Azione gestoria illegale, partecipazione individuale alla relativa spesa comune e responsabilita' dell'amministratore e del condominio
05 Agosto 2020
Massima
Va giudizialmente affermata, in chiave di accertamento negativo, l'insussistenza, a carico dei condomini non consenzienti, dell'obbligo di partecipare alla spesa, anticipata nella sua interezza dagli altri componenti la collettività condominiale, relativa all'esecuzione di opere edili cui l'amministratore ha dato corso nonostante la sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari che ne avevano deciso la realizzazione; va, inoltre, affermata la solidale responsabilità del condominio e dell'amministratore per i danni lamentati dai condomini in conseguenza del limitato godimento delle abitazioni in rispettiva proprietà solitaria per la presenza degli impalcati all'uopo posizionati e del solo amministratore, avente anche diretto interesse a tali interventi quali condomino, per il negligente espletamento del proprio mandato gestorio. Il caso
Alcuni condomini adivano il tribunale perchè venisse accertata l'inconfigurabilità, a loro carico, dell'obbligo di partecipare alla spesa, decisa ed anticipata dagli altri componenti la collettività condominale, che era stata sostenuta per l'installazione e mantenimento, protrattosi per oltre tre anni, di impalcato per la costruzione, sul lastrico di copertura, di un tetto con travi e tegole cui l'amministratore aveva dato corso sebbene i deliberati che ne avevano deciso l'esecuzione fossero stati fatti oggetto di gravame e fossero stati cautelarmente sospesi e nonostante l'intervenuto annullamento, da parte del giudice amministrativo, del relativo titolo edilizio perché conseguito in carenza di consenso unanimitario. Chiedevano, inoltre, che sia il “condominio” che l'amministratore venissero condannati al risarcimento del danno conseguente alla prolungata permanenza del ponteggio nonché, il solo gestore, all'ulteriore derivante dal non corretto adempimento del mandato conferitogli. La questione
Nonostante la sua complessità in punto fatto, la quaestio iuris che il decidente campano ha dovuto affrontare e risolvere è stata incentrata, essenzialmente, sulla valenza giuridica, e conseguente portata effettuale, dell'attività negoziale concernente interventi edilizi innovatori, in quanto modificativi dell'assetto dello stabile, che l'amministratore ha posto in essere, in nome e per conto del condominio, in difetto di valido conforme deliberato assembleare autorizzativo perché giudizialmente sospeso a seguito di impugnazione. L'amministratore, anche condomino perché proprietario esclusivo di unità immobiliare sottostante il lastrico di copertura dell'edificio pure in sua titolarità dominicale solitaria, procedeva alla stipula, con impresa appaltatrice, di contratto diretto alla costruzione del tetto che residuava, però, alla sola fase preliminare di apposizione del relativo impalcato la cui successiva permanenza, per apprezzabile lasso temporale, precludeva il pieno godimento di singole abitazioni e sebbene fosse stato fatto destinatario di diffide alla sua rimozione da parte dei condomini dissenzienti ai quali aveva successivamente addebitato, pro quota, i relativi costi, medio tempore anticipati dagli altri partecipi della comunione condominiale che traevano vantaggio dall'edificazione dell'opus. Il giudice adìto ha, pertanto, dovuto accertare: se i condomini non consenzienti potessero essere legittimamente coinvolti in tale spesa in forza di decisione dei soli altri ad essa favorevoli e non maggioritari; se il pregiudizio dai medesimi lamentato quanto alla limitata fruizione delle proprie unità abitative potesse essere ristorato e, in caso positivo, individuare il responsabile tenuto al relativo risarcimento; se i fatti denunciati potessero importare, a carico del gestore, inadempimento all'incarico commissionatogli. Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in esame, sul presupposto che la descritta operazione negoziale non era stata supportata da unanime consenso dei condomini e non poteva ritenersi autorizzata da urgenza di intervento ha, quindi, ravvisato plurime irregolarità gestorie a causa delle quali, in chiave di accertamento negativo, ha dichiarato insussistente, a carico dei non favorevoli, l'obbligo partecipativo alla spesa per l'installazione e mantenimento dei ponteggi; ha, poi, pronunciato solidale condanna, del condominio e del suo amministratore, al risarcimento del danno lamentato da ciascun condomino attore per il conseguente pregiudizio al godimento della propria abitazione determinato dalla presenza e perduranza dell'impalcato, riconoscendo, ad uno di costoro, anche il ristoro del nocumento materiale connesso a fenomeno infiltrattivo, pure originatosi, ed ha condannato il solo amministratore ad ulteriore emolumento risarcitorio per il negligente espletamento del mandato gestorio. Osservazioni
La decisione in commento offre plurimi spunti che meritano approfondimento. Essa muove verso l'apprezzabile intento, di rilievo prettamente sostanziale, sia di evitare che scelte gestionali assunte dall'amministratore senza l'avvallo approvativo e collaborativo della maggioranza possano ritorcersi in danno dei condomini dissenzienti che, in tal modo, sarebbero costretti a sopportarne tutte le relative conseguenze, sia di apprestare apparato sanzionatorio latu sensu inteso. Tuttavia, i percorsi intrapresi per il perseguimento di tale finalità, che pure potrebbe ritenersi in linea con i principi ordinamentali, non sembrano coordinarsi con le regole normative della materia condominiale. Il tribunale ha accolto la domanda dei condomini avente ad oggetto l'accertamento negativo di loro obbligo a prendere parte ad una spesa che era carente di supporto decisionale dell'assemblea poiché le delibere che avevano disposto l'esecuzione degli interventi edilizi, cui essa aveva causale riferimento, erano state sospese dal giudice adito in sede di sua impugnazione. Possono, però, avanzarsi dubbi circa la legittimità di tale tipologia di azione nel richiamato contesto endocondominale. Avverso le decisioni riconducibili alla gestione del condominio edilizio importanti la partecipazione ad un esborso di interesse comune - che possono essere costituite o da deliberati assembleari o da provvedimenti dell'amministratore con cui venga indicato il relativo ammontare e predisposto il piano di riparto - la tutela individuale è assicurata dalla possibilità di gravame entro ristretti termini decadenziali, e ciò al chiaro fine di stabilizzazione dei relativi rapporti. Laddove venisse ammessa la possibilità di accertamento negativo dell'esistenza di tale dovere, la pertinente azione incontrerebbe il solo limite sostanziale della prescrizione del diritto e ciò comporterebbe surrettizia violazione del sistema decadenziale, avente margini temporali ben più ristretti, funzionale ad una tendenziale stabilità dell'intero sistema di riferimento, sui cui la materia condominiale è strutturata, sì da disvelarne un profilo di abusività. In una prospettiva processualistica deve, poi, rilevarsi che, come evidenziato dal giudice di legittimità, nella c.d. giurisdizione di mero accertamento l'interesse ad agire, ex art. 100 c.p.c., è costituito dalla rimozione di uno stato di incertezza oggettiva su di un determinato rapporto giuridico che non potrebbe essere altrimenti eliso se non con la relativa pronuncia giudiziale (così Cass. civ., sez. I, 30 luglio 2015 n. 16162). Con riferimento al dovere condominiale di partecipazione alla spesa comune ex art. 1123 c.c., laddove non intervenisse deliberato assembleare ovvero provvedimento dell'amministratore con correlato piano di riparto individuale che, per ciascun componente, rendesse concreto ed attuale il relativo obbligo di pagamento non sembrerebbe, poi, oggettivamente riscontrabile, in via anticipata, una situazione fattuale in forza della quale il condomino, ancora non personalmente coinvolto nel pertinente esborso, possa chiedere la giudiziale verifica della sua esenzione si da difettare la relativa necessaria condizione dell'azione. Il decidente campano ha, inoltre, ritenuto responsabili, in via solidale, sia il “condominio” - che, quanto alla sua composizione soggettiva dovrebbe avere riferimento ai soli condomini consenzienti all'attività edificatoria - sia l'amministratore per i danni lamentati dal singolo per il limitato godimento dell'unità immobiliare in proprietà esclusiva a causa della persistenza dei ponteggi. Sul punto deve, però, rilevarsi che la presenza dell'impalcato è stata conseguenza di un'attività negoziale, intercorsa con l'impresa appaltatrice, che il gestore ha intrapreso e proseguito nonostante la carenza di relativa legittimazione poiché i deliberati con cui l'assemblea condominiale aveva deciso darsi corso alle opere, a seguito di giudiziale impugnativa, erano stati sospesi dal Tribunale adìto. Il rapporto negoziale che lega l'amministratore al condominio, e ciò anche per espressa indicazione in tal senso dell'art. 1129, penultimo comma, c.c. e laddove non derogato in via di specialità, deve ricondursi al contratto tipico di mandato ex artt. 1703 ss. c.c. Ai sensi dell'art. 1130 c.c. l'amministratore, poi, deve dare esecuzione ai deliberati assembleari, principio che vale in particolare per le attività di governo esulanti dalla ordinaria gestione e tale dovere deve leggersi anche in chiave negativa laddove la decisione dell'assemblea risulti, in origine o per circostanze sopravvenute, carente dei presupposti che ne condizionano la produttività di effetti. L'amministratore può, quindi, ritenersi legittimato ad attività di governo eccedenti le incombenze di natura ordinaria laddove preesista e perduri, nella sua validità ed efficacia, relativa determinazione dell'assemblea la cui carenza comporterebbe, da parte del mandatario, il compimento di un atto non riconducibile all'espletamento del mandato conferitogli che, secondo quanto previsto dall'art. 1711 c.c., vedrebbe residuare, a suo esclusivo carico, ogni conseguenza che ne derivasse (così anche Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 2002, n. 982). Poiché, nel caso, di specie, l'apposizione del ponteggio che ha precluso il pieno godimento delle abitazioni in proprietà solitaria, apprezzata in chiave giuridica, costituiva esecuzione di un rapporto di appalto che, in ragione della sospensione degli effetti dei deliberati assembleari che pure ne avevano previsto ed autorizzato la stipula, vedeva estraneo il condominio, ogni effetto prodottosi non può che fare capo all'amministratore che, secondo i trascritti principi normativi, ne è sua parte formale e sostanziale. Pertanto, a carico del solo gestore dovrebbero essere posti sia i costi richiesti per la permanenza dell'impalcato sia gli emolumenti risarcitori per i danni causalmente connessi alla sua apposizione e protrazione. A conferma di tale inferenza può essere operato richiamo alla giurisprudenza della corte di legittimità che, proprio con riferimento a ponteggi che avevano agevolato introduzioni furtive nelle singole abitazioni, ha affermato, ai sensi dell'art. 2051 c.c., la responsabilità, concorrente con quella dell'impresa appaltatrice, del condominio committente per aver disposto il mantenimento della struttura (in tal senso, da ultimo, Cass. civ.,sez. III, 22 ottobre 2018, n. 26691). Poiché, pertanto, il rapporto negoziale di affidamento dell'esecuzione dell'opera - che non rientrava, di certo, nel novero della gestione ordinaria delle parti comuni in ragione del suo contenuto innovatorio - non poteva fare giuridicamente capo all'ente condominiale, le relative conseguenze, ex delicto ed ex contractu, devono essere ascritte a colui che di esso ne è stato la parte effettiva. La pronuncia in commento ha, infine, affermato ulteriore autonomo titolo di responsabilità all'amministratore per negligente adempimento del mandato gestorio ed ha equitativamente liquidato il relativo danno. Le circostanze da cui ha ritenuto poterne derivare la sussistenza, ossia l'aver dato impulso ad una attività negoziale in posizione di conflitto di interessi, poiché volta alla realizzazione, sul lastrico in sua proprietà esclusiva posto a copertura della propria abitazione, di relativo tetto in difetto sia di mandato assembleare che di titolo abilitante urbanistico - a seguito di relative pronunce giurisdizionali interdittive - poiché, all'evidenza, in palese distonia dal paradigma normativo di riferimento dettato principalmente dall'art. 1130 c.c., possono condividersi. Dubbi possono, invece, formularsi per quel che concerne il pregiudizio connesso a tale inadempimento negoziale. Secondo quanto previsto dall'art. 1223 c.c. può essere risarcito il solo danno che sia conseguenza immediata e diretta della condotta contra ius che ne ha causato la verificazione. Nel caso in esame, il decidente, una volta individuatane la fattispecie generatrice, ha proceduto alla sua quantificazione in via equitativa senza, però, previamente dettagliarne il contenuto. Tuttavia, le conseguenze dannose causalmente connesse all'azione gestoria illegale che sono state dedotte in lite e in concreto riscontrabili si identificano con quelle per le quali l'amministratore, in uno al condominio, aveva già visto condanna al risarcimento. La pronuncia sembrerebbe, invece, aver ravvisato una sorta di danno in re ipsache, però, mal si raccorda con la richiamata previsione normativa e, infine, anche la determinazione del suo ammontare in via equitativa si pone in violazione della regola dell'art. 1226 c.c. che la consente soltanto laddove il nocumento sia stato previamente appurato, ma non sia agevolmente traducibile in corrispondenti termini pecuniari. Amendolagine, I lavori in condominio. Appalto e responsabilità, Rimini, 2016; Balucani, Ponteggi per la ristrutturazione della facciata condominiale: inapplicabilità dell'art. 2051 c.c. in caso di danno, in Resp. civ. e prev., 2013, fasc. 4; Luminoso, Il rapporto di amministrazione condominiale, in Riv. giur. edil., 2017, fasc. 4.
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