Il duplice profilo degli effetti della procedura di concordato preventivo: obbligazione tributaria e rilevanza penale della condotta imprenditoriale

Francesco Rubino
31 Luglio 2020

Nella sentenza in commento i giudici di legittimità analizzano gli effetti della procedura di concordato preventivo sotto un duplice profilo, vale a dire rispetto all'obbligo di adempiere l'obbligazione tributaria da parte del debitore dopo la presentazione di domanda di concordato in bianco e alla rilevanza penale della condotta dell'imprenditore, che omette di versare le ritenute.
Massima

Gli effetti inibitori della procedura di ammissione al concordato preventivo rispetto al reato di omesso versamento possono porsi unicamente con riguardo alle condotte di cui ai reati di omesso versamento la cui scadenza si ponga dopo la domanda di concordato (sia essa in bianco che corredata di piano).

Il caso

Nel caso in esame, il Procuratore della Repubblica ricorre in cassazione avverso l'ordinanza ex art. 322-bis c.p.p. con cui era stato rigettato l'appello cautelare contro l'ordinanza di rigetto della richiesta di sequestro preventivo per equivalente in relazione all'art. 10-bis D.lgs. n. 74/2000. Egli contesta la posizione del Tribunale di Lecco che afferma la non rilevanza penale dell'omesso versamento delle ritenute per l'anno 2017 da parte del rappresentate legale di una società, in qualità di sostituto di imposta, per l'assenza di poteri di amministrazione derivanti dal deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo.

In particolare, quest'ultimo dopo avere depositato domanda di concordato preventivo in bianco ex art. 161 co. 6 l. fall. aveva omesso di versare le ritenute dovute entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale, che scadeva successivamente alla data di presentazione della domanda, ma in momento antecedente al provvedimento di ammissione al concordato preventivo.

Secondo il Tribunale, tale condotta non poteva essere sussunta sotto l'art. 10-bis D.lgs. n. 74/2000 dal momento che l'indagato, dopo aver depositato la domanda di concordato in bianco, non avrebbe potuto esercitare i poteri di amministrazione, secondo quanto espressamente dispone l'art. 167 L.fall.: “gli [eventuali] pagamenti effettuati dal debitore sarebbero [stati pertanto] inefficaci.

Il Tribunale, a supporto di quanto affermato, richiamava un recente precedente giurisprudenziale (Cass. Sez. 3, n. 36320/2019), secondo il quale il provvedimento di ammissione al concordato legittima a posteriori le pregresse condotte del debitore di omesso versamento, consumate nell'intervallo di tempo fra la presentazione del ricorso e il decreto di ammissione alla procedura. Vale a dire che in forza del provvedimento di ammissione al concordato preventivo le condotte di omesso versamento astrattamente idonee a integrare un reato cessano di avere rilevanza penale.

Il ricorrente, invece, non condividendo l'orientamento appena illustrato, riteneva che si dovesse distinguere fra la presentazione della domanda di ammissione al concordato corredata di piano ex art. 161 co. 1 e 2 L. fall, e la domanda c.d “in bianco. Mentre nel primo caso, dalla presentazione della domanda deriverebbe in capo al richiedente una limitazione dei poteri di amministrazione, funzionale a mantenere l'integrità della proposta di pagamento dei creditori, nel secondo caso, in assenza di un piano definito non vi sarebbe ragione per limitare i poteri dell'amministratore, sicché quest'ultimo risulterebbe pienamente capace di adempiere l'obbligazione tributaria.

Secondo il ricorrente ciò troverebbe conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale sarebbe sussistente il reato fiscale, i cui termini scadono dopo la presentazione della domanda di ammissione, ma prima del provvedimento positivo del Tribunale. Infatti, solo allorquando il Tribunale adotti provvedimenti impeditivi dell'adempimento delle prestazioni tributarie si configurerebbe la scriminante di cui all'art. 51 c.p., idonea a legittimare le condotte di omesso versamento.

La questione

I giudici di legittimità analizzano gli effetti della procedura di concordato preventivo sotto un duplice profilo, vale a dire rispetto all'obbligo di adempiere l'obbligazione tributaria da parte del debitore dopo la presentazione di domanda di concordato in bianco e alla rilevanza penale della condotta dell'imprenditore, che omette di versare le ritenute.

La soluzione giuridica

I giudici di legittimità hanno aderito all'orientamento già in precedenza espresso dalla Corte di Cassazione e richiamato dal Pubblico Ministero ricorrente, seppur con qualche precisazione. Secondo la Suprema Corte, infatti, gli effetti inibitori della procedura di ammissione al concordato preventivo rispetto al reato di omesso versamento possono porsi unicamente con riguardo alle condotte di cui ai reati di omesso versamento la cui scadenza si ponga dopo la domanda di concordato (sia essa in bianco che corredata di piano). Quanto alle condotte omissive consumatesi prima della domanda di ammissione al concordato preventivo, invece, permangono i profili di censura penale.

Ciò posto, la Corte di cassazione fornisce alcune precisazioni.

La giurisprudenza civile e penale ha riconosciuto che la presentazione della domanda di concordato preventivo con riserva, a seguito della pubblicazione nel registro delle imprese, dà l'avvio a un procedimento che non è autonomo e distinto rispetto a quello ordinario caratterizzato dal deposito immediato del piano, ma costituisce un segmento dell'unico procedimento che rileva, semplicemente articolato in due fasi per così dire “interne”. Non sussiste alcuna ragione giuridica – pertanto - diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, alla luce della quale dover trattare in maniera diversa la situazione in cui sia stata depositata un'istanza “in bianco”, dalla situazione in cui sia stata depositata una domanda di ammissione “ordinaria”. Le due tipologie di domande, infatti, esplicano il medesimo effetto: il c.d. spossessamento attenuato dell'imprenditore, ai sensi dell'art. 167 L.fall.

La procedura di concordato preventivo, infatti, non priva l'imprenditore dell'amministrazione dei suoi beni, ma gli consente il compimento di alcuni atti gestori. Più nel dettaglio, come precisato dalla Corte, dal momento del deposito della domanda, sia che essa sia “in bianco” o corredata di piano, l'amministratore può compiere gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli di straordinaria amministrazione sono condizionati all'autorizzazione del Tribunale (con la precisazione che nel caso di deposito di domanda di concordato in bianco gli atti di straordinari amministrazione che devono essere autorizzati dal Tribunale devono essere altresì urgenti). La Corte aggiunge, inoltre, che il pagamento di un debito tributario, che in condizioni ordinarie, costituisce un atto di ordinaria amministrazione, in costanza di procedura di concordato preventivo, deve essere annoverato fra gli atti di straordinaria amministrazione, per l'idoneità dello stesso a pregiudicare i valori dell'attivo compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori.

Da ciò deriva, quindi, che anche in un momento successivo alla presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo (in bianco o ordinaria) perdura l'obbligo dell'amministratore di adempiere le prestazioni tributarie, salvo eventuale divieto al pagamento da parte del Tribunale. Solo in quest'ultimo caso si profilerebbero i requisiti per ritenere sussistente la scriminante dell'adempimento di un dovere di cui all'art. 51 c.p., idonea a legittimare la condotta di omesso versamento.

A conclusione dell'excursus sui principi in materia enunciati dalla passata giurisprudenza, i giudici di legittimità richiamano la sentenza della Corte di Cassazione citata nella decisione del Tribunale di Lecco che esclude la rilevanza penale dell'omissione del versamento delle ritenute in scadenza dopo il deposito della domanda di concordato preventivo con riserva in quanto resa lecita dalla successiva ammissione alla procedura di concordato. La Corte di Cassazione con la sentenza in commento si discosta da tale orientamento, sostenendo che lo stesso non si confronta compiutamente con il dato testuale e la disciplina di settore che consentono il pagamento del debito tributario previa autorizzazione del Tribunale, a nulla rilevando il richiamo agli effetti retroattivi della procedura. L'efficacia retroattiva dell'ammissione al concordato – peraltro - renderebbe sostanzialmente priva di senso la stessa disciplina della legge fallimentare che consente il compimento di atti di amministrazione straordinaria nel periodo dopo la richiesta e prima dell'ammissione.

Osservazioni

Con il presente contributo s'intende portare il lettore a riflettere sulla conclusione cui giungono i giudici di legittimità con la sentenza in commento offrendo degli spunti su cui ragionare e interrogarsi in merito alle conseguenze, anche pratiche, della soluzione prospettata.

Come si è illustrato, la rilevanza penale della condotta di omesso pagamento in relazione a un debito tributario scaduto nell'intervallo temporale intercorrente tra il deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo e il successivo decreto di ammissione alla procedura, dipende dal provvedimento del Tribunale, che autorizza o vieta il pagamento. In altre parole, l'imprenditore in crisi finanziaria, che intende ricorrere alla procedura di concordato preventivo – e a tale fine deposita la relativa domanda di ammissione - è tenuto a rivolgersi al Tribunale al fine di ottenere l'autorizzazione al pagamento del debito tributario. Quest'ultimo rientra infatti fra gli atti di straordinaria amministrazione che possono essere compiuti solo previa autorizzazione del Tribunale.

È possibile affermare che la sentenza in commento una volta per tutte pare chiarire i profili di rilevanza penale della condotta di omesso versamento del debitore, che ricorre alla procedura di concordato preventivo. La Cassazione, infatti,

  • parifica – quanto all'effetto del c.d. spossessamento attenuato – la domanda di ammissione in bianco a quella ordinaria;
  • precisa il significato da attribuire all'espressione “spossessamento attenuato”;
  • distingue gli atti di ordinaria amministrazione e gli atti di straordinaria amministrazione;
  • qualifica il pagamento del debito tributario quale atto di straordinaria amministrazione, per il quale occorre l'autorizzazione del Tribunale e, in ultimo,
  • ritiene integrata la scriminante di cui all'art. 51 c.p. solo nel caso in cui sia stato emesso un provvedimento giudiziario che vieta il pagamento del debito tributario.

Così facendo la Cassazione sgombra il campo dalle alternative tesi prospettate che si prestavano a diverse critiche. In particolare, la tesi fatta propria dal ricorrente, secondo la quale sarebbero da tenere distinte, quanto agli effetti prodotti, la domanda di concordato in bianco, dalla domanda di concordato corredata di piano, e riconoscere un'impossibilità di adempiere al debito tributario solo in questo secondo caso, oltre a non poggiare su alcun dato normativo, si discosta dall'orientamento maggioritario della Cassazione, che non fa alcuna distinzione fra tipologia di domande, ma parla indistintamente di “domanda di ammissione”.

L'orientamento contrario espresso con sentenza Cassazione sez. 3, n. 36320 del 02/04/2019, richiamata dal Tribunale di Lecco, oltre che – come già detto - non confrontarsi compiutamente con il dato testuale e la disciplina di settore, che consentono il pagamento del debito tributario previa autorizzazione del Tribunale, pare possa essere criticata sotto altro profilo. Infatti, affermare che “non è configurabile il "fumus" del reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 in relazione agli obblighi scaduti successivamente alla presentazione dell'istanza di ammissione al concordato, in quanto gli effetti di tale ammissione decorrono dalla data della presentazione della relativa domanda” equivale a attribuire efficacia scriminante o di legittimazione a un atto del privato, che avrebbe il potere di privare di rilevanza penale le condotte illecite commesse. Peraltro, dal testo della motivazione, laddove si parla di “legittimazione” e di “cessazione di rilevanza penale”, non si comprende se la Corte abbia inteso qualificare l'ammissione alla procedura di concordato quale causa di giustificazione, che privi la condotta di antigiuridicità, o quale causa sopravvenuta di non punibilità, la quale – ferma restando la configurabilità del fatto di reato – conduce alla non punibilità in concreto del soggetto agente.

Diversamente da tali due tesi, la soluzione prospettata dalla Cassazione nella sentenza in commento risulta conforme al dettato normativo degli artt. 161 co. 6 e 167 L.fall. e, conformemente ai principi in materia di cause di giustificazione, ritiene integrata la scriminante di cui all'art. 51 c.p. solo nel caso in cui sussista, nel momento di consumazione del reato, un provvedimento del Tribunale che abbia “non autorizzato” il pagamento del debito tributario.

Tuttavia, come annunciato in premessa, sebbene da un punto di vista logico giuridico non pare possano essere mosse critiche al ragionamento effettuato dalla Corte, da un punto di vista meramente pratico, si profilano alcune perplessità.

Invero, la concreta configurabilità di una causa di giustificazione solo nel caso di adozione di un provvedimento da parte del Tribunale che “non autorizzi” il richiedente al pagamento del debito tributario, sebbene sia conforme ai principi in materia di diritto penale, conduce – di fatto – a investire il Tribunale dinanzi al quale pende la domanda di ammissione al concordato preventivo del potere di configurare o meno un'ipotesi di reato. Ci si chiede, in primo luogo, se il Tribunale, nel caso – in particolare – di deposito di domanda “in bianco”, la quale deve essere corredata dai soli bilanci degli ultimi tre esercizi e dall'elenco dei creditori, abbia gli elementi sufficienti per adottare una decisione di tale tipo. In secondo luogo, non è da escludere che possano ricorrere dei casi nei quali i tempi per l'assunzione di una tale decisione siano contingentati e il Tribunale non abbia la possibilità di prendere in esame la richiesta del debitore in termini utili ai fini di fornire a quest'ultimo un provvedimento che lo esoneri dall'obbligo di pagare il debito tributario.

Risulta evidente che nei fatti la soluzione prospettata dalla Corte possa prestarsi a qualche difficoltà di applicazione, nonché a qualche episodio di discriminazione o uso distorto del mezzo.

Un ulteriore aspetto merita di essere messo in luce.

Invero, nella piena consapevolezza che la pronuncia in commento si colloca all'interno del procedimento incidentale relativo alle misure cautelari e che abbia affermato la mera sussistenza del fumus commissi delicti in relazione al reato di cui all'art. 10-bis D.lgs. n. 74/2000 consumato in epoca successiva al deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo e nulla si sia ancora detto circa l'effettiva responsabilità penale dell'indagato, si ritiene opportuno sottolineare che tale pronuncia è idonea ad avere ripercussioni ben più gravi della eventuale condanna penale.

Infatti, come noto, la giurisprudenza ormai consolidata afferma che il rapporto fra il vincolo imposto dall'apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro finalizzato alla confisca diretta o per equivalente deve essere risolto a favore della seconda misura, prevalendo sull'interesse dei creditori l'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente “pericoloso”, in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato (fra le tante v.d. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28077 del 09/02/2017).

Dalla prevalenza del vincolo penale funzionale alla confisca su diritti incidenti, per effetto della pendenza di una procedura concorsuale, sul patrimonio del soggetto sottoposto alla cautela reale, potrebbe discendere l'impraticabilità della procedura concorsuale. Infatti, se i creditori non possono soddisfarsi sulle somme sottoposte a vincolo penale, per indisponibilità delle stesse, il patrimonio del debitore subisce una considerevole compressione che incide sulle sorti del concordato, sottoposto, come noto, al parere favorevole dei creditori medesimi.

Da quanto illustrato risulta chiaro che gli interessi coinvolti sono numerosi: dall'interesse dello Stato a punire le condotte criminose, all'interesse dell'imprenditore di salvare la propria azienda e, ancora, dall'interesse dell'Erario al prelievo fiscale, all'interesse degli altri creditori ad ottenere il soddisfacimento dei propri diritti. Tenere in conto tutti gli interessi menzionati pone non pochi problemi e solleva altrettante questioni giuridiche come si è visto nel caso specie, ove la Cassazione, nell'assenza di un supporto normativo che disciplini la “zona grigia” intercorrente tra il deposito della domanda di ammissione e il provvedimento del giudice, ha tentato di individuare una soluzione che potesse essere conforme ai principi generali del diritto, sebbene – come detto – la stessa presenti qualche difficolta di applicazione pratica.

Risulta senz'altro auspicabile un intervento del Legislatore che possa conciliare gli interessi in gioco e imponga all'ambito civile e all'ambito penale di coordinarsi. In particolare, sarebbe opportuna un'espressa disciplina, specifica e esaustiva, che preveda la gestione dei debiti tributari scadenti nella c.d “zona grigia”.

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