Stalking condominiale tra divieto di avvicinamento e obbligo di abbandono della propria abitazione

19 Agosto 2020

La Corte di Cassazione ha disposto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza che disponeva la misura cautelare a carico di un condomino resosi autore di atti persecutori e di lesioni aggravate ai danni di un vicino di casa afflitto da menomazioni fisiche. A fronte della più generica richiesta del P.M. di applicazione in via cautelare del divieto di avvicinarsi e di comunicare alla persona offesa, il G.I.P. aveva provveduto disponendo una misura cautelare di maggiore afflittività, consistente nel più specifico e dettagliato divieto di avvicinamento all'edificio dove la vittima dimora, e nell'obbligo di mantenersi ad una distanza di almeno 50 metri. Tuttavia, trattandosi di fatti riguardanti condomini abitanti nel medesimo edificio, il contenuto prescrittivo più dettagliato della misura si era, di fatto, tradotto sostanzialmente in un immotivato divieto di dimora nella propria abitazione e nel conseguente obbligo di abbandonare il proprio domicilio, ossia in una diversa misura cautelare connotata da maggiore compressione dei diritti del sottoposto.
Massima

A differenza dei casi in cui la condotta persecutoria si realizza in àmbito familiare e di coabitazione, ove si manifesta in modo evidente la potenzialità criminogena della condotta offensiva che costituisce la ratio giustificatrice della misura cautelare dell'allontanamento dall'abitazione, nei casi di atti persecutori tra soggetti non conviventi o tra vicini di casa, la misura cautelare dell'obbligo di abbandono del proprio domicilio non trova uguale intuitiva ragione giustificatrice. Ne segue che il giudice deve disporre quella misura cautelare che meglio contemperi i diritti della persona che vi è sottoposta con i diritti della persona offesa, in modo che la limitazione imposta all'indagato sia motivata da effettive esigenze di tutela.

Il caso

La questione si inserisce nel contesto di tensione nei rapporti tra vicini di casa, sfociati in veri e propri atti persecutori e di lesioni aggravate ai danni di un condominio afflitto da menomazioni fisiche. A fronte della più generica richiesta del Pubblico Ministero, di applicazione in via cautelare del divieto di avvicinarsi e di comunicare alla persona offesa, senza alcuna ulteriore prescrizione, il G.I.P. provvede disponendo una misura cautelare più dettagliata, consistente nel più specifico divieto di avvicinamento all'edificio dove la vittima dimora, e di mantenersi ad una distanza di almeno 50 metri, conformemente all'orientamento giurisprudenziale più recente che richiede, a pena di illegittimità, che il provvedimento specifichi in modo dettagliato e preciso i luoghi oggetto del divieto.

Tuttavia, la maggiore afflittività delle prescrizioni disposte in via cautelare dal G.I.P. si evidenzia in ragione dei rapporti di vicinato esistenti tra l'autore e la vittima del reato di atti persecutori, entrambi abitanti nel medesimo edificio, anche se su diversi piani. Perciò, di fatto, il divieto di avvicinamento all'edificio ove la vittima dimora e di tenersi ad una distanza di almeno 50 metri disposto dal G.I.P. (ma non richiesto dal P.M.), si traduce in un sostanziale divieto di dimora nella propria abitazione con il conseguente obbligo di abbandonare il proprio domicilio.

Sul punto, ricorre per cassazione avverso l'ordinanza del G.I.P. il difensore dell'indagato lamentando il travalicamento dei limiti dell'istanza de libertate, nonché la diversità e maggiore gravità della misura cautelare disposta dal giudice rispetto quella richiesta dal P.M., le cui specificazioni disposte nel provvedimento impediscono di fatto all'indagato di abitare nel proprio domicilio. In sostanza, il G.I.P. non avrebbe tenuto in conto la contiguità spaziale delle abitazioni e le peculiarità proprie del c.d. stalking condominiale.

Contesta il ricorrente, inoltre, l'assenza degli gravi indizi di colpevolezza e, in particolare, l'assenza degli eventi tipici del reato di stalking, non essendo acquisiti, neppure a livello di indizio, fattori attestanti lo stato di ansia in capo alla persona offesa, né essendovi stata alcuna modificazione delle abitudini di vita di questa, che per di più in separato giudizio era stata condannata per minaccia.

Sempre in ordine agli indizi di colpevolezza, il ricorrente eccepisce che la misura sia stata disposta sulla base della sole dichiarazioni della persona offesa, nonché l'inattendibilità delle registrazioni acquisite agli atti consistenti in spezzoni di audio tagliati dalla stessa vittima, solita aggirarsi nello stabile con il registratore in mano, allo scopo di premunirsi una prova.

La questione

A prescindere da quelle eccezioni che comporterebbero una rivalutazione delle emergenze delle indagini preliminari, non consentita in sede di legittimità, la Corte di Cassazione, nell'esaminare i motivi di ricorso, si sofferma in particolare sulle censure difensive relative alla scelta della misura cautelare applicata, cogliendo l'occasione per fare alcune importanti precisazioni in tema di stalking condominiale e in merito alla scelta della più adeguata misura cautelare da adottare. La Corte, infatti, evidenzia la differenza tra i casi in cui la condotta persecutoria si realizza nell'àmbito di un contesto familiare e di coabitazione, ove si manifesta la potenzialità criminogena della condotta offensiva all'interno della casa di abitazione, dai casi in cui la condotta persecutoria si realizzi nell'ambito dei rapporti di vicinato, fuori dai rapporti familiari e rispetto soggetti non conviventi (c.d. stalking condominiale). Mentre nel primo caso sussistono in modo evidente le esigenze cautelari di un allontanamento dall'abitazione, che impongono di neutralizzare o prevenire la reiterazione del reato impedendo la convivenza, diversamente, nel caso di atti persecutori che si realizzano tra soggetti non conviventi, l'obbligo di abbandono del proprio domicilio deve trovare una peculiare e specifica ragione giustificatrice, da esplicitare nella motivazione, essendo altrimenti adeguata la misura del divieto di avvicinamento, magari arricchita da prescrizioni più dettagliate.

In ragione di queste premesse, la Corte dispone l'accoglimento del ricorso. Infatti, il provvedimento restrittivo disposto dal G.I.P. ben avrebbe potuto arricchire con specifiche prescrizioni la misura di divieto di avvicinamento rendendola più consona al caso concreto, soprattutto tenendo conto della contiguità delle abitazioni e della possibilità di prevedere prescrizioni in ordine all'accesso (l'abitazione dispone di due accessi autonomi e i soggetti abitano su piani diversi), senza tuttavia sfociare in una altra e più grave misura cautelare, regolata da altra norma del codice di rito (art.283 c.p.p.), e per di più non richiesta dal P.M.

La Suprema Corte evidenzia che il giudice di merito non ha considerato che ordinare all'autore del reato di rimanere a 50 metri dalla vittima significava sostanzialmente vietargli di continuare ad abitare nel suo appartamento, vale a dire di dimorare in un determinato luogo, tuttavia contenuto tipico della diversa misura cautelare di cui all'art. 283, comma 1, c.p.p. Ed invero, nel caso di stalking condominiale, la prescrizione specifica di mantenere la distanza di 50 metri dalla parte offesa si traduce sostanzialmente in un divieto di dimora e praticamente di dimorare in altro luogo.

Le soluzioni giuridiche

In tema di misure cautelari, la giurisprudenza della Suprema Corte si è orientata in modo differente nel tempo. In una prima iniziale fase, la Cassazione aveva posto la persona offesa come riferimento centrale dell'oggetto e dei limiti della misura cautelare, a prescindere da uno specifico e determinato riferimento ai luoghi frequentati da questa. In tal senso, Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297 ha ritenuto “irrilevante l'individuazione dei luoghi di abituale frequentazione della vittima, atteso che dimensione essenziale della misura è il divieto di avvicinamento alla persona offesa nel corso della sua vita quotidiana ovunque essa si svolga”.

Questa giurisprudenza faceva sì che l'effettivo grado di afflittività della misura dipendesse dalla quantità di luoghi frequentati dalla persona offesa e dalla variabilità degli stessi, con conseguente compressione della libertà di circolazione del destinatario della misura che ben avrebbe potuto non conoscere preventivamente i luoghi ai quali gli è inibito l'accesso in via assoluta. Se ne contestava perciò la carenza di determinatezza.

Per tali ragioni, più di recente, si è affermato l'indirizzo opposto che ritiene necessario che il provvedimento che dispone la misura specifichi, a pena di illegittimità, in modo dettagliato e preciso i luoghi oggetto del divieto, in modo che siano preventivamente determinati e conosciuti dal sottoposto (Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2016, n. 30926).

Questo ultimo orientamento ritiene di porre come primario obiettivo della misura quello di garantire e contemperare la libertà di movimento e di relazioni sociali della persona offesa da possibili intrusioni da parte dell'indagato, tenendo conto delle specificità del caso concreto, la personalità dell'indagato e ogni altra circostanza utile.

Tuttavia, nella fattispecie, il provvedimento impugnato, nell'adeguarsi a questa ultima giurisprudenza, specificando nel dettaglio il luogo del divieto di avvicinamento, non ha tenuto conto del fatto che indagato e persona offesa fossero condomini del medesimo stabile e che la dettagliata prescrizione di non avvicinamento alla dimora della parte offesa equivaleva nella sostanza all'obbligo di abbandono della propria abitazione.

Osservazioni

Il caso si presta a qualche osservazione in tema adozione di misure cautelari. Occorre preliminarmente specificare che l'art. 277 c.p.p. impone che le modalità esecutive di una misura restrittiva debbano contemperare i diritti della persona che vi è sottoposta con i diritti della persona offesa in modo che la limitazione imposta all'indagato non ecceda le esigenze cautelari.

Pertanto, il giudice è tenuto a modellare la misura prescelta sulla base della situazione di fatto esistente nella realtà, dovendo cioè recare prescrizioni e divieto quanto più circostanziate possibili e mai generiche, in modo da soddisfare le effettive esigenze di tutela.

Tale principio generale è desumibile in particolare dall'art. 282-ter, comma 4, c.p.p., in tema di divieto di avvicinamento, che regola nello specifico il caso in cui un luogo determinato sia stato precluso al soggetto gravato dalla misura cautelare, che ne abbia tuttavia necessità di accedervi per ragioni abitative o di lavoro, prevedendo che il giudice possa imporre modalità e limitazioni specifiche.

Va, inoltre, specificato che il divieto di dimora costituisce il contenuto tipico della misura cautelare prevista dall'art. 283 c.p.p., la quale anch'essa dispone, nel comma 5, che il giudice, nello stabilire i limiti territoriali delle prescrizioni, tenga in conto le esigenze di alloggio o di lavoro dell'imputato.

Alla luce di tale principio, l'obiettivo del contemperamento delle esigenze e dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, che avrebbe dovuto ispirare il giudice di merito nella determinazione delle prescrizioni, sarebbe stato agevolmente realizzato, nel caso di specie, prescrivendo specifiche modalità di accesso all'edificio comune, dotato di doppio ingresso e di distinte aree di parcheggio, senza sconfinare nella più grave e immotivata misura dell'abbandono del domicilio a carico del sottoposto.

Guida all'approfondimento

Diamante, L'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare: alcune criticità, in Altalex, 12 maggio 2015;

Maugeri, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Torino, 2010.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario