È nullo l’ atto negoziale con cui le parti, dopo la sottoscrizione di un contratto di locazione, si accordano per un canone diverso da quello pattuito
23 Luglio 2020
Massima
Nella situazione in cui l'immobile locato presenti vizi, o debba essere sottoposto a lavori di manutenzione prolungati, il conduttore ha diritto a domandare una riduzione del canone proporzionale al minore godimento conseguito dal bene. Il conduttore, tuttavia, non ha la facoltà di omettere ogni pagamento del canone qualora egli continui a giovarsi dell'immobile, anche se in presenza di vizi e problematiche che ne riducano l'utilità. A tal fine, egli non potrà invocare l'eccezione inadimplendi non est adimplendum, c.d. eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c., ma al massimo domandare una proporzionale riduzione del canone alla luce dei principi di cui all'art. 1584 c.c.
Il caso
Il proprietario di un immobile locato ad uso abitativo agiva in giudizio domandando la convalida dello sfratto per morosità delle sue conduttrici e la concessione di un decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento dei canoni scaduti e mai saldati dalle stesse. Si costituivano in giudizio le conduttrici, negando del tutto le allegazioni della parte ricorrente e anzi affermando la correttezza delle proprie azioni sulla base del quadro normativo vigente. Detta parte, infatti, non negava il mancato pagamento dei canoni di locazione, ma si giustificava invocando il proprio diritto di sospendere i pagamenti alla luce del cattivo stato dell'immobile locato. Parimenti, le suddette convenute allegavano la nullità degli accordi sottoscritti con la parte ricorrente a integrazione del contratto di locazione. Nelle more del giudizio, veniva a cessare la materia del contendere in merito al rilascio dell'immobile in quanto le convenute spontaneamente abbandonavano l'immobile locato. La questione
Il giudice si interroga sulla facoltà o meno per il conduttore di eccepire il cattivo stato dell'immobile locato e opporre tale inadempimento al locatore, omettendo la propria parte di prestazione ossia il pagamento dei canoni di locazione. Ai sensi dell'art. 1460 c.c., infatti, “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia, non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”. Tale norma, quindi, postula la possibilità per una parte di un contratto a prestazioni corrispettive di non adempiere alla sua controprestazione (pagamento del prezzo) ove la controparte non adempia all'obbligazione principale (in questo caso la messa a disposizione dei locali oggetto del contratto di locazione). L'eccezione, ove correttamente utilizzata, infatti, permette alla parte che non ha ricevuto la prestazione di essere esentata dall'obbligo di eseguire una prestazione che, stante la mancanza della prima parte del contratto, risulterebbe ingiusta. Non è possibile non analizzare, al fine di comprendere la questione, un'altra norma del codice civile, ossia l'art. 1584. Il testo della norma recita che: “Se l'esecuzione delle riparazioni si protrae per oltre un sesto della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo, proporzionata all'intera durata delle riparazioni stesse e all'entità del mancato godimento. Indipendentemente dalla sua durata, se l'esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto”. Questa norma si integra a perfezione con il dettato dell'art. 1460 c.c. e deve essere considerata al fine della risoluzione del presente caso. Ulteriore questione analizzata dal Tribunale era quella della validità degli accordi successivi al contratto di locazione i quali, sottoscritti dalle parti, stabiliscono un canone differente rispetto a quello “apparente”. La sentenza, seppur in modo sintetico, analizza parimenti detta parte della controversia. Le soluzioni giuridiche
La decisione del Tribunale di Vallo della Lucania in commento accoglieva le ragioni della parte attrice. Il valore della decisione, al di là dell'esito che non sorprende, pare essere negli importanti temi discussi dal giudice campano. La decisione, infatti, dapprima prende atto dell'intervenuto rilascio dell'immobile e correttamente dichiara la cessazione della materia del contendere rispetto alla relativa domanda. In merito all'omissione del pagamento dei canoni, invece, il Tribunale sposa del tutto la tesi di parte ricorrente e sanziona l'illegittimo comportamento della parte resistente. E' pur vero, infatti, che gli artt. 1460 e 1584 c.c. consentono alla parte conduttrice di ridurre il proprio canone e finanche agire per lo scioglimento del contratto, ma dette norme pongono delle regole per questo tipo di tutela. Il Tribunale, infatti, sottolinea come la riduzione del canone debba essere fatta secondo canoni di oggettiva riduzione del godimento e non di soggettiva percezione dell'ingiustizia del pagamento del canone in caso di vizi dell'immobile. Il principio giurisprudenziale citato, difatti, era il seguente: “la sospensione totale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore di pagare i canoni convenuti è legittima solo qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti” e ancora “il principio inadimpleti non est adimplendum non può prescindere dall'osservanza di canoni di correttezza e buona fede […] qualora un conduttore abbia continuato a godere dell'immobile, pure in presenza di vizi, non è legittima la sospensione del pagamento del canone, perché tale comportamento non è proporzionale all'inadempimento del locatore ed è contrario a correttezza e buona fede” (così in Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2017, n. 11783). Alla luce del continuato godimento dell'immobile, pur in presenza di riconosciuti vizi, l'omissione totale del pagamento del canone pareva illegittima. Assodato l'an del diritto attoreo, quindi, il giudice si concentrava sulla quantificazione dello stesso. Egli, infatti, dichiarava la nullità per contrarietà alle norme di legge di tutti gli accordi sottoscritti dalle parti e successivi al contratto di locazione. Detti accordi, infatti, avevano comportato l'accettazione del canone in misura diversa da quanto registrato all'Agenzia delle Entrate. Sul punto il decidente, quindi, quantificava il risarcimento dovuto all'attore moltiplicando il numero di mensilità nelle quali era stato omesso il pagamento per la somma determinata dal contratto registrato all'Agenzia delle Entrate, ignorando ogni altro accordo tra le parti. Alla luce delle predette valutazioni, quindi, il Tribunale condannava le ricorrenti al pagamento della somma ancora dovuta a titolo di canoni non pagati, oltre interessi e rivalutazione monetaria e disponeva, altresì, la corresponsione delle spese del giudizio secondo il principio di soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c. Osservazioni
A detta dello scrivente, la decisione in commento coglie nel segno. Il principio sopra enunciato, per quanto consolidato nella giurisprudenza, deve essere spesso reiterato, stante le condotte tenute dalle parti. Sovente, infatti, i conduttori utilizzano vizi e problematiche dell'immobili come giustificazioni per evitare ogni tipo di pagamento sia del canone che delle spese condominiali. Tale comportamento - come sopra evidenziato - risulta del tutto contrario alla ratio legis degli artt. 1460 e 1584 c.c. e deve quindi essere sanzionato. Le norme citate, infatti, devono essere interpretate secondo buona fede e quindi il principio non deve essere distorto creando un'arma di ricatto utilizzabile da qualsiasi conduttore in qualsiasi momento del contratto. La decisione, quindi, correttamente alza il velo sulla condotta tenuta dalle conduttrici e ne sanziona l'illegittimità. In modo condivisibile, poi, il decidente dichiara la nullità di tutti gli accordi successivi e che dispongano diversi importi per i canoni di locazione, in considerazione della violazione delle norme di legge (nel presente caso, la violazione era da ravvisare rispetto all'art. 13, comma 1, della l.n. 431/1998 in tema di locazioni). La sentenza, quindi, appare certamente positiva, chiara e corretta. Non si può non notare, tuttavia, due punti che lasciano alcuni dubbi interpretativi. Se, infatti, l'istruttoria processuale ha chiarito la sussistenza di vizi dell'immobile, allora il giudice, pur condannando l'omissione del canone, avrebbe dovuto tenere conto della minore utilizzabilità dello stesso e disporre una riduzione del canone corrispondente. Dai dati a disposizione - la sentenza in commento - non pare che questo aspetto sia stato valutato, occorre tuttavia domandarsi se tale riduzione fosse stata richiesta in via mediata dalla parte resistente (dato che in assenza di precisa domanda l'eventuale sentenza in tal senso sarebbe stata certamente ultra petita partium) e se i vizi fossero realmente esistente, domande che restano senza risposta stante l'assenza degli atti processuali. Altro punto che lascia perplessi pare la condanna alle spese della parte resistente. E' pur vero, infatti, che essa era soccombente sia sulla debenza dei canoni che sul rilascio dell'immobile (seppure sia stata pronunciata in corso di causa la cessazione della materia del contendere), ma la parte attrice è parimenti risultata soccombente su parte della domanda, ossia la validità della quantificazione del risarcimento. Il giudice, infatti, ha chiaramente appurato e dichiarato la nullità delle scritture private redatte dalle parti a seguito della conclusione del contratto di locazione, in quanto in violazione delle norme di legge e volte unicamente a stabilire un canone diverso da quello invece comunicato all'Agenzia delle Entrate. Nel quantificare il risarcimento, quindi, il giudice aveva limitato le somme previste a quelle determinate dal contratto registrato. Tale rigetto parziale della domanda attorea, a parere di chi scrive, poteva essere considerato come una soccombenza sul punto. Non sarebbe stato improprio, quindi, parlare nel caso in questione di soccombenza reciproca e, in applicazione dell'art. 92, comma 2, c.p.c., compensare le spese tra le parti. Nuovamente si sottolinea come la valutazione sul punto spetta al solo giudice de quo, il quale ha potuto apprezzare la situazione processuale e le risultanze istruttorie del giudizio, decidendo conseguentemente anche sulla condanna alla refusione delle spese del giudizio. Signorelli, Contratto di locazione e giurisprudenza, obbligazioni, prestazioni e responsabilità, in Resp. civ. e prev., 2015, fasc. 2, 410; Achille, Non paga il canone perché il locatore ha taciuto la presenza di amianto nella copertura del fabbricato: legittimo lo sfatto per morosità, in Diritto & giustizia, 2013, 102; Izzo, Divieto e limiti della autoriduzione del canone di locazione, in Diritto & giustizia online, 2010, 57; Frivoli, Risoluzione per inadempimento del contratto di locazione ad uso abitativo per mancato versamento del canone non sussistendo l'inidoneità dell'immobile, in Condominioelocazione.it, 6 marzo 2018. |