Credito nei confronti del condominio: l'amministratore è tenuto a fornire la documentazione in suo esclusivo possesso

Katia Mascia
31 Luglio 2020

La pronuncia del Tribunale di Milano consente di affrontare il tema del riparto dell'onere probatorio, temperato dall'esistenza del principio di origine giurisprudenziale della vicinanza dei mezzi di prova, in virtù del quale il suddetto onere viene ripartito tenendo conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione.
Massima

La mancata apertura di un conto corrente intestato al condominio, da parte dell'amministratore, il quale continui ad utilizzare quello personale e si rifiuti di fornire copia degli estratti-conto e delle pezze giustificative inerenti al periodo della sua gestione, comporta l'oggettiva impossibilità, imputabile all'amministratore, di ricostruire i movimenti contabili condominiali, ossia le operazioni in entrata ed in uscita effettuate nel corso dell'intera gestione, nonché di provare documentalmente il pagamento dei compensi richiesti; dunque, qualsiasi verifica contabile e dei rapporti di dare e di avere resta precluso al condominio, sul quale non possono farsi ricadere le conseguenze negative del mancato assolvimento della dimostrazione relativa al fatto estintivo della pretesa creditoria.

Il caso

Un Condominio milanese proponeva opposizione avverso un decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Milano gli ingiungeva il pagamento, in favore della società amministratrice, di una certa somma di denaro, a titolo di compenso per l'attività svolta in favore del Condominio. Il Condominio faceva presente che, poichè la società aveva sempre utilizzato il proprio conto corrente bancario anche per la gestione condominiale, il nuovo amministratore, per poter verificare se la somma richiesta da quello uscente fosse effettivamente dovuta, chiedeva, invano, che venisse esibita la documentazione bancaria e contabile. Attivata la procedura di mediazione, questa veniva abbandonata dalla società, la quale chiedeva l'emissione del decreto ingiuntivo, oggetto di opposizione, per un diverso titolo, ossia compensi professionali. La società si riservava, poi, di agire separatamente per le anticipazioni effettuate in favore del Condominio. Proposta l'opposizione, il Condominio chiede che venga accertato e dichiarata la non debenza delle somme suddette e che sia revocato il decreto ingiuntivo. L'opposta, dal canto suo, conclude per il rigetto della proposta opposizione e la conferma integrale del decreto ingiuntivo opposto.

La questione

Si trattava di stabilire se, nella fattispecie in esame, valessero gli ordinari criteri di riparto dell'onere probatorio - secondo i quali, una volta che il preteso creditore alleghi e dimostri la fonte dell'obbligazione di pagamento che assume inadempiuta, spetti al preteso debitore allegare e provare di aver adempiuto o che la pretesa creditoria si sia estinta per altra causa - oppure se potesse farsi ricorso anche al c.d. principio di vicinanza dei mezzi di prova.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Milano, ritenuta l'opposizione fondata e meritevole di accoglimento, revoca il decreto ingiuntivo e condanna la società amministratrice di condominio alla refusione delle spese di lite, in favore del Condominio opponente.

Osservazioni

Ai sensi del comma 7 dell'art. 1129 c.c., così come modificato in seguito all'entrata in vigore della l.11 dicembre 2012, n. 220, di riforma della disciplina condominiale, l'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al Condominio. Ogni condomino, per il tramite dell'amministratore, ha la possibilità di chiedere di visionare ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica. L'amministratore è tenuto ad una gestione patrimoniale dell'ente separata da quella personale, dovendo far affluire tutti i fondi condominiali su un conto corrente dedicato. Alla cessazione del proprio incarico è obbligato, poi, a consegnare tutta la documentazione in suo possesso afferente al Condominio e ai singoli condomini, nonché ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, senza diritto ad ulteriori compensi (art. 1129, comma 8, c.c.).

L'amministratore condominiale configura un ufficio di diritto privato, assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato. Pertanto, a norma dell'art. 1713 c.c., alla scadenza l'amministratore è tenuto a restituire ciò che ha ricevuto nell'esercizio del mandato per conto del Condominio, vale a dire tutto ciò che ha in cassa, indipendentemente dalla gestione alla quale le somme si riferiscono (Cass. civ., sez. II, 16 agosto 2000, n. 10815). L'obbligo del mandatario di rimettere al mandante tutto quello che ha ricevuto a causa del mandato non sorge soltanto in seguito della conclusione dell'attività gestoria, ma altresì quando si accerti l'impossibilità di eseguirla o quando vi sia stata la revoca del mandato, poichè il mandatario non ha più titolo per trattenere quanto gli è stato somministrato dal mandante (Cass. civ., sez. III, 11 agosto 2000, n. 10739).

L'obbligo di restituire ai condomini quanto ricevuto a causa dello svolgimento dell'incarico, riguarda anche i documenti concernenti la gestione (Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1999, n. 13504; App. Genova 1 agosto 2005).

In quanto atto conservativo del patrimonio comune, come tale spettante ex lege all'amministratore condominiale ai sensi dell'art. 1130, n. 4, c.c., l'apertura di un conto corrente per la gestione del denaro appartenente al Condominio non necessita di approvazione assembleare (Trib. Chieti 8 maggio 2007). La mancata apertura ed utilizzazione, da parte dell'amministratore, dell'apposito conto corrente condominiale integra un'ipotesi di grave irregolarità, legittimante la revoca del suo mandato, per avere egli agito in modo contrario alla trasparenza e al buon andamento del Condominio (Trib.Salerno 3 maggio 2011; Trib. Santa Maria Capua Vetere 17 luglio 1997; Trib. Torino 3 maggio 2000; Trib. Milano 29 settembre 1993; App. Firenze 5 dicembre 2018). In definitiva, non è legittimo il comportamento dell'amministratore che, facendo affluire i versamenti delle quote condominiali sul proprio conto personale e non su un conto intestato direttamente al Condominio, generi una confusione del suo patrimonio con quello di un Condominio o di più Condominii e renda, peraltro, impossibile ogni controllo da parte dei condomini che hanno il diritto soggettivo di fruire di una corretta gestione dei beni e dei servizi comuni. Viene, infatti, ritenuta illegittima la deliberazione dell'assemblea condominiale laddove preveda di far affluire i versamenti di tutti i condomini sul conto corrente intestato ad una società come conto d'appoggio dell'amministrazione condominiale, in quanto ciò integra lesione del diritto di ciascun condominio alla perfetta trasparenza, chiarezza e facile comprensibilità della gestione condominiale che costituisce un limite inderogabile alle scelte discrezionali e gestionali degli organi di amministrazione e governo del condominio (Trib. Genova 16 settembre 1993).

Ritornando alla fattispecie in esame, la società amministratrice ha ritenuto che in un verbale assembleare i condomini si fossero riconosciuti come debitori, nei suoi confronti, di una certa somma di denaro e che, pertanto, tale dichiarazione fosse qualificabile come riconoscimento di debito (art. 1988 c.c.) dei condomini in favore dell'ex società amministratrice. In realtà, nel verbale la società rappresentava ai condomini l'ammontare dei debiti condominiali e affermava che, in mancanza di adeguate risorse, non avrebbe potuto più pagare i creditori del Condominio. In nessun punto emergeva la sussistenza di tali debiti nei confronti dell'amministratore, anche a titolo di compensi pregressi, e, tanto meno, che questi avesse pagato, di tasca propria, i creditori del Condominio e vantasse perciò un corrispondente credito nei confronti dello stesso.

Essendo incontestato e pacifico che il Condominio non ha un proprio conto corrente e che le somme (incassi e pagamenti) dello stesso sono transitate sul conto corrente personale della società amministratrice, la prova diretta del pagamento può esser fornita soltanto producendo documenti - ossia gli estratti del conto corrente relativi al periodo in contestazione - che si trovano nell'esclusiva disponibilità dell'opposta. Soltanto incrociando i dati risultanti dai rendiconti e dalla documentazione condominiale e quelli degli estratti di conto corrente è possibile verificare se la società ha trattenuto o meno parte degli incassi ricevuti dai condomini, a titolo di compenso professionale. La documentazione, tuttavia, non è mai stata fornita al Condominio, anche se ciò sia stato ripetutamente richiesto. La società si è limitata a produrre in giudizio soltanto i rendiconti condominiali, i riparti ed i bilanci di verifica, documenti non sufficienti a ricostruire la contabilità del Condominio in quanto, in mancanza delle c.d. pezze giustificative e della documentazione inerente ai movimenti di cassa, con le relative imputazioni, non è possibile verificare la correttezza contabile dei rendiconti.

L'applicazione della regola sul riparto dell'onere probatorio prevista dall'art. 2697 c.c. deve tenere conto anche del principio della riferibilità, della vicinanza o della disponibilità dei mezzi di prova, al fine di evitare di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio.

Nella fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale milanese, la società amministratrice - gravata della produzione degli estratti del conto corrente relativi al periodo in contestazione - in base al principio di vicinanza della prova, avendo l'esclusiva disponibilità di detti documenti può, attraverso la loro produzione, dimostrare per tabulas di non aver incassato o trattenuto alcuna somma a titolo di compenso professionale. Se non l'ha fatto, non possono farsi ricadere sul Condominio le conseguenze negative del mancato assolvimento della dimostrazione relativa al fatto estintivo della pretesa creditoria.

Il c.d. principio di vicinanza o di disponibilità della prova, di elaborazione giurisprudenziale, riconducibile, per la Suprema Corte, all'art. 24 Cost.- e, dunque, espressione del più ampio principio di effettività della tutela giudiziaria - e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio, prevede che l'onere della prova debba essere ripartito tenendo conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro dei contendenti di provare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d'azione. Pertanto, è ragionevole gravare dell'onere probatorio la parte a cui è maggiormente “vicino” il fatto da provare, intendendosi con tale espressione la maggior facilità che ha questa di offrirla al giudice.

Conseguentemente, il giudice lombardo giunge a ritenere che il credito ingiunto sia stato soddisfatto, ad eccezione del compenso relativo all'ultima gestione, e che comunque non vi sia prova del contrario, non avendo l'opposta società fornito la documentazione in suo esclusivo possesso, dalla quale soltanto può evincersi con certezza la circostanza in esame.

Guida all'approfondimento

Carbone, Sviluppi in tema di onere probatorio e adempimento delle obbligazioni, in Giur. it., 2018, fasc. 11, 2557

Uda, Prova del pagamento e onere della prova, in Giur. it., 2018, fasc. 11, 2561

Ricci, Questioni controverse in tema di onere della prova, in Riv. dir. proc., 2014, 321

Besso, La vicinanza della prova, in Riv. dir. proc., 2015, 1383

Franzoni, La ‘‘vicinanza della prova'', quindi..., in Contr. e impr., 2016, fasc. 2, 360

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