Sequestro di somme di denaro e profitto del reato

06 Agosto 2020

Le somme di denaro oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, che costituiscono il profitto del reato oppure un valore ad esso equivalente, non possono essere sostituite con beni mobili od immobili di identico valore, perché tale operazione comporta la permuta di un bene di immediata escussione con un diritto di proprietà non immediatamente convertibile in un valore corrispondente al profitto del reato.
Massima

Le somme di denaro oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, che costituiscono il profitto del reato oppure un valore ad esso equivalente, non possono essere sostituite con beni mobili od immobili di identico valore, perché tale operazione comporta la permuta di un bene di immediata escussione con un diritto di proprietà non immediatamente convertibile in un valore corrispondente al profitto del reato. Non è ammissibile - neppure qualora vi sia il consenso del soggetto interessato - sottoporre a vincolo un bene immobile di proprietà del soggetto che si è avvantaggiato del reato, ma che non costituisce profitto, nemmeno indiretto, dell'illecito.

Il caso

Il Tribunale di Rieti, accogliendo parzialmente la richiesta di riesame proposta dall'indagato nel procedimento, quale legale rappresentante di una società, aveva disposto che il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, diretta e per equivalente, del profitto del reato di cui all'art. 10-ter del Dlgs. 10 marzo 2000, n. 74, eseguito su somme depositate sui conti correnti intestati alla società, beneficiaria del reato, fosse trasferito su un immobile alla stessa appartenente.

Avverso tale ordinanza il Procuratore della Repubblica proponeva quindi ricorso per cassazione, deducendo, in primo luogo, che l'ordinanza impugnata aveva trasferito il vincolo posto in relazione al profitto diretto del reato (tale dovendo ritenersi il denaro contante in possesso della società che aveva omesso il versamento dell'IVA) su un bene immobile che costituiva invece profitto per equivalente.

In secondo luogo, per quanto qui di interesse, si evidenziava poi che la decisione era stata assunta anche in violazione dell'art. 19 del Dlgs. 8 giugno 2001, n. 231, posto che la citata disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti da reato è inapplicabile ai reati fiscali.

Da ultimo, si lamentava che era stata omessa una verifica oggettiva del valore dell'immobile, essendosi il Tribunale fondato soltanto su una perizia di parte, neppure considerando che sullo stesso erano state iscritte due ipoteche giudiziali - come pure era ipotecato il terreno sul quale il medesimo insisteva.

La difesa dell'indagato, per conto suo, replicava che la violazione dell'art. 19 D.lgs. n. 231/2001 era insussistente, sia in quanto tale disposizione non era stata nè citata né applicata dal Tribunale, e sia in quanto, comunque, l'art. 12-bis Dlgs. 74 del 2000 non vieta espressamente di sottoporre a confisca beni che, pur non costituendo profitto del reato, appartengano a persona a questo non estranea che manifesti al proposito il proprio consenso, o addirittura lo richieda, come nella specie avvenuto da parte della società.

Si rilevava, inoltre, come il valore dell'immobile fosse almeno doppio rispetto all'importo del sequestro.

La questione

Pur formalmente lamentandosi la violazione dell'art. 322-ter, primo comma, cod. pen. - nella parte in cui dispone che la confisca per equivalente (e, dunque, il sequestro preventivo ad essa finalizzato) possa essere disposta soltanto laddove sia impossibile l'acquisizione diretta del profitto - la censura sollevata dal ricorrente doveva in realtà intendersi riferita alla corrispondente disposizione di cui all'art. 12 bis, comma 1, Dlgs. 74 del 2000, introdotto dal Dlgs. 24 settembre 2015, n. 158 ed applicabile nel caso di specie ratione temporis (il ricorrente, come rileva anche la Corte) aveva semplicemente errato nell'indicare la previgente fattispecie prevista dall'art. 322-ter cod. pen., richiamato dall'art. 1, comma 143, L. 24 dicembre 2007, n. 244 e abrogata dall'art. 14 del citato Dlgs. n. 158 del 2015, laddove comunque la stessa Cassazione ha già affermato che le due disposizioni hanno identico contenuto e che tra le stesse vi è continuità normativa (cfr., Cass., Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016).

La soluzioni giuridiche

Tanto premesso, secondo la Suprema Corte, la censura era fondata.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che le somme di denaro oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, che costituiscono il profitto del reato oppure un valore ad esso equivalente, non possono essere sostituite con beni mobili od immobili di identico valore, perché tale operazione comporta la permuta di un bene di immediata escussione con un diritto di proprietà non immediatamente convertibile in un valore corrispondente al profitto del reato (Cfr., Cass., Sez. 3, n. 37660 del 17/05/2019; Cass., Sez. 3, n. 12245 del 17/01/2014, Cass., Sez. 3, n. 33587 del 19/06/2012).

E del resto, sottolinea la Corte, non è ammissibile - neppure qualora vi sia il consenso del soggetto interessato - sottoporre a vincolo un bene immobile di proprietà del soggetto che si è avvantaggiato del reato ma che non costituisce profitto, nemmeno indiretto, dell'illecito, dato che, in caso contrario, si tratterebbe di un vincolo preordinato ad una confisca per equivalente del profitto che la legge non prevede in capo al soggetto che si è avvantaggiato del reato, essendo la stessa prevista - solo in caso di impossibilità della confisca del profitto del reato - nei riguardi dell'autore dello stesso.

Nonostante il consenso del soggetto interessato al trasferimento del sequestro dal denaro all'immobile l'eventuale sentenza di condanna non potrebbe dunque mai disporre la confisca di quel bene, non prevista né consentita dalla legge, sicché il provvedimento cautelare si rivelerebbe privo degli effetti che gli sono propri.

Le disposizioni sulla confisca, infatti, conclude la Cassazione, rivestono carattere di stretta interpretazione e, avendo spiccata natura pubblicistica, il loro contenuto ed i loro effetti non possono certo formare oggetto di pattuizioni tra privati, che si muovono nell'ambito dell'autonomia negoziale (cfr. Cass., Sez. 1, n. 46559 del 15/09/2016, che ha affermato il principio secondo cui, in tema di confisca, il giudice dell'esecuzione non può disporre, su istanza del terzo rimasto estraneo al processo, la sostituzione del bene confiscato al condannato con una somma di denaro corrispondente al valore del bene stesso).

Infine, tanto chiarito in punto di diritto, la Cassazione rileva che - veri i presupposti allegati nella memoria difensiva (vale a dire che l'immobile in questione aveva un valore doppio rispetto all'importo oggetto di confisca ed era libero da iscrizioni ipotecarie) - la società non avrebbe allora incontrato difficoltà ad ottenere un prestito per importo equivalente a quello sequestrato, anche dando in garanzia l'immobile stesso, così conseguendo il risultato auspicato senza necessità di ricorrere ad interpretazioni contra legem delle disposizioni in materia di confisca.

Conclusione

A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

In caso di condanna per uno dei reati previsti dal Dlgs 74/2000, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il profitto od il prezzo del reato, ovvero, quando essa non è possibile, dei beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente. Tali misure rispondono alla ratio di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa.

Le Sezioni Unite hanno peraltro rilevato che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione esatta della nozione di "profitto del reato", laddove tale locuzione assume quindi un'ampia "latitudine semantica" da colmare in via interpretativa (SS.UU., 2.7.2008, n. 26654).

Il profitto, a cui fa riferimento l'art. 240, co. 1, c.p., deve comunque essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e, in tema di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente va riferito all'ammontare dell'imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita, laddove, per la quantificazione dell'indebito risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all'accertamento del debito tributario.

Nel caso poi di frode fiscale il sequestro preventivo per equivalente non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché il giudice è tenuto a valutare l'equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto, spettando al giudice, che, in sede di riesame, proceda alla conferma del sequestro, il compito di valutare la corretta determinazione dell'entità.

Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica è del resto legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell'imputato nel caso in cui dallo stesso non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica, su cui disporre la confisca diretta.

Per procedere al sequestro finalizzato alla confisca di beni di cui il reo abbia la disponibilità, per un valore corrispondente a quello del profitto del reato, è pertanto necessario l'accertamento del presupposto costituito dalla impossibilità di sequestrare in via diretta i beni che costituiscono il profitto del reato stesso, che si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito (cfr., Cass.,Penale, Sez. 3, Num. 32502 Anno 20189).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.