meno particolari (come le già menzionate azioni di rimborso o la controversa questione dell'impugnabilità dell'estratto di ruolo), per le quali non è possibile ora entrare nel merito, in termini generali (e, forse, un pò gergali) si può affermare che davanti al giudice tributario si può andare solo nel caso in cui si riceva in notifica un atto qualificato dalla legge come impugnabile, che equivale a dire - come affermato dal Tribunale di Lucca, forse in maniera non così chiara quanto in realtà avrebbe dovuto- che se si vuole ottenere tutela avverso un atto ricompreso nell'elenco di cui all'art. 19, D.lgs. n. 546/1992, è mandatorio adire la via della giurisdizione tributaria, perché è il giudice speciale che ha il potere di decidere su quella controversia.

Non a caso, secondo il Tribunale di Lucca è la tipologia di crediti posti alla base delle cartelle su cui si basa l'iscrizione ipotecaria che fonda il riparto di giurisdizione.

La statuizione risulta corretta e da condividere. All'Agente della riscossione, a prescindere dalla denominazione che nel tempo ha avuto, può essere affidata la riscossione di crediti di diversa natura, cioè di natura tributaria e non. Ciò fa sì che si possa assistere ad un'esecuzione forzata esattoriale per il tramite della notifica di atti fondati su crediti misti, cioè un'iscrizione ipotecaria per crediti dell'Agenzia delle Entrate, dell'Inps o di un Comune impositore (ecc.).

In parole più semplici, il Tribunale di Lucca ha fatto corretta applicazione della normativa che interessa, perché l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77, d.P.R. n. 602/1973, avviene per il tramite della notifica di un provvedimento che deve essere impugnato innanzi alla giurisdizione speciale, non già innanzi a quella ordinaria. Se, poi, l'iscrizione ipotecaria avviene per un credito “misto”, cioè non solo di natura tributaria, la difesa avverso la parte del credito non tributaria dovrà avvenire innanzi al giudice di volta in volta dotato di giurisdizione e competenza.

Per questi motivi si può concludere affermando che la decisione del Tribunale di Lucca risulta corretta e condivisibile, perché la notifica di uno degli atti di cui all'art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, impone a chi intende adire la giustizia di procedere con il ricorso innanzi alla giurisdizione tributaria.

L'altra tematica di grande interesse che è emersa nell'ordinanza in commento è quella relativa alla prescrizione dei tributi quali Irpef, Irap e Iva.

Sull'argomento, il giudice lucchese ha sostenuto che, nel caso analizzato, la prescrizione non era maturata in quanto, per i tributi richiamati- stante il principio dell'autonomia dei singoli periodi d'imposta- non vige il termine di prescrizione “breve” di cui all'art. 2948, n. 4, cod. civ., bensì quello ordinario di cui all'art. 2946, cod. civ., avuto riguardo anche alla non applicabilità, alla fattispecie trattata, della c.d. actio iudicati, cioè la conversione del termine di prescrizione a fronte della formazione del giudicato.

La soluzione sposata dal Tribunale di Lucca è condivisibile, merita solo una precisazione in ordine al perché della scelta perseguita.

L'accertamento e la riscossione delle imposte sono ambiti che sono caratterizzati, in primo luogo, da termini decadenziali: fin quando pende un termine decadenziale non inizia il decorso di un termine prescrizionale, perché il compimento dell'attività prevista a pena di decadenza è la condizione per l'esercizio del diritto, diritto che di conseguenza soggiace a termine prescrizionale.

Più semplicemente, una volta compiuta l'attività prevista a pena di decadenza, inizia a decorrere la prescrizione per l'esercizio del diritto.

La conferma di ciò si può ritrarre dalla natura della decadenza e dal principale tratto che la differenzia dalla prescrizione: nella decadenza risultano irrilevanti le “condizioni subiettive che hanno determinato l'inutile decorso del termine”, (A. Torrente e P. Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, Giuffrè Editore, Milano, 2011, pag. 227) ed il termine non è soggetto a interruzione. La previsione di un termine decadenziale fa sì che il contribuente non sia assoggettato né assoggettabile all'azione degli Uffici illimitatamente nel tempo.

Si può quindi affermare che l'Amministrazione finanziaria, laddove debba esercitare un'attività entro un termine decadenziale- per esempio la notifica della cartella di pagamento- debba agire nel rispetto del termine di decadenza fissato dal legislatore; se rispetta tale termine, cioè, nell'esempio fatto, se notifica la cartella di pagamento tempestivamente rispetto alla decadenza, allora dopo potrà esercitare il proprio diritto, che stavolta sarà soggetto al termine di prescrizione.

Così riscostruito il rapporto tra decadenza e prescrizione, cioè ilmomento in cui iniziano a decorrere i due termini, è possibile concentrare l'attenzione su quale sia, effettivamente, il termine prescrizionale di un tributo.

Per il Tribunale di Lucca, come detto, Irpef, Irap e Iva si prescrivono in dieci anni, così come (pacificamente, verrebbe da aggiungere) previsto dall'art. 2946, cod. civ.

Ma è così pacifica l'applicabilità della disciplina generale della prescrizione?

Il problema sorge in base a due considerazioni diverse ma, al tempo stesso, legate tra loro: da un lato, la prospettazione per cui i tributi potrebbero essere considerati prestazioni periodiche ex art. 2948, n. 4, cod. civ., assoggettati quindi alla prescrizione “breve” quinquennale; dall'altro, l'applicabilità dell'art. 2953, cod. civ., recante la disciplina della c.d. actio iudicati,cioè della conversione del termine prescrizionale in caso di formazione di giudicato.

Iniziamo dalla prima: i tributi possono considerarsi prestazioni periodiche ex art. 2948, n. 4, cod. civ., oppure sono istituti per i quali vige la prescrizione ordinaria ai sensi dell'art. 2946, cod. civ.?

Quello che può dirsi per certo è che, in materia di tributi locali, la giurisprudenza di legittimità si è ormai consolidata nel ritenere applicabile la prescrizione quinquennale perché si tratterebbe di vere e proprie prestazioni periodiche, visto che il contribuente-utente è tenuto a pagare periodicamente una somma che, per quanto autoritativamente determinata, costituisce il corrispettivo di un servizio a lui reso o da lui richiesto (per esempio concessione di suolo pubblico) o imposto (per esempio tassa smaltimento rifiuti).

Ma come si passa dalla prescrizione quinquennale di un tributo-prestazione periodica alla prescrizione breve per i tributi erariali (e, in generale, per ogni tributo)?

Lo sforzo di attrazione concettuale di ogni tributo alla categoria della prestazione periodica è stato aiutato, per così dire, dall'apparente equivoco che si creato intorno all'applicabilità dell'art. 2953, cod. civ., alla materia della riscossione dei tributi.

A seguito della sentenza n. 23397, resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione il 27 novembre 2016, si è venuto a creare, anche nella giurisprudenza di legittimità, un filone interpretativo a mente del quale la prescrizione di ogni tributo sarebbe quella “breve” ex art. 2948, n. 4, cod. civ., perché sarebbe da escludere, in caso di mancata impugnazione dell'atto di riscossione, la conversione del termine breve di prescrizione in quello ordinario, cioè non troverebbe applicazione, avverso i provvedimenti amministrativi definitivi, l'art. 2953, cod. civ. (in tal senso si vedano Cass. nn. 930/2018 e 1997/2018).

In realtà, a ben vedere, la richiamata pronuncia delle Sezioni Unite del 2016 in nessun modo aveva affermato una cosa del genere, anzi: resa nell'ambito dove la materia era effettivamente caratterizzata da una prescrizione quinquennale (cioè la materia contributiva), le SS.UU. ebbero ad affermare che l'intervenuta definitività di un provvedimento amministrativo per mancata impugnazione è fattispecie non equiparabile a quella del passaggio in giudicato della sentenza che conferma la legittimità del provvedimento amministrativo impugnato, estendendo il principio dell'inapplicabilità della conversione del termine breve alle ipotesi in cui un atto della riscossione fosse divenuto definitivo non per sentenza passata in giudicato, ma per mancata impugnazione da parte del destinatario.

Ritenendo, quindi, che la mancata impugnazione della cartella di pagamento faccia scattare la prescrizione decennale di cui all'art. 2953, cod. civ., si è giunti a sostenere che anche i tributi erariali sono assoggettati a prescrizione quinquennale, come apparentemente sostenuto dalla difesa nel caso affrontato dal Tribunale di Lucca, dove il destinatario del preavviso di iscrizione ipotecaria pare aver eccepito, innanzi al giudice ordinario, l'illegittimità della pretesa avanzata nei suoi confronti per decorso della prescrizione quinquennale, perché la pretesa (quanto meno la parte tributaria) era divenuta definita per mancata impugnazione: facendo apparentemente leva su quel filone giurisprudenziale appena richiamato, è stato chiesto al Tribunale di Lucca di dichiarare l'intervenuta prescrizione dei crediti sottesi all'iscrizione ipotecaria per decorso quinquennale di un termine iniziato a decorrere per intervenuto consolidamento del debito per mancata impugnazione.

Non risulta condivisibile la prospettazione di qualsiasi tributo come prestazione periodica in quanto i tributi, a differenza delle entrate di diritto privato, sono caratterizzati dalla coattività, non dalla sinallagmaticità (F. Tesauro, Istituzioni di Diritto Tributario, Parte Generale, Milano, 2016, pag. 4) e sono imposti con un atto dell'autorità: il tributo si corrisponde non certo per volontà ma per il realizzarsi di un presupposto normativamente predeterminato, a differenza di un qualsiasi contratto a prestazioni periodiche, la cui adesione è frutto di una scelta del contraente.

Inoltre, anche il tema della “periodicità” risulta essere foriero di equivoci, perché per giustificare la periodicità del tributo si rischia di confondere l'obbligo di dichiarazione con quello di pagamento-versamento: nell'ambito, per esempio, del reddito d'impresa, la realizzazione di una perdita determina certamente l'obbligo di dichiararla ma non necessariamente porta con sé un obbligo di versamento (mentre risulta evidente che l'obbligazione derivante da un contratto di somministrazione certo non guarda alle condizioni reddituali del contraente).

Stessa cosa dicasi per “casi limite” come quello del contributo consortile per le opere di bonifica, la cui debenza è, ovviamente, subordinata al realizzarsi di un presupposto, che peraltro deve essere verificato anno per anno (id est per ogni singolo periodo d'imposta).

In realtà, le imposte sui redditi e l'Iva possono essere definitivi “tributi periodici” perché hanno come presupposto una fattispecie che si prolunga nel tempo, per cui assume rilievo giuridico un insieme di fatti che si collocano in un dato arco temporale, mentre altri tributi, come l'imposta di registro, possono definirsi “istantanei” perché hanno per presupposto un fatto istantaneo (per esempio un acquisto immobiliare).

Come si nota, la periodicità non attiene alla “prestazione” e l'accostamento tra tale distinzione “concettuale” (tributi periodici / istantanei) e le prestazioni periodiche di cui all'art. 2948, n. 4, cod. civ., risulta una forzatura: l'assoggettamento al tributo non è rimessa alla libera scelta del contribuente e l'unica periodicità di cui si può parlare è quella che attiene alla formazione del presupposto o, al massimo, della base imponibile).

Ecco perché Irpef, Irap e Iva si prescrivono in dieci anni, ai sensi dell'art. 2946, cod. civ.

Rimane dunque da analizzare l'assunto per cui non sarebbe applicabile, alla fattispecie decisa, l'art. 2953, cod. civ., argomentazione utilizzata dal Tribunale più che altro ad adiuvandum rispetto alla preferenza per la prescrizione ordinaria in luogo di quella quinquennale.

In realtà, i motivi per cui l'art. 2953, cod. civ., sia norma estranea all'ordinamento tributario sono molteplici e possono qui solo essere così sintetizzati: la sentenza tributaria non è una sentenza di condanna così come richiesto dalla norma codicistica, la riscossione esattoriale non è subordinata al passaggio in giudicato della sentenza (si parla infatti di riscossione frazionata in pendenza di giudizio), ecc., e, in definitiva, bene ha fatto l'ordinanza in commento ad affermare che rimane ferma la non applicabilità dell'art. 2953, cod. civ.

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