Impugnazione dell'assemblea condominiale: quante “teste” conta chi ha svariate proprietà?

Edoardo Valentino
21 Agosto 2020

La sentenza del Tribunale di Verona in commento chiarisce che, al fine dei conteggi delle “teste” in assemblea, e per la computazione delle maggioranze previste dall'art. 1136 c.c., un soggetto comproprietario di più unità immobiliare deve essere conteggiato come una “testa”, assommando poi i millesimi di tutti gli immobili di sua proprietà.
Massima

In un'assemblea condominiale, al fine del conteggio delle teste e dei millesimi ai sensi dell'art. 1136 c.c., sia in prima che in seconda convocazione e indipendentemente dall'oggetto della decisione, la presenza di un condomino che abbia più proprietà nello stesso stabile deve essere considerata come una sola testa, e come rappresentante la somma dei parametri millesimali di proprietà dei suoi immobili.

Il caso

Tre condomini impugnavano due delibere assembleari sulla base di tre motivi.

In prima battuta, essi affermavano come, nel corso della relativa votazione, l'amministratore non aveva tenuto conto della circostanza che loro, comproprietari di più appartamenti, avrebbero avuto a disposizione un voto a testa in qualità di proprietari dei rispettivi appartamenti, e un voto ulteriore in qualità di comproprietari di un'altra unità immobiliare, per un totale di quattro voti.

In secondo luogo, essi contestavano come la delibera impugnata sarebbe stata approvata anche con il voto favorevole di un condomino il quale aveva conferito la delega ad un altro comunista e sarebbe stato da questi erroneamente rappresentato nelle proprie intenzioni di voto.

Il delegato, inoltre, non sarebbe stato in grado di fornire alcuna prova in merito al possesso della delega.

Da ultimo, come terza doglianza, la delibera sarebbe stata nulla in quanto tramite la stessa si sarebbero approvati dei lavori di manutenzione dell'edificio da parte di un architetto, senza che i condomini avessero avuto modo di prendere visione del relativo preventivo.

La mediazione obbligatoria, istaurata solamente sulle prime due doglianze, era stata ritualmente esperita prima del giudizio, ma non aveva consentito la definizione bonaria della questione.

La questione

Il giudizio reca alcune interessanti questioni di diritto condominiale.

Gli attori, infatti, propongono una impugnazione sulla base di tre motivi (sopra sintetizzati) e fondati su differenti valutazioni legali.

Con il primo motivo, ci si interroga sulla possibilità, per uno o più condomini, di essere considerati nel computo delle teste sia con la propria proprietà individuale che con una eventualmente condivisa con altri.

La regola dell'art. 1136 c.c. afferma, infatti, che “L'assemblea in prima convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio.

Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio” e prosegue specificando che “L'assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio”.

Nel caso in questione, i tre ricorrenti erano proprietari di un immobile a testa in proprietà esclusiva, al quale si aggiungeva un ulteriore immobile del quale erano tutti e tre proprietari pro quota.

A detta loro, quindi, aveva errato l'amministratore nel non valutare come i voti complessivamente a loro disposizione fossero quattro (uno per ogni proprietà esclusiva e uno per l'appartamento condiviso).

Il secondo motivo, invece, riguardava una contestazione in merito alla rappresentanza in assemblea di un altro condomino.

Egli aveva, apparentemente, conferito delega ad un altro proprietario, che aveva quindi partecipato all'assemblea e votato in sua vece.

I ricorrenti contestavano la presunta non aderenza del rappresentante alle istruzioni del rappresentato e l'impossibilità da parte di questi di esibire la delega.

La questione ineriva i poteri di rappresentanza e la responsabilità collegata.

Ai sensi dell'art. 67 disp. att. c.c., “Ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale.

Qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell'articolo 1106 del codice”.

Come ultimo motivo, poi, i ricorrenti contestavano la parte di delibera con la quale il condominio aveva approvato il progetto per l'esecuzione di alcuni lavori di manutenzione del palazzo, senza che vi fosse stata la preventiva analisi del preventivo del professionista coinvolto.

Le questioni, di diversa natura, erano quindi tre, delle quali solamente le prime due oggetto del tentativo di mediazione obbligatoria.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza del 15 ottobre 2019, il Tribunale di Verona respingeva la domanda attorea e confermava le delibere assembleari impugnate.

Analizzando i tre quesiti in ordine di proposizione, infatti, il decidente giungeva alla conclusione del l'inconferenza degli stessi e respingeva le argomentazioni delle parti ricorrenti.

Quanto al primo motivo, il giudice affermava come, anche in presenza di condomini con svariati immobili - fossero essi in proprietà esclusiva o comproprietà - la loro presenza avrebbe dovuto essere computata esclusivamente come una testa cadauno.

Sia in prima che in seconda convocazione, e indipendentemente dall'oggetto della delibera, lo stesso art. 1136 c.c. analizzato in precedenza chiarisce come - con riferimento al numero di voti necessario per l'approvazione delle delibere - si debba computare la “maggioranza degli intervenuti” facendo riferimento alle persone fisicamente presenti alla riunione (siano esse condomini o terzi con delega).

Se un condomino presenzia all'assemblea come comproprietario di varie abitazioni, egli conta comunque come una sola testa, il cui potere di voto deve essere valutato alla luce della somma dei millesimi da lui detenuti in tutti gli immobili di sua proprietà presenti nel condominio.

Tale assunto era confermato altresì dall'art. 67 disp. att. c.c., nella parte in cui statuiva che, “qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell'articolo 1106 del codice”.

Il secondo motivo, invece, veniva respinto dal giudice per carenza di legittimazione ad agire da parte degli attori.

A detta loro, infatti, nelle delibere impugnate essi non avrebbero mai correttamente espresso la volontà del delegante (in una per mancanza di delega e nella successiva per non avere seguito le presunte indicazioni del delegante).

Sul punto, il decidente ricordava come la questione della delega a partecipare all'assemblea condominiale esula dal diritto di critica degli altri condomini e può essere unicamente sollevata dal delegante.

Lo stesso art. 67 disp. att. c.c. afferma sul punto che “Il rappresentante risponde con le regole del mandato e comunica tempestivamente all'amministratore di ciascun condominio l'ordine del giorno e le decisioni assunte dall'assemblea dei rappresentanti dei condominii. L'amministratore riferisce in assemblea”.

La delega, quindi, è unicamente fonte di responsabilità per il delegato alla stregua dell'azione del falsus procurator nel contratto di mandato.

L'art. 1398 c.c. specifica sul punto, infatti, che “colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto”.

Al fine di sostanziare la propria decisione, il magistrato scaligero citava, altresì, un precedente arresto della Cassazione, nel quale gli ermellini avevano avuto modo di affermare che, “in materia di delibere condominiali, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato sono disciplinati dalle regole sul mandato, con la conseguenza che l'operato del delegato nel corso dell'assemblea non è nullo e neppure annullabile, ma inefficace nei confronti del delegante fino alla ratifica di questi” (così Cass civ.,sez. II, 27 marzo 2003, n. 4531).

Conseguentemente, il voto eventualmente espresso dal delegato in difformità dalle istruzioni del delegante deve essere inteso come unicamente inefficace nei confronti di questo.

Il terzo motivo di doglianza, inerente l'approvazione dei progetto dei lavori di manutenzione del condominio senza la previa analisi dei preventivi del professionista, veniva rigettato in quanto omesso dai tentativi di mediazione obbligatoria e presentato per la prima volta, irritualmente, nel giudizio de quo.

Al rigetto integrale dell'atto di citazione seguiva quindi la soccombenza attorea e la condanna alla refusione delle spese del condominio convenuto.

Osservazioni

La sentenza pare corretta ed esposta con pregevole sintesi.

I tre motivi venivano analizzati in successione, chiarendo l'inconferenza degli stessi, sia materiale (i primi due) che processuale (con riguardo al terzo).

Il primo motivo veniva correttamente rigettato dal giudice in quanto la soluzione giuridica prospettata dagli attori, oltre che contra legem, avrebbe costituito un paradosso.

Ove la tesi attorea fosse stata accolta, difatti, si sarebbe assistito alla rappresentazione di una realtà innaturale, nella quale una persona fisica sarebbe stata presente come sé stessa e come comproprietario, in una inammissibile duplicazione delle teste, inaccettabile ai fini del buon governo del condominio.

Parimenti, si condivide la valutazione del giudice in merito al secondo motivo di diritto dell'atto di citazione attoreo.

L'eventuale carenza di legittimazione del rappresentante o il suo discostamento dalle istruzioni ricevute rientrano infatti nel quadro delle disposizioni sul mandato, e conseguentemente riguardano il rapporto sinallagmatico tra rappresentante e rappresentato, non inficiando invece il buon esito dell'assemblea.

Quanto al terzo motivo, invece, non ci si può che associare alla valutazione effettuata dal decidente.

In materia condominiale, infatti, il d.lgs. n. 28/2010 prevede l'obbligatorietà della mediazione come condizione per accedere al giudizio di merito e la mancata inclusione di un capo della delibera porta alla sostanziale acquiescenza dello stesso decorsi i termini per l'impugnazione.

Nel caso in questione, le parti attrici avrebbero avuto l'onere di includere il terzo motivo nel tentativo di mediazione e la mancata inclusione ha comportato la corretta omissione del giudizio di merito sul motivo da parte del Tribunale di Verona.

Corretta pare, infine, la condanna alle spese data la completa soccombenza degli attori ai sensi e per gli effetti dell'art. 91 c.p.c.

Guida all'approfondimento

Celeste - Scarpa, Le nuove norme in materia di assemblea e di amministratore nella riforma del condominio, in Giur. merito, 2013, fasc. 6, 1249B;

Valore, Delega rilasciata in bianco per la partecipazione all''assemblea condominiale: l''onere della prova spetta al condomino delegante, in GiustiziaCivile.com, 12 ottobre 2018;

Tedeschi, Partecipazione all'assemblea a mezzo di delegato e invalidità della deliberazione, in Condominioelocazione.it, 16 ottobre 2017.

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