Danni da bagnamento del terrazzo, lesione del diritto dominicale e risarcibilità dei danni di varia tipologia
27 Agosto 2020
Massima
Il condomino, proprietario esclusivo del lastrico di copertura del condominio, è legittimato ad eseguire su di esso opere, purché le stesse non arrechino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio, essendo, l'esercizio delle facoltà riconducibili al diritto di proprietà esclusiva, subordinato al rispetto del disposto di cui all'art. 1122 c.c., come novellato dalla legge di riforma del condominio, posto a tutela dello stabile e, conseguentemente, dei singoli condomini. Ne consegue che, allorquando l'esercizio del diritto di proprietà in violazione di detta norma, abbia cagionato un danno al singolo condomino, egli avrà titolo e diritto al risarcimento del danno che ne fosse conseguito, comprensivo sia del danno patrimoniale, da intendersi quali quale rimborso delle spese sostenute da sostenersi per la rimessione in pristino della res, nonché del danno non patrimoniale, costituito, nei limiti della propria comprovata sussistenza, dal danno esistenziale per compromissione del diritto di proprietà e dal danno per mancato utilizzo dell'immobile, stante la riconosciuta risarcibilità del danno non patrimoniale per lesione del diritto dominicale. La responsabilità del condomino proprietario del lastrico sussiste anche allorquando il fatto illecito, commesso mediante utilizzo indebito della cosa propria, trovi causa concomitante nell'uso di parti comuni condominiali, che sia avvenuto in spregio ai dettami di cui agli artt. 1102 e 1139 c.c., che prevedono, quali limiti all'utilizzo di detti beni, il divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione e di impedire gli altri condomini di farne parimenti uso secondo il proprio diritto. Ed invero, in detta ipotesi, il c.d. fatto del terzo, ovvero la condotta del condomino autore del fatto illecito, è tale da integrare l'ipotesi del cosiddetto “caso fortuito”, che vale ad escludere la responsabilità del condominio, custode ex lege delle parti comuni condominiali ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2051 c.c. Il caso
Con atto di citazione del 29 novembre 2011, parte attrice, nel premettere di essere proprietaria di un appartamento al V piano di un condominio di dieci piani situato a Catania, e di una terrazza a livello, rappresentava che il proprietario dell'appartamento all'ultimo piano aveva realizzato, sul lastrico solare sovrastante di proprietà, avente mera funzione di copertura dell'edificio, un giardino pensile, con relative aiuole, con piante e alberi, prato, fioriere, piscina, e fontana, con relativo sistema idraulico e vasca di accumulo, un barbecue in muratura e un lavello, e che, per scaricare le acque utilizzate per l'irrigazione delle piante e del prato e le acque reflue, utilizzava i pluviali realizzati dal condominio per ricevere solo l'acqua piovana, due dei quali pervenivano nella propria terrazza per poi defluire nel sottostante suolo condominiale, con la conseguenza che il proprio terrazzo era continuamente invaso da “acque luride”, terra, fogliame ed altri detriti maleodoranti, contenenti anticrittogamici, concimi, fertilizzanti ed altro materiale individuato dal consulente tecnico di parte. Per l'effetto, si erano verificati danni alla propria terrazza, che, oltre a costringerlo ad eseguire lavori di rimozione da detti detriti, ed a procedere alla sostituzione del pavimento della terrazza perché macchiato, gli avevano determinato gravi danni, avendolo privato del godimento della terrazza, in quanto frequentemente bagnata ed invasa da detriti e materiale maleodorante, e costretto, stante la presenza di vari insetti, a tenere chiuse porte e finestre. Concludeva, pertanto, chiedendo che il Tribunale ordinasse a parte convenuta la rimozione di tutte le opere realizzate nella propria terrazza, determinanti, o per caduta o attraverso i pluviali, le immissioni di acqua e detriti lamentate dall'attore, e condannarsi il medesimo al risarcimento dei danni da liquidare anche in via equitativa, dal momento della costituzione in mora al momento della realizzazione delle opere volte ad impedire le immissioni nella propria terrazza, oltre a competenze e spese del giudizio. L'azione veniva promossa, altresì, nei confronti del condominio, stante l'insistenza delle opere da rimuovere su beni condominiali. Costituitosi in giudizio, il convenuto chiedeva il rigetto della domanda attorea, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, asseritamente derivante dalla natura condominiale della grondaia dalla quale derivavano gli asseriti danni, con conseguente necessità di proporre la domanda nei confronti del condominio, ed eccependo l'infondatezza della domanda, non avendo alterato le pendenze della terrazza. Affermava di non poter essere ritenuto responsabile in relazione a quanto recapitato dagli scarichi, in quanto progettati dal costruttore in modo da convogliare oltre all'acqua piovana anche la terra vulcanica, sottolineava di aver proposto soluzioni alternative, quali la deviazione della tubazione condominiale, e che la perizia di parte attrice non aveva ipotizzato né, tantomeno, rilevato alcun danno, trattandosi, In ogni caso, di indagini svolte in assenza di contraddittorio con allegati fotografici privi di data certa. Contestava, poi, l'addebito secondo il quale avrebbe diffuso sostanze nocive tale da danneggiare la terrazza dell'attore, costringendolo a lavori di rimozione, chiedendo la conseguente repulsa di tutte le domande da questi proposte. Il condominio rimaneva contumace. All'esito della concessione, alla prima udienza, del termine per il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., parte attrice, con la prima memoria, contestava l'eccezione di parte convenuta, affermando che il condomino è legittimato ad agire sia a tutela di diritti esclusivi, che di diritti comuni, essendo, pertanto, legittimato ad agire, sia riguardo all'utilizzo del bene condominiale che ai danni dai medesimi arrecati alla propria proprietà esclusiva, anche nell'ipotesi, come quella di specie, in cui uno dei condomini utilizzi in modo illegittimo parti comuni condominiali. Allegato il progetto del sistema di smaltimento delle acque piovane, contestava la dedotta sussistenza di una servitù per destinazione del padre di famiglia e affermava Il convenuto avesse stravolto le pendenze del lastrico solare ed immesso, attraverso i pluviali, acque luride provenienti dalle opere da costui realizzate sul lastrico solare, nello specifico dal giardino pensile e dalle opere ivi eseguite, chiedendo l'ammissione di prova testimoniale e consulenza tecnica d'ufficio. In riscontro a quanto sostenuto dall'attore, il convenuto, nella memoria di replica, nel ribadire quanto precedentemente dedotto, affermava che le problematiche lamentate dall'attore sarebbero derivate “dall'infelice percorso della grondaia condominiale”, opponendosi alle istanze istruttorie dal medesimo formulate. Con la seconda memoria, l'attore insisteva nell'istanza di ammissione dei mezzi istruttori, già richiesti, consulenza tecnica e prova testimoniale. All'esito dell'ordinanza con la quale il giudice etneo ammetteva, seppur parzialmente, la prova testimoniale, i testi escussi confermavano, da un lato l'inidoneità del sistema di scarico delle acque meteoriche, successivamente modificato con realizzazione di due nuovi pluviali, dall'altro, il ristagno d'acqua e lo sgocciolio proveniente dal pluviale orizzontale e la presenza, sulla terrazza di proprietà attorea, di detriti ed insetti, provenienti dai sovrastanti pluviale e grondaia, oltre ad esalazioni maleodoranti, e danni alla pavimentazione circostanze che determinavano l'impraticabilità della terrazza. La CTU, successivamente disposta dal Tribunale, al fine di accertare lo stato dei luoghi e la sussistenza delle opere eseguite dal convenuto, nonché i danni lamentati dall'attore, accertata la presenza, sul lastrico solare, di opere eseguite dal convenuto, che interferivano con le pendenze originarie della medesima, nonché di tubazioni, provenienti dalle fioriere, non riportate negli elaborati di progetto, che avevano contribuito ad alterare il normale deflusso delle acque, il che si poneva in nesso di causalità diretta con i danni lamentati dall'attore, individuava gli interventi necessari ad eliminare dette problematiche, le opere di ripristino da eseguire sulla terrazza dell'attore, e quantificava il danno da mancato godimento della predetta, sulla base della quota parte di canone di locazione ad essa proporzionale, a far data dalla costituzione in mora del convenuto fino alla data della notifica della domanda giudiziale. Il giudice, rigettata l'eccezione di legittimazione passiva proposta dal convenuto, in considerazione del fatto che l'attore aveva correttamente evocato in giudizio il condominio il quale, pur tuttavia, doveva ritenersi estraneo a qualsivoglia responsabilità, essendo quest'ultima imputabile a condotte ascrivibili in via esclusiva al primo, che con proprie iniziative ed opere era intervenuto a compromettere i diritti dell'attore, in accoglimento della domanda di quest'ultimo, accertava e dichiarava la responsabilità del convenuto per i danni infiltrativi e quelli ad essi correlati, subiti nella terrazza di proprietà dell'attore, ordinandogli di eseguire le opere necessarie all'eliminazione delle cause dei danni, non ancora eseguite, e lo condannava al pagamento all'attore della somma di € 5.000,00, a titolo di risarcimento del danno esistenziale per la compromissione del suo diritto di proprietà della terrazza, e di € 8.854,28, a titolo di mancato godimento della terrazza, a fare data dalla costituzione in mora a quella dell'esecuzione delle opere di ripristino della pavimentazione eseguite in corso di causa. Condannava quindi il convenuto al pagamento delle spese di lite, di CTP, trattandosi di spese per allegazione tecnica difensiva che la parte vittoriosa ha titolo a vedersi rimborsate (Cass. civ., sez. II, 18 maggio 2015, n. 10173), e CTU e rigettava la domanda di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., non sussistendone i presupposti, dichiarando esente da responsabilità il condominio, con riferimento alla cui posizione nulla veniva liquidato per spese, essendo rimasto contumace. La questione
Nel caso esaminato, il giudice di merito viene chiamato ad affrontare la questione inerente all'individuazione del soggetto responsabile del risarcimento del danno cagionato all'immobile di un condomino, determinato, da un lato dalle opere dal medesimo realizzate sul lastrico di copertura condominiale, di propria proprietà esclusiva, dall'altro, dall'uso improprio delle parti comuni condominiali. Invero e, come noto, il condominio, quale custode delle parti comuni, è, di norma, il soggetto responsabile del danno da queste arrecato in forza del disposto di cui all'art. 2051 c.c., disciplinante la responsabilità da cose in custodia, qualificata dal nostro ordinamento giuridico come una delle poche ipotesi di responsabilità oggettiva. Responsabilità avente quale esimente il cosiddetto caso fortuito, costituito, o da situazioni oggettive ed imprevedibili, o dal cosiddetto fatto del terzo. Trattavasi, pertanto, di comprendere se le opere eseguite dal condomino, proprietario del lastrico solare, fossero di per sé sole idonee ad aver travalicato i limiti previsti dalla legge al diritto del singolo di far uso della cosa comune, nello specifico i pluviali e le grondaie, determinandone un intasamento ed il conseguente danno alla terrazza di proprietà del condomino sottostante. Il giudicante veniva, pertanto, chiamato, da un lato, ad individuare quale fosse il limite all'uso della cosa comune da parte del singolo condomino e, dall'altro, ad individuare quali fossero i limiti alla proprietà privata, nello specifico all'utilizzo del lastrico solare, in capo al suo proprietario. Ed, invero, all'esito della CTU esperita in corso di causa era emerso come detto condomino avesse provveduto a realizzare delle opere edili sul lastrico nonché un giardino pensile, i cui materiali di risulta, fogliame e terriccio, in parte avevano ostruito i pluviali condominiali, stante, oltretutto, l'aggravio ad essi determinato da ulteriori condotte dal medesimo realizzate, ed in parte erano precipitati per caduta sul terrazzo di proprietà di parte attrice, determinandone il danno alla pavimentazione e la sua inutilizzabilità, stanti le esalazioni maleodoranti provocate dalla stagnazione dell'acqua e del fogliame, ivi precipitato, che impedivano all'attore di uscire per goderne e tenere aperte le finestre. Stante, poi, l'intervenuta esecuzione, in corso di causa, di alcune delle opere indicate dal CTU al fine della eliminazione delle lamentate problematiche, si trattava di comprendere se ciò avesse determinato la cessazione della materia del contendere, come invocata da parte convenuta, nonché individuare quali fossero le voci di danno risarcibile a parte attrice, che oltre all'eliminazione delle cause delle lamentate problematiche, aveva richiesto il risarcimento del danno da esse arrecato, nello specifico, il danno esistenziale costituito dalla compromissione del diritto di proprietà, nonché il risarcimento del danno subìto per effetto del mancato godimento della terrazza.
Le soluzioni giuridiche
La sentenza, nel decidere la questione sottoposta al proprio vaglio, analizza, preliminarmente, l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dal convenuto, il quale, all'atto della propria costituzione in giudizio, aveva eccepito come la responsabilità fosse ascrivibile al condominio, stante la natura condominiale delle grondaie e dei pluviali, causa del danno lamentato da parte attrice, e la propria asserita estraneità a condotte causa del danno. Detta eccezione veniva rigettata dal giudicante, in quanto, dalle verifiche tecniche eseguite nel corso della CTU, era risultato come fosse stato Il convenuto a porre in essere, sul lastrico solare, iniziative ed opere tali da compromettere i diritti dell'attore, il che valeva ad escludere qualsivoglia responsabilità del condominio, essendo il fatto del terzo causa esimente la responsabilità per cose in custodia. Il giudice rigettava, altresì, la domanda del convenuto intesa alla dichiarazione della cessazione della materia del contendere, per avere egli predisposto in corso di causa le opere indicate dal CTU al fine di eliminare le cause delle problematiche lamentate dall'attore, in considerazione del fatto che egli aveva eseguito unicamente talune di esse e che, a detta pronuncia, si era opposta parte attrice. Il Tribunale, quindi, accertata e dichiarata la responsabilità del convenuto per i “danni da infiltrazione e correlati subiti nella terrazza di proprietà dell'attore” e, preso atto che taluni dei lavori indicati dal CTU, ed intesi alla eliminazione delle cause delle lamentate problematiche, erano già stati eseguiti in corso di causa dal convenuto, ordinava a detto ultimo di provvedere all'esecuzione delle altre opere necessarie all'eliminazione delle cause dei danni, riportate nella CTU, ed, accertata la compromissione del diritto di proprietà di parte attrice e la limitazione alle proprie abitudini di vita, derivate dal non aver potuto utilizzare la terrazza, in quanto infestata da insetti e da cattivo odore, e per essere stato costretto a tenere costantemente le finestre chiuse, nonché il danno da mancato godimento della terrazza, determinato dalle infiltrazioni d'acqua provenientidal terrazzo del convenuto, condannava quest'ultimo al risarcimento, rispettivamente, del danno esistenziale, liquidato equitativamente nella misura di € 5.000,00, nonché del danno da mancato utilizzo dell'immobile, quantificato in misura pari al mancato godimento della terrazza, a far data dalla costituzione in mora a quella della esecuzione di parte dei lavori ad opera del convenuto. Il giudice rigettava poi la domanda di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., avanzata dall'attore, ancorché per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, non avendo rinvenuto nella condotta processuale del convenuto gli estremi della mala fede o colpa grave, elementi costitutivi della fattispecie in questione. Condannava poi Il convenuto al pagamento in favore dell'attore delle spese di lite nonché alla refusione delle spese di consulenza tecnica affrontate da parte attrice, ancorchè rideterminandone il quantum, e della consulenza tecnica d'ufficio. Alcuna statuizione veniva data nei confronti del condominio, essendo rimasto contumace. Osservazioni
Nel caso che ci occupa, il giudice del merito si è trovato ad affrontare diverse questioni giuridiche, tra le quali, oltre a quella inerente alla scindibilità delle azioni, ovvero alla compatibilità tra il diritto di azione in giudizio del singolo condomino e del condominio, con conseguente risoluzione della tematica inerente all'eccezione di legittimazione passiva proposta dal convenuto, quella della cessazione della materia del contendere, derivata dall'esecuzione, in corso di causa, di alcune delle opere intese alla risoluzione delle problematiche lamentate dell'attore, e, ultima, ancorchè di estrema rilevanza giuridica, quella inerente l'individuazione del danno risarcibile, con specifico riferimento, oltrechè a quello patrimoniale, al danno non patrimoniale, causalmente riconducibile alla lesione del diritto dominicale. La prima questione, inerente all'eccezione di legittimazione proposta dal convenuto, veniva rigettata. Ed invero, a tale proposito, vale il principio di diritto secondo cui, allorquando un condomino, con la propria condotta, rechi vantaggio al proprio immobile, violando i diritti degli altri condomini, vengono ad instaurarsi distinti rapporti giuridici tra l'autore dell'illecito da un lato, ed il condominio o gli altri condomini dall'altro, con la conseguenza che, “allorquando detti rapporti vengano dedotti in un medesimo giudizio, essi danno luogo pur sempre a cause scindibili, non sussistendo un rapporto unico ed indivisibile tale che il giudice non possa conoscere utilmente della posizione di uno separatamente dalla posizione degli altri” (Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2004 n. 2943). Ne consegue il secondo principio di diritto, secondo cui è pacifico che i singoli condomini, non essendo il condominio un'autonoma entità giuridica, bensì un mero “ente di gestione”, possano agire personalmente, a tutela non solo dei propri diritti esclusivi ma altresì dei propri diritti comuni, inerenti al buon uso della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 9giugno 2000 n. 7891). Premesso quanto precede, diventava quindi fondamentale comprendere, da un lato, quali fossero i limiti all'utilizzo della cosa comune da parte del singolo condomino, dall'altro quelli inerenti all'utilizzo della cosa propria. Riguardo alla cosa comune, il suo uso incontra il doppio limite di cui all'art. 1102 c.c., costituito, da un lato, dal divieto di alterare la destinazione d'uso del bene, dall'altro, dall'obbligo di garantirne il pari utilizzo da parte degli altri condomini (Cass. civ., sez. II,28 giugno 2017, n. 16260). Limiti che, come precedentemente chiarito da un'altra ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. II, 23 giugno 2017, n. 16260), devono intendersi come divieto di alterare la normale ed originaria destinazione del bene, intesa come sostanza e struttura del medesimo, e di impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il proprio diritto. Ne consegue che, nei limiti del rispetto di detti principi, il singolo condomino può utilizzare la cosa comune anche per fini esclusivamente propri, traendo da essa ogni possibile utilità, definita dalla giurisprudenza come specifica ed aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri (Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2007, n. 5753). Invero, come chiarito dalla Corte di Cassazione, il concetto di parità d'uso o uso paritetico non va inteso come identità d'uso, poiché, ad interpretare in detto modo il dettato normativo, al singolo condomino sarebbe precluso l'uso della cosa in modo particolare per il perseguimento di un proprio vantaggio, il che snaturerebbe la stessa essenza della cosa comune. E', quindi, consentito al condomino un uso più intenso della cosa comune, purché compatibile con i limiti degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 14luglio 2011, n. 15523). Ciò posto, trattasi di comprendere se, nel caso sottoposto al vaglio del giudice, l'uso da parte del singolo della cosa comune sia stato tale da rispettare i due principi che governano l'uso della medesima e, nel caso specifico, se le modifiche apportate alle cose comuni e l'intervento su di esse eseguito, abbia lasciato inalterata la destinazione delle medesime e non ne abbia comportato la definitiva sottrazione ad ogni possibilità di futuro utilizzo da parte degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 3 agosto2012, n. 14107; Cass. civ., sez. VI/II, 4 febbraio2013, n. 2500). Nel caso sottoposto al nostro esame, premessa la natura condominiale delle grondaie e dei pluviali, è risultato che il convenuto ne abbia alterato l'uso, la consistenza, e la destinazione per i propri esclusivi fini, del che non aveva diritto, e ne abbia fatto, in tale modo, un uso illecito, in quanto contra ius. Riguardo al secondo aspetto, relativo alle opere eseguite sulla proprietà esclusiva del condomino proprietario del lastrico solare, viene poi in rilievo l'art. 1122 c.c., novellato dalla l. n. 220/2012, di riforma del condominio, a mente della quale, l'esecuzione di opere sulla medesima è subordinata al doppio limite del divieto di eseguire opere che rechino danno alle cose comuni o determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza, o al decoro architettonico dell'edificio. Corollario di detti limiti è il divieto, attraverso l'uso di parti comuni, di arrecare danno alla proprietà esclusiva di altro condomino o a parti di essa (Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1985, n. 1132). Evidente, pertanto, come non vi sia alcun automatismo tra natura di bene comune del pluviale e responsabilità del condominio per danni da esso determinati al condomino o al terzo. Invero, il disposto di cui all'art. 2051 c.c., disciplinante la responsabilità per cose in custodia, fonte della responsabilità in esame, pur configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, prevede, quale unica eccezione, il c.d. caso fortuito, tale da intendersi come un evento imprevedibile costituente la reale causa del danno, ravvisabile, tra gli altri, in una situazione oggettiva ed imprevedibile, oppure nella condotta del terzo, nel caso specifico del condomino convenuto che, con l'esecuzione delle descritte opere, ha cagionato i danni subiti dall'attore, il che integra un fatto idoneo a mandare esente da responsabilità il condominio. Ne consegue che, nell'ipotesi, come quella in esame, in cui il lastrico sia di proprietà o in uso esclusivo di un condomino, e pur essendo la grondaia parte comune il cui custode è il condominio, è il condomino proprietario del lastrico a dovere garantire pulizia e manutenzione del piano di calpestio del medesimo, con la conseguenza che, del danno prodotto da detta omissione, in quanto ad egli causalmente riconducibile, non risponde il condominio, cui, di contro, sarebbero imputabili gli obblighi di riparazione o ricostruzione del lastrico, che, ancorché di proprietà esclusiva, svolge e “non smette mai di svolgere” la funzione di copertura dell'edificio, ma il condomino (Cass. civ., sez. II, 17 gennaio 2011, n. 941). Riguardo alla cessazione della materia del contendere, il giudice rigettava la domanda, stante l'insussistenza dei presupposti giuridici ad essa sottesi. Invero, l'istituto, costituente ipotesi di estinzione del processo di creazione giurisprudenziale, applicabile in ogni fase e grado del giudizio, viene pronunciata dal giudice, allorquando, non potendosi definire il medesimo per rinuncia agli atti o alla pretesa sostanziale, sia venuto meno l'interesse delle parti alla definizione naturale del giudizio (Cass. civ., sez. III, 31 agosto 2015, n. 17312). Trattandosi, pertanto, di un'ipotesi di sopravvenuta carenza di interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio, essa può essere dichiarata solo allorquando il mutamento della situazione, sotto il profilo oggettivo o soggettivo, che può riguardare anche una sola delle parti in causa, sia “condiviso anche dall'altra, affinché entrambe possano sottoporre al giudice conclusioni conformi” (Cass. civ., sez. lav., 22 dicembre 2006, n. 27460). Nel caso specifico, avendo parte attrice evidenziato che non tutte le opere indicate nella CTU fossero state eseguite, ne permaneva l'interesse, dichiarato nella comparsa conclusionale, alla definizione del giudizio con pronuncia di una sentenza di condanna, il che escludeva la pronuncia nei termini richiesti da parte convenuta. Altra questione affrontata dal giudice, che riveste estrema rilevanza giuridica ed attualità, riguardava la risarcibilità del danno non patrimoniale lamentato da parte attrice, che, per l'effetto delle lamentate problematiche, si era vista costretta a tollerare la presenza di insetti ed esalazioni maleodoranti, senzapotere aprire le finestre, né tantomeno, utilizzare la terrazza, con evidente compromissione del proprio diritto di proprietà, e conseguente richiesta, da un lato il risarcimento del danno esistenziale, dall'altro il danno derivante dal minor godimento dell'immobile. Si trattava, pertanto, di comprendere se la lesione del diritto dominicale, oltre ad attribuire titolo al risarcimento del danno patrimoniale, nei limiti indicati nei paragrafi che precedono, attribuisse al proprio titolare anche il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, e, in caso affermativo, a quali limiti fossero sottoposti il proprio riconoscimento e la propria quantificazione. La risposta al quesito passa attraverso il preliminare vaglio dell'interpretazione costituzionalmente orientata fornita all'art. 2059 c.c., disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale, dalle c.d. sentenze gemelle di San Martino (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973 e 26975), le quali hanno definitivamente chiarito come detto danno sia risarcibile, unicamente, nei casi previsti dalla legge, nello specifico: allorquando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; nei i casi stabiliti dalla legge (una delle ipotesi ricorre nel caso di trattamento illecito dei dati personali); nell'ipotesi in cui fatto illecito abbia violato diritti inviolabili della persona costituzionalmente tutelati. Nel caso che ci occupa trattasi di comprendere se sia configurabile l'ultima di dette ipotesi, e, pertanto, di risolvere il quesito giuridico del se, il diritto di proprietà, possa annoverarsi tra gli interessi della persona costituzionalmente garantiti coperto dal crisma della inviolabilità. Sul punto, l'art. 42 Cost. riconosce e garantisce la proprietà, pubblica o privata, tutelandola alla stregua di un diritto fondamentale e costituzionalmente garantito, le cui restrizioni devono soggiacere al giusto equilibrio tra interesse generale e interesse privato, ragione per cui la medesima, pur non costituendo una prerogativa assoluta, va ricondotta alla categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, come riconosciuto, altresì, in un'ottica di rapporti tra ordinamento nazionale e sovranazionale, da diverse pronunce della Corte Europea di Strasburgo (sentenze nn. 348 e 349 del 2007). Chiarita la natura del diritto dominicale, il fatto illecito che lo leda sarà fonte del risarcimento del danno, altresì sotto un profilo diverso dal danno emergente e lucro cessante. La risarcibilità del danno non patrimoniale da lesione del diritto dominicale, inizialmente riconosciuta dalle pronunce di taluni giudici di merito (Trib. Firenze21 gennaio 2011, n. 147) ha trovato definitiva conferma all'esito dell'intervento della Corte di Cassazione, che, a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 1 febbraio 2017, n. 2611), ferma la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto illecito, immissioni, danno infiltrativo o altro, avente ad oggetto l'immobile, abbia cagionato un danno accertato alla salute dei proprietari, ha riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale anche in presenza della lesione di diritti costituzionali diversi da esso, attribuendo rilevanza alla lesione del diritto dominicale. La risarcibilità di detto danno sarà, ovviamente, subordinata alla prova della sussistenza degli elementi costitutivi del fatto illecito, secondo il disposto di cui all'art. 2043 c.c., e, quanto alla prova del danno, dovrà dimostrarsi essersi trattato di offesa grave, tale da aver determinato un pregiudizio oggettivamente accertabile, e non già solo emotivo o interiore, che abbia, come nel caso di specie, alterato le abitudini di vita del soggetto danneggiato ed i propri assetti relazionali, con conseguente peggioramento della qualità della vita. A dette condizioni, il danno all'immobile darà titolo al risarcimento di una nuova ed autonoma categoria di danno, costituito dal cosiddetto danno esistenziale per compromissione del diritto di proprietà, liquidato in via equitativa ex art. 1126 c.c. A detto danno si aggiunge quello subito per effetto del mancato godimento dell'immobile, nello specifico della terrazza, il quale, di contro “… non necessita di una puntuale dimostrazione delle conseguenze pregiudizievoli” e viene riconosciuto applicando i criteri equitativi di liquidazione (Cass. civ., sez. II, 25 maggio 2016, n. 10870), consistiti, nel caso specifico, nella quota parte di canone locativo della terrazza rispetto all'intero appartamento moltiplicate le mensilità decorse dalla costituzione in mora all'esecuzione di parte dei lavori da parte del convenuto. |