Spese di pubblicità sostenute nei confronti di ASD e presunzione assoluta di inerenza

Francesco Brandi
16 Luglio 2020

I corrispettivi in favore di associazioni sportive dilettantistiche, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore ad Euro 200.000, non possono essere recuperate a tassazione per mancanza di inerenza, essendovi al riguardo la presunzione assoluta in base alla quale vanno considerate spese di pubblicità ai sensi dell'articolo 90, comma 8 della legge 289 del 2002.Lo ha ribadito la Cassazione con l'ordinanza 8540 del 6 maggio 2020 con cui ha accolto un ricorso di una srl annullando definitivamente l'avviso di accertamento impugnato.
Massima

I corrispettivi in favore di associazioni sportive dilettantistiche, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore ad Euro 200.000, non possono essere recuperate a tassazione per mancanza di inerenza, essendovi al riguardo la presunzione assoluta in base alla quale vanno considerate spese di pubblicità ai sensi dell'articolo 90, comma 8 della legge 289 del 2002.
Lo ha ribadito la Cassazione con l'ordinanza 8540 del 6 maggio 2020 con cui ha accolto un ricorso di una srl annullando definitivamente l'avviso di accertamento impugnato.
Il caso

La vicenda riguarda l'impugnazione di un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle entrate ai fini IVA, IRPEF ed IRAP per l'anno d'imposta 2008 a seguito del disconoscimento delle spese di sponsorizzazione sostenute dalla società contribuente; la CTR Toscana accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo l'indeducibilità di quei costi per difetto dei requisiti di inerenza e congruità dei medesimi.

Di qui il ricorso per Cassazione con cui la società denunciava plurime disposizioni di legge.

Le questioni

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda la possibilità per l'amministrazione finanziaria di contestare le spese di sponsorizzazione sostenute nei confronti di un'ASD sotto il profilo dell'inerenza qualitativa e/o dell'antieconomicità.

Le soluzioni giuridiche

Nell'accogliere il ricorso la Cassazione ricorda che l'art. 90, comma 8 della Legge n. 289/2000 ha introdotto, a favore del solo "soggetto erogante" il corrispettivo (nella specie la società ricorrente) e non, invece, a favore dell'associazione sportiva che riceve l'erogazione di denaro (cfr. Cass. 17196 del 2019), una presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria di tali spese.

Tra l'altro la Cassazione ha più volte ribadito, al riguardo, che in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui all'art. 90, comma 8, della L. n. 289 del 2002, sono assistite da una "presunzione legale assoluta" circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza a condizione che:

  • il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica;
  • sia rispettato il limite quantitativo di spesa;
  • la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine ed i prodotti dello sponsor;
  • il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale, senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori (Cass. n. 14232 del 2017, n. 8981 del 2017; n. 7202/2017 e nn. 1420 e 13508/2018 nonché n. 22855 del 2018 e da ultimo 5428/2020).

Nella specie la CTR Toscana aveva errato nel ritenere legittima la ripresa fiscale sulla base di valutazioni circa l'inerenza e la congruità di quei costi, nella specie del tutto irrilevanti.

Osservazioni

Con il termine sponsorizzazione vengono definiti i contratti con i quali un soggetto (sponsee) si obbliga ad associare alla propria attività il nome od un segno distintivo di un altro soggetto (sponsor), verso il riconoscimento di un corrispettivo, generalmente in denaro. In tal modo, lo sponsee divulga, verso l'esterno, i “segni” distintivi dello sponsor.

Tale definizione è stata ben delineata dalla prassi dell'Amministrazione Finanziaria: la Risoluzione Ministeriale n. 9/204 del 17 giugno 1992 chiariva che le spese di sponsorizzazione si caratterizzano in quanto “connesse ad un contratto la cui caratterizzazione è costituita, di regola, da un rapporto sinallagmatico tra lo sponsor e il soggetto sponsorizzato, in base al quale le parti interessate fissano le clausole contrattuali in relazione agli scopi che esse intendono raggiungere. Generalmente mediante tale contratto lo sponsor si obbliga ad una prestazione in denaro o in natura nei confronti del soggetto sponsorizzato che, a sua volta, si impegna a pubblicizzare e/o a propagandare il prodotto, il marchio, i servizi, o comunque, l'attività produttiva dello sponsor e, pertanto, le relative spese, cui non può disconoscersi una stretta correlazione con l'intento di conseguire maggiori ricavi, rientrano nella previsione normativa di cui alla prima parte del comma 2 dell'art. 74 del Tuir, con i conseguenti riflessi in termini fiscali”. Anche la successiva Risoluzione. n. 356/E del 14 novembre 2002, conferma che “la sponsorizzazione è un contratto bilaterale, a prestazioni corrispettive, in base al quale il soggetto sponsorizzato o sponsee si obbliga nei confronti dello sponsor ad effettuare determinate prestazioni pubblicitarie dietro versamento di un corrispettivo che può consistere in una somma di denaro, in beni o servizi, che lo sponsor deve erogare direttamente o indirettamente”.

In breve, l'orientamento prevalente definisce il contratto di sponsorizzazione come un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, la cui causa è rappresentata dall'utilizzazione a fini promozionali, dell'attività, del nome o di un prodotto marcato, dell'immagine, del soggetto sponsorizzato, a fronte di un corrispettivo di norma consistente in una somma di denaro.

L'articolo 108, comma 2, del TUIR, nella sua formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2007, non forniva criteri utili a qualificare le spese di rappresentanza, limitandosi a prevedere un regime di parziale deducibilità delle stesse nella misura di un terzo del loro ammontare, peraltro deducibili in quote costanti nell'esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi.

In particolare, nella formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2007 il comma 2 dell'art. 108 si limitava a prevedere per le spese di rappresentanza un regime di parziale deducibilità (nella misura di un terzo del loro ammontare ed in quote costanti, nell'esercizio in cui le medesime sono state sostenute e nei quattro successivi), senza fornire una precisa nozione di spese di rappresentanza.

La materia è stata oggetto di una sostanziale revisione ad opera dell'articolo 1, comma 33, lett. p), della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (entrato in vigore il 1° gennaio 2008), nonché del relativo decreto di attuazione (DM 19 novembre 2008).

Il novellato articolo 108 del TUIR prevede ora che «Le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d'imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell'attività caratteristica dell'impresa e dell'attività internazionale dell'impresa. Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50».

Il D.M. 19 novembre 2008, dopo aver evidenziato il carattere gratuito delle spese “di rappresentanza”, ha richiamato il requisito dell'inerenza richiedendo che le spese in questione siano sostenute con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e che il loro sostenimento risponda comunque a criteri di ragionevolezza in funzione dell'obiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici economici per l'impresa ovvero comunque coerente con gli usi e le pratiche commerciali del settore in cui l'impresa si trova ad operare e competere.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità «costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l'immagine dell'impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell'attività svolta. In definitiva, si ritiene debbano farsi rientrare nelle spese di rappresentanza quelle effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, e che vadano, invece, considerate spese di pubblicità o propaganda quelle altre sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi ed in certi contesti, anche temporali. Il criterio discretivo va, dunque, individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d'immagine ed il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto» (cfr. Cassazione, sentenza 15 aprile 2011, n. 8679).

In sintesi, la giurisprudenza ha contribuito fortemente alla individuazione dei criteri utili a distinguere le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità, approdando alla conclusione che le spese di rappresentanza:

  • sono tese a migliorare l'immagine ed il prestigio aziendale senza dar luogo ad una aspettativa immediata di incremento delle vendite;
  • sono suscettibili di recare utilità ai terzi beneficiari;
  • sono di norma contraddistinte da gratuità, ossia dall'assenza di corrispettivo che resti a carico dei beneficiari delle spese.

D'altro lato, le spese di pubblicità:

  • hanno essenzialmente la funzione di rendere conoscibile il marchio o il prodotto presso il mercato di destinazione, onde realizzare a un incremento delle vendite;
  • non recano alcuna utilità a terzi;
  • si generano all'interno di un rapporto contrattuale che prevede l'instaurarsi di un rapporto sinallagmatico tra le parti coinvolte.

Secondo la Suprema corte, il collocamento della sponsorizzazione nell'ambito delle spese di pubblicità viene meno, in particolare, nei casi in cui l'attività di sponsorizzazione, in quanto non funzionalmente o logicamente collegata con il mercato di riferimento del soggetto sponsorizzato, ovvero essendo di ammontare non congruo rispetto alle dimensioni ed ai ricavi dello sponsor, non appare idoneo a generare una “diretta aspettativa di ritorno commerciale”.

In sintesi, l'analisi del rapporto esistente tra le caratteristiche della spesa sostenuta - per natura e valore – e le caratteristiche dell'attività tipica svolta dall'impresa - per natura e dimensioni – aiuta a comprendere la sussistenza o meno di una «aspettativa di ritorno commerciale» diretta o indiretta e quindi a qualificare la spesa medesima rispettivamente come pubblicità o rappresentanza.

Così inquadrata la problematica delle spese di pubblicità e della distinzione con quelle di rappresentanza, la deducibilità dei relativi costi viene valutata dagli uffici tenendo conto delle disposizioni generali in tema di deducibilità dei costi, con particolare riferimento ai requisiti di effettività (di cui all'art. 109, comma 1 del TUIR) e di inerenza (ex art. 109, comma 5); una volta riscontrata l'effettività e l'inerenza, l'indagine si concentra sugli elementi utili a qualificare la spesa come “di pubblicità” ovvero “di rappresentanza”, ai fini della loro deducibilità ai sensi dell'art. 108 del TUIR.

Per le ASD il legislatore ha previsto una normativa di favore.

L'art. 90 della Legge 22 dicembre 2002, n. 289 (rubricato “Disposizioni per l'attività sportiva dilettantistica”) introduce al comma 8, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione legale in forza della quale tali spese costituiscono, nel limite d'importo annuo complessivamente non superiore ai 200.000 euro, spese di pubblicità, volte alla «promozione dell'immagine o del prodotto del soggetto erogante» integralmente deducibili dal reddito d'impresa.

Con riferimento a tale disposizione, nella circolare 22 aprile 2003 n. 21, al par. 8, (rubricato “Agevolazioni concernenti le spese di pubblicità - art. 90, comma 8”), dopo aver premesso che la stessa «introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate - nel limite del predetto importo - comunque di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante ai sensi dell'art. 74, comma 2, del TUIR nell'esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell'esercizio medesimo e nei quattro anni successivi» si è precisato che «la fruizione dell'agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni:

  1. i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante;
  2. deve essere riscontrata, a fronte dell'erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima”.

Sul contenuto della presunzione (ovvero se essa faccia riferimento alla natura della spesa, di pubblicità o rappresentanza, o ai requisiti di deducibilità del costo, soprattutto in termini di inerenza) si sono sviluppati accesi dibattiti giurisprudenziali.

Ad esempio, secondo la CTR Lazio (sentenza 3030/1/16) non è inerente in quanto antieconomica la spesa per sponsorizzazione effettuata nel settore del calcio a cinque di importo notevolmente superiore anche a quanto si spende per omologhe squadre di calcio a undici. Inoltre il ristretto ambito locale e lo scarso numero di spettatori raggiungibile dal messaggio pubblicitario non giustificano tali costi.

Di contrario avviso la CTR Marche (sentenza 329/2/16), supportata dall'ordinanza in commento. Secondo i giudici marchigiani i corrispettivi in favore di associazioni sportive dilettantistiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni sportive, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore ad Euro 200.000, non possono considerarsi semplici erogazioni liberali, né essere recuperate a tassazione per mancanza di inerenza, essendovi al riguardo la presunzione assoluta in base alla quale vanno considerate spese di pubblicità ai sensi dell'articolo 90, comma 8 della legge 289/2002, che ne prevede la deducibilità integrale da parte del soggetto erogante, ai sensi dell'art. 108 del Tuir.

In altri termini i corrispettivi in favore di associazioni sportive dilettantistiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni sportive costituiscono sempre, per i soggetti eroganti, spese di pubblicità volte alla promozione dell'immagine o dei prodotti dello stesso mediante una specifica attività del beneficiario.

Nel caso di specie il costo aveva superato anche il vaglio di congruità, pur essendo questo un profilo di esclusiva pertinenza dell'imprenditore: viene infatti evidenziato che il fatturato della società sponsor si era incrementato nel tempo.

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